Ho provato a resistere. Ho cercato di dirmi che non era il caso, che forse sarebbe stato meglio attendere un altro po’. Ma poi, come sempre, ho ceduto. Il richiamo dell’Ignoranza è stato troppo forte per poter far finta di nulla. E così, dopo due mesi di assenza, tornano loro: le Pagelle Rimappate. Prendete e leggetene tutti, come fosse la prima volta.
STEPHANE PETERHANSEL – 13. Ormai ha vinto talmente tante Dakar che è costretto a portarsi sempre dietro il proprio navigatore, di modo tale che quando gli chiedono quante ne ha vinte fa prima segno “10” con le mani e poi lo chiama: “10 Cottret”, quindi 13. Era partito sottotono quest’anno, con Loeb che sembrava averne di più. Ma Stephane è uomo d’esperienza: per questo l’anno scorso aveva lasciato qua e là lungo il percorso chiavi inglesi e pezzi di macchina, che una volta posato il polverone lo guidano lesto alla vittoria. Il tutto mentre gli altri si perdono e continuano a darsi come indicazioni uno dei paesi attraversati dalla Dakar: “Boh, lì, via!”. A chi poi gli chiedeva dove avesse trovato l’ispirazione per questa strategia, Stephane rispondeva dicendo di aver preso spunto da un libro dei fratelli Grimm comprato per errore nella convinzione che fosse la sua biografia. PETERHANSEL & GRETEL
SEBASTIEN LOEB – 8. Peccato, Bastiano quest’anno c’è veramente andato vicino. Nei primi giorni cambia metodo di coltivazione delle terre boliviane seminando quel granico da cui poi, dopo vari processi di lavorazione e un po’ di lievito, si ricava il panico, dopodiché però decide di aderire al famoso “Protocollo di Chiodo” riuscendo a prendere qualsiasi oggetto appuntito esistente in un deserto fatto di sabbia e arbusti, forando così, in media, una gomma ogni 7 km. Il merito del suo grande risultato, comunque, pare debba essere dato alla RedBull. Offrendogli infatti lattine in ogni momento della giornata, pare che a causa dell’enorme quantità di Taurina in circolo nel suo organismo Sebastien avesse preso delle movenze bovine, tanto da tentare di incornare quattro volte il malcapitato Elena. Da qui la fretta di arrivare a fine tappa: Sebastien aveva infatti capito che, visto il nome dato agli accampamenti della Dakar, dopo ogni PS avrebbe trovato due mucche su cui poter sfogare i suoi istinti taurini. BI-VACCA
CARLOS SAINZ – 69. Alla fine del Day 4, dopo quel pirotecnico cappottone, ad attenderlo al bivacco non c’erano i cronometristi ma Tony Hawk, il quale pare gli abbia detto che il trick non era affatto male, ma che solitamente dopo un doppio backflip si fa un grind e non un ollie. Carlos comunque non era soddisfatto della sua Dakar, e non si può certo dargli torto visto che la sua auto dopo soli 4 giorni più che una Tremilaotto era una TremilaRotto. Di questo pare che se ne siano accorti anche i vertici della Casa francese, che dopo la fine della tappa si dice gli abbiano preparato uno striscione a tema che dimostrava come il suo rendimento rispetto al 2016 fosse calato non di poco. “SEI PEUGEOTRATO”
NASSER AL-ATTIYAH – 7. Il pilota nominato da Gianfranco Mazzoni ogni volta che viene inquadrato Felipe Nasr era partito carico di belle speranze, deciso come non mai a sfruttare tutte le carte – comprese quelle bombe – a sua disposizione per mettere fine al dominio delle 3008 DKR. Al qatariota bastano però due Speciali per capire che anche quest’anno si vince la Dakar l’anno prossimo e, da uomo d’esperienza com’è, finge un malore mentre è alla guida, aprendo un semiasse e convincendo la Toyota a dargli un mese e mezzo di pausa per migliorare il suo stato di salute. SI E’ MESSO IN MAL-ATTIYAH
XAVIER DE SOULTRAIT – 10. Voci di corridoio dicono che sia riuscito a terminare l’intera Dakar senza neppure aver bisogno di un altro pneumatico anteriore, che con tutto il tempo che è rimasto in aria mentre lui impennava pare addirittura avesse tutti i tasselli in ottimo stato. Sarebbe stato anche divertente, se non fosse che in preda ai fumi dell’alcool pare abbia cercato di far impennare anche un Kamaz che correva nella categoria Camion, sradicando nel tentativo le tende di metà accampamento. A chi gli ha chiesto, nell’immediato, che cosa gli fosse mai saltato in mente, ha risposoto dicendo che aveva appena visto, per provare a rilassarsi, un cartone animato con un cane del deserto sempre intento ad impennare per prendere un Road Runner. WHEELIE IL COYOTE
MATTHIAS WALKNER – 66. Lui è un altro di quelli che erano partiti benissimo. Seguiva Price talmente da vicino che per poco non si stampava anche lui, e una volta fuori gioco – purtroppo – l’australiano, sembrava in grado di vincere piuttosto facilmente. Poi, però, Sunderland decide di rivelargli qualcosa che avrebbe dovuto tenere nascosto. Pare infatti che nel bel mezzo di una PS si sia avvicinato al suo compagno di Team e gli abbia strillato “Matthias, sono tuo padre!”. Il trauma subito da Matthias è stato talmente grande da farlo deconcentrare per tutto il resto della Dakar, con l’austriaco che l’ultima volta era stato visto all’anagrafe di Buenos Aires per farsi cambiare nome quanto prima a seguito di quella scoperta tremenda. ANAKIN SKYWALKNER
JOAN BARREDA BORT – 1,43 €/L. La colpa del suo risultato poco felice, stavolta, è del suo Team. All’inizio della Dakar, infatti, gli è stato detto, senza specificare altro, “Ispirati al nostro pilota spagnolo!”. Loro intendevano Marquez, lui ha capito Alonso. Ecco perché, saldamente in testa, decide di prendere una penalità di 4 giorni, 8 ore e 35 minuti per una semplice pompa. Nel senso che ha fatto rifornimento di benzina dove era vietato, che credete. La sua è stata considerata una penalità talmente stupida che, in suo onore, pare che la marca di quel distributore dove ha fatto il pieno sia stata leggermente modificata dagli abitanti del luogo per far capire quanto Barreda sia stato pollo nel gettare così alle ortiche una possibile vittoria. FESSO
GIANLUCA TASSI – 10. Ufficialmente, il suo equipaggio era formato da 3 persone per motivi logistici. In realtà, Tassi guidava, Catarsi navigava e Brufola Casotto rifilava sonore pernacchie ad ogni pilota normodotato superato. Leggende circolanti in Bolivia raccontano di un Raptor rimasto impantanato prima che Gianluca, al suono di “Tassi curo che arriviamo!”, decidesse di mollare il volante per fare forza con le braccia sugli pneumatici, trainando la sua auto, un Kamaz che passava per caso da quelle parti e un paio di capre andine. La sua prestazione è stata talmente stupefacente che pare che persino la Ralliart gli abbia dedicato un messaggio particolare, modificando per una giornata il marchio di auto con cui corre di solito. MISTUPISHI
PANDAKAR – 10. E’ italiana, ha 4 ruote, spacca cambi, fora gomme, se ne perdono le tracce in Gara, ha problemi nelle fasi iniziali della corsa e prende distacchi epocali dai primi: la notizia è che non è una Ferrari ma quel concentrato di Ignoranza italica, cattive intenzioni e poca sobrietà che è la PanDAKAR. Il numero dei WayPoint in cui non è stata rilevata è forse inferiore solamente al numero di amuleti comprati dal Team quando Marchionne ha detto loro che sarebbero sicuramente arrivati fino in fondo, ma il risultato è quello che conta. Essere arrivati al traguardo dite? Macché. Essere finalmente riusciti, con un’auto italiana, a tenersi dietro qualcosa griffato Mercedes. Che poi fosse l’Unimog incaricato di seguirli non ha importanza. Comunque, pare che la violenza con cui scalava i monti più famosi del Sudamerica, a suon di blasfemie, colpi di clacson, utilizzo smodato del tasto City e Radio Maria a tutto volume abbia impressionato le popolazioni di quelle zone al punto da spingerle a rinominare l’intera catena montuosa in suo onore. LA CORDIGLIERA DELLE PANDE