Spesso si sente parlare di sport marketing, di sponsorizzazioni e di termini tecnici legati a questo mondo, ma quanti effettivamente sanno bene di cosa si stia parlando? Non sempre è facile destreggiarsi fra i tanti falsi miti che accompagnano questo enorme mondo che è vera benzina per i motorsport, per questo motivo abbiamo chiesto ad un esperto del settore di spiegarci bene cosa fa chi si occupa di sponsorizzazioni e come si lavora dietro le quinte, ma non troppo, della Formula 1.
Edoardo Martorelli inizia la sua carriera già all’Università di Bologna, dando spazio alla sua passione per i motori con la Formula Student, prima di lavorare con un’agenzia italiana che si occupa di sponsorizzazioni in MotoGP. La tesi magistrale lo ha portato a collaborare con la Scuderia Toro Rosso, per poi approdare in un’agenzia inglese che si occupa di Formula 1, prima di tornare a Faenza. Dopo circa tre anni, ha deciso di fondare la sua agenzia di sponsorizzazioni, Drive Sports Marketing: vista la sua carriera e la sua giovane età, ci è sembrata la persona più adatta per questa breve lezione di marketing sportivo!
Ciao Edoardo, iniziamo dalle basi: sembra una cosa veloce, ma cosa c’è in realtà dietro un accordo di sponsorizzazione?
Ciao! Ci sono due metodi grossomodo. Il primo metodo è quello di mettere in contatto Tizio con Caio che per amicizia e passione fanno un accordo, ma al giorno d’oggi sono situazioni molto rare perché le aziende, al contrario degli scorsi decenni quando spesso si utilizzavano le sponsorizzazioni soprattutto per sgravi fiscali più o meno leciti, ora sono più attente a come e dove investono cifre importanti e ovviamente vogliono che quegli investimenti paghino. È ora un ambiente più professionale. Un team cerca sempre uno sponsor in settori in cui ancora sono scoperti, affidandosi anche a chi fa il mio mestiere che prima di tutto fa un’analisi finanziaria per individuare i settori che stanno crescendo e le aziende interessanti. Si cerca, quindi, di instaurare un dialogo tra le parti e chiudere l’accordo: la difficoltà maggiore è che queste aziende ricevono richieste da più sport, quindi la differenza la fa la selezione dell’azienda stessa e il modo in cui si arriva a chi poi si occuperà della trattativa.
Questo è lo scenario generale, nello specifico, voi di Drive Sports Marketing, di cosa vi occupate?
Il nostro ruolo è quello di supportare le aziende a navigare il mondo del motorsport. Le aiutiamo, quindi, non solo a selezionare ed entrare in contatto con il team che riteniamo più adeguato, ma le affianchiamo durante l’intero processo di negoziazione dell’accordo. Ovviamente lavoriamo anche a stretto contatto con federazioni, team, piloti e circuiti per aiutarli a creare una strategia di acquisizione sponsor e portarla poi avanti.
In Formula 1 su cos’è che bisogna fare leva per attrarre marchi?
Innanzitutto, c’è da dire che i piloti di Formula 1 sono molto ben istruiti sui rapporti che ci sono con gli sponsor e non si permetterebbero mai di fare cose come quelle successe agli Europei di calcio con Coca Cola ed Heineken. Questo fa capire come sia un ambiente molto più professionale da questo punto di vista in confronto ad altri sport. Un secondo aspetto è che si parla di uno sport di portata globale, nonché itinerante, quindi la risonanza che ha un brand sarà per forza di cose aperta a tutto il mondo, qualunque sia il mercato di interesse per l’azienda che investe. Poi ci sono i trend da guardare: al momento sono tecnologia e sostenibilità. La tecnologia è parte integrante della Formula 1, visto che impatta in maniera enorme sulle gare: se sei un’azienda tecnologica, la Formula 1 è il luogo ideale per mostrare quanto vali. Per quanto riguarda la sostenibilità, è vero che c’è la Formula E, ma i veri passi in avanti che poi ritroviamo su tutte le auto vengono principalmente dalla F1.
Parlando di trend: c’erano i “tabaccai”, poi vietati, e al loro posto sono arrivati gli energy drink. Se ci fosse un divieto per questi ultimi, cosa potrebbe prendere il loro posto?
Gli energy drink, di fatto, sono già passati di moda, passando il testimone di grandi sponsor alle aziende tecnologiche. Questi brand vogliono dimostrare quanto siano validi in un ambiente in cui tutto è spinto al limite, ma bisogna anche tenere d’occhio l’audience della Formula 1: una grande fetta è composta da persone che hanno potere decisionale nelle aziende e che sono molto vicine alla tecnologia, quindi per questi brand risulta importante essere visibili su una piattaforma così imponente, ma allo stesso tempo vicina a quelli che sono i potenziali clienti. Nei prossimi anni il focus sarà la sostenibilità: molte aziende sicuramente proveranno a usarla per fare del greenwashing, ma tante altre prenderanno seriamente questo impegno.
Dopo tanti anni, invece, tornano in gioco alcool e tabacchi, ma con progetti che riescono ad aggirare la legislazione che impedisce la loro pubblicità. Come mai questo ritorno e perché in questa maniera?
Questi marchi hanno l’esigenza di tornare a essere visibili su una piattaforma globale, quindi, non potendo farlo in maniera tradizionale, si sono reiventati in maniera “educativa” pur di rimanere presenti agli occhi dei consumatori.
Parlando di controversie: caso Rich Energy, geniale operazione di marketing o mossa della disperazione?
Era un accordo che sembrava dall’inizio un po’ strano, chi è del settore sa quanti soldi servano ad un’azienda per poter fare ua sponsorizzazione del genere e che qualcosa non fosse chiaro era palese a tutti. Dal lato del team si sono presi un rischio, ma non avevano comunque un title sponsor da mandare via per prendere Rich Energy, quindi li capisco. Non è il primo caso in Formula 1, ma altre volte accordi del genere sono stati bloccati prima che diventassero reali.
Si sente spesso dire “il pilota ha portato lo sponsor”, ma cosa si intende veramente?
Si intende che il pilota ha delle relazioni commerciali personali e che le porta con sé quando si sposta da una squadra all’altra. Il suo sponsor non necessariamente diventa anche sponsor del team, può rimanere anche personale del pilota, ma generalmente si cerca di fare una sorta di matrimonio a tre.
Quando sponsor personale e di squadra sono in conflitto perché della stessa categoria merceologica, come ad esempio Leclerc con Richard Mille e Ferrari con Hublot, chi è che deve fare un passo indietro?
Il pilota. Un accordo di sponsorizzazione con un team solitamente è molto più grande di quello che potrebbe esserci con un pilota. Sono aspetti spesso vincolati da clausole presenti nel contratto tra team e pilota.
Come il boom social di Liberty Media prima e poi il Covid hanno modificato il mondo delle sponsorizzazioni e del marketing in F1?
Per quanto riguarda gli sponsor non credo sia cambiato troppo, non c’è un ritorno diretto se Formula 1 diventa più attiva sui social. Quello che è successo è stato che Liberty Media ha alzato la competizione creando contenuti interessanti, promuovendo in maniera più interessante il campionato, allargandosi su altri mercati, grazie ad esempio a Netflix, e di conseguenza il lavoro dei team per trovare sponsor è diventato un po’ meno difficile. Lo sponsor di un team non può direttamente accedere ai canali social di Formula 1, ma se l’audience aumenta, di chiunque tu sia sponsor, hai un ritorno maggiore. Il fatto che Formula 1 abbia cambiato marcia nella parte digital si può dire abbia, quindi, aiutato i team a trovare nuovi sponsor, specialmente in mercati ostici come quello americano.
Come è cambiato il pacchetto da offrire agli sponsor quando a causa del Covid la parte dell’hospitality è venuta a mancare?
La prima soluzione che molti team hanno trovato è stata quella dei garage tour virtuali e cose simili, che però è più un contentino per evitare battaglie legali e lascia un po’ il tempo che trova. Le squadre più sveglie hanno dato delle compensazioni: dovendo togliere quella parte dal pacchetto, sono andate ad incrementarne delle altre. Altri si sono appellati alle “cause di forza maggiore” e non hanno voluto concedere di più, ma queste ultime sono battaglie che nel lungo termine ti rendi conto che andrai a perdere.
Spesso si dice che una delle difficoltà delle donne nel mondo dei motori sia il non riuscire a trovare sponsor che ripongano fiducia in loro. È davvero così?
Secondo me è difficile in ogni caso, che tu sia uomo o donna. I soldi sono difficili da trovare anche per ragazzini in gamba e con nomi importanti. La verità è che nelle serie minori si cercano i risultati, in modo che l’azienda ti possa sponsorizzare oggi con un budget minore, per poi ritrovarsi nel giro di 3-4 anni associati a un pilota di Formula 1 con due spiccioli. Anzi, in questo periodo storico, forse, il fatto di essere donna è quasi un vantaggio.
Il bombardamento pubblicitario tipico delle corse americane è il futuro o il passato? Come farsi notare senza diventare intrusivi?
La soluzione penso sia essere inclusivi, un ottimo esempio è Amazon che in Formula 1 fornisce le statistiche di AWS durante la gara, facendoti realmente capire cosa faccia l’azienda e offrendo un servizio al telespettatore. Se invece piazzi una pubblicità di venti secondi durante una gara, diventi antipatico agli occhi dei telespettatori.
Alla luce di tutte queste cose che ci ha spiegato, perché un’azienda o un team dovrebbe affidarsi a Drive?
Siamo una delle pochissime agenzie che può vantare esperienza diretta all’interno dei team, quindi conosciamo esattamente come ragionano e lavorano. Sappiamo quali benefit in una sponsorizzazione funzionano davvero e come sfruttarli. Inoltre, i nostri servizi vanno oltre la negoziazione dell’accordo, ci occupiamo anche di consulenza legale in fase contrattuale, gestione sponsorizzazione e attivazioni su canali social e digital. Poi, detto tra noi, siamo anche simpatici!
Bene, vogliamo solo persone simpatiche su FuoriTraiettoria! Per concludere, c’è qualche falso mito che vorresti sfatare?
Sì, ci sono due miti ricorrenti. Il primo è che la Formula 1 costa tanto, non è vero! Ci sono team che hanno richieste assolutamente ragionevoli, soprattutto se paragonate ad altri sport dello stesso livello: Olimpiadi, Mondiali ed Europei di Calcio e Champions League.
Il secondo è che le sponsorizzazioni sono più di un semplice adesivo sulla macchina. Ci sono tante aziende che spendono milioni in cartellonistica, se invece spendessero un quarto di quello in sponsorizzazioni, si ritroverebbero un pacchetto che frutta molto di più, perché più vario e in grado di coinvolgere l’audience.
Servirebbe un po’ più di educazione sulle sponsorizzazioni nelle aziende, bisognerebbe essere più strategici.