“Ogni Domenica in pista, quando si spengono i semafori, Lewis Hamilton parte e sa che dovrà sconfiggere Vettel o perderà il mondiale.
Ogni Domenica in pista, quando si spengono i semafori, Sebastian Vettel parte e sa che dovrà sconfiggere se stesso o perderà il mondiale.”
Credo fosse all’incirca così quell’antico proverbio… o forse sono io ad essermi calato troppo nei panni di Aldo Baglio.
Ad ogni modo, voglio fare una doverosa premessa prima di cominciare, per evitare sterili polemiche.
Sia Hamilton che Vettel sono piloti che subiscono in modo pesante la pressione, e questo è sotto gli occhi di tutti. Cambia però il modo in cui essi ne risentono: Hamilton nel momento di difficoltà ha problemi di rendimento. Hamilton rallenta il passo, spegne l’aggressività, tarpa le ali all’ardore almeno fino a quando i suoi uomini non lo rassicurano dicendogli che non ha alcuna colpa sulle scarse prestazioni. Solo a quel punto, scaricato da tale responsabilità, riprende a macinare strada e a strappare via decimi dai tempi sul giro con la foga agonistica che ci ha più volte presentato nel corso degli anni. E’ un po’ come se, dietro a quella maschera di ragazzo-immagine, di inscalfibile campione e di trascinatore di folle che indossa, esistesse un vero Lewis che cerca di relegare nella penombra. Un vero Lewis con grandi problemi di autostima nonostante l’eccentricità che dimostra quotidianamente.
Vettel invece, in più di un’occasione ha dimostrato di commettere veri e propri errori di valutazione o di perdere letteralmente la lucidità. Manovre avventate, sfoghi feroci alla radio, evitabili gesti di stizza che compromettono la gara, sono tutte cornici di difficili situazioni che sono decisamente sfuggite di mano al tedesco.
E non si parla solo dell’epoca Ferrari. Penso ad esempio anche ad Interlagos 2012, dove solo una coincidenza irripetibile lo aveva salvato da un suo stesso errore alla quarta curva, la Descida do Lago, che altrimenti gli sarebbe costato il campionato del mondo.
Il suo più grande nemico è sempre stato il via. La prima staccata è il momento di più alta tensione del weekend e Sebastian ha più volte dimostrato -in particolare negli ultimi tre anni- di non essere affatto immune dagli errori in tale circostanza.
Per questo era da anni che si diceva -ormai ripetendolo quasi a mo’ di macchinetta- “Le gare preferite di Sebastian sono quelle in cui parte e arriva primo”. Ma Domenica in Germania è caduta anche questa certezza. Come errore in sé non è stato assolutamente tra i più gravi ma Vettel anche qui è stato tradito dalla pressione. Non solo da una pressione “concreta”, però. Bottas si stava sì avvicinando velocemente ma non era tanto il finlandese a preoccupare Sebastian. Questa volta Vettel è stato tradito da una pressione ben più intangibile e difficile da gestire: quella del campionato del mondo.
La consapevolezza del fatto che Hamilton stesse rientrando prepotentemente in gara, rimontando su tutti di diversi secondi al giro, ha portato il pilota di casa a non alzare comunque mai il piede, nonostante fosse in una posizione che gli permetteva almeno una minima gestione della situazione.
Per tutto il giro i suoi on-board mostrano un pilota che effettua controlli al limite ad ogni curva.
Ma Sebastian quel piede non lo stacca mai dall’acceleratore, come non avesse avuto nulla da perdere. Da perdere, invece, aveva tutto. In primis un ampio e sicuro margine sul rivale in ottica iridata. E tutti sappiamo come è andata a finire.
La SF71-H quest’anno è con ogni probabilità la macchina più versatile del lotto: buon motore, ottima trazione, abbondante carico aerodinamico; si trova a suo agio nelle piste strette e tortuose come in quelle ampie e veloci. E’, insomma, apparentemente priva di punti deboli. Almeno fino a quando non si tira in ballo la mente della propria punta di diamante.
Perché la fragilità di Hamilton porta l’inglese a perdere qualche punto per strada, quella di Vettel stampa sulle classifiche dei pesantissimi ed indelebili “zero” che, in un campionato conteso punto su punto come quello 2018, a fine anno potrebbero costare molto, troppo caro.
Cosa possono fare Ferrari e lo stesso Vettel per arginare la situazione? Solo incrociare le dita.
Perché ormai dopo quattro titoli del mondo e undici anni in Formula 1, questa debolezza di Sebastian non è altro che un irreversibile tallone d’Achille verso il quale Hamilton, colui che da anni non sbaglia mai, ha già puntato la sua freccia -d’argento- avvelenata.