Non venite a raccontarci che questa sia una cosa normale. Perché no, non lo è affatto.
Non venite a raccontarci che sia meritato, che sia una naturale conseguenza di quanto accaduto in pista nel recente passato. Attirarsi tutto l’odio ed il livore del mondo da parte di un’intera tifoseria può portare a degli sfottò, non c’è alcun dubbio in merito. Può, nei casi più clamorosi, sfociare a volte in insulti e fischi, spesso peraltro fatti sentire in momenti ben poco sensati – vedasi quelli che gli sono stati dedicati a causa di un’inquadratura da parte della regia internazionale mentre ci si interrogava sulle condizioni di Michele Pirro. Ma non può, e anzi non deve, condurre a sperare che la morte, una presenza che incombe sempre in maniera silente su tutte le piste del motomondiale, mieta una vittima di soli 25 anni.
Non venite a raccontarci che tanto lo fanno ovunque, che non accadono solamente in Italia cose simili. Di nuovo: sfottò, insulti e fischi, avete ragione voi, li si sente piovere ormai da qualsiasi parte del mondo. Ma in nessun luogo – e sottolineo in nessun luogo – si assiste a macabri teatrini come questo, simulacri di una totale ignoranza del Motorsport e di tutti i rischi ed i pericoli che esso comporta ogni qual volta si spengano i semafori. Dove mai avete visto uno scheletro adagiato su una casacca di un team al di sotto di una lapide recante foto e date di nascita e morte di un pilota? La risposta è piuttosto banale, e non serve neppure che ve la scriva io.
Non venite a raccontarci che sia solamente una bravata, che nessuno in realtà spera che una cosa del genere accada. Se fosse solamente una bravata se ne percepirebbe con largo anticipo il cattivo gusto, il suo essere macabra, il suo essere totalmente fuori contesto in un mondo che molto spesso si è ritrovato a piangere la scomparsa di ragazzi tanto, a volte troppo, giovani. Solo negli ultimi anni abbiamo visto svanire in pista le vite di Kato, Tomizawa, Simoncelli e Salom, tutti ricordati con lacrime amare: pensare che la scomparsa di un pilota possa portare molti di quelli che si definiscono appassionati di motociclismo ad esultare solamente in virtù di un “tifo” di colore diverso, semplicemente, è un qualcosa che mi disgusta profondamente.
Non venite a raccontarci che non ci si possa far nulla, che non ci sia modo di controllare gli animi degli esagitati. Perché se è indubbiamente vero che nessuno riuscirà ad influenzare il libero arbitrio altrui, è altrettanto incontrovertibilmente vero che, se si rivestono particolari ruoli all’interno ed all’esterno della pista, è possibile in un certo senso orientare le masse. E quindi, oltre che magari denunciare e stigmatizzare determinati comportamenti piuttosto che farli passare sotto silenzio, indurle a ragionare, a riflettere, a considerare. Indurle a tornare ad un concetto di tifo che sia basato sull’esaltazione del proprio pilota preferito – con, come oggettivamente si è sempre fatto, anche degli sfottò nei confronti altrui – e non sull’augurare accadimenti terribili a quello avversario. Indurle a vivere lo sport come dovrebbe essere vissuto, vale a dire con serenità, perché non è di certo la vittoria o la sconfitta dei nostri idoli che stravolge la nostra vita in meglio o in peggio. Indurle ad avvicinarsi al Motorsport con il rispetto che esso merita, perché ognuno di quei ragazzi con il casco calcato in testa accetta di sfidare il destino ogni volta che gira la manopola del gas allo spegnimento di un semaforo, e non è certo di orripilanti auguri di morte che ha bisogno per vincere la propria battaglia con il fato.
Non venite a raccontarci che questa sia una cosa normale. Perché no, non lo è affatto.