Si sa, per chi vive nella fascia adriatica al di sotto di Ancona, ogni viaggio risulta una speranza. Se poi, oltre alle vicissitudini canoniche, aggiungiamo anche lo sciopero di Trenitalia, allora diventa tutto tragicamente comico. Come un moderno Ragionier Ugo Fantozzi, anche io nel mio piccolo vivo tali disavventure alla volta di Padova. Fortunatamente senza nessuna “ventilatio putris intestinalis” di qualche commilitone presente nel vagone, e tra cambi persi ed in ritardo di appena due ore su un tabellino di marcia calcolato sul filo del secondo il sabato mattina sono alla fiera. Sudore, sacrifici spesi, ma che ne valgono assolutamente la pena.
Certo, senza nessun caffè la prima ora è risultata assai difficile ma Filippo – il ragazzo che qui su Fuori Traiettoria vi parla di MotoGP e non solo – con una mano sulla coscienza si è adoperato al meglio per farmi passare il trauma iniziale da neofita del luogo. Entro dal Padiglione 7 – dedicato a ricambi auto e automobilia – ed è un impatto tremendamente fantastico, sembra che le lancette dell’orologio non siano mai andate in avanti. C’è di tutto: pezzi di ricambio, vecchie pubblicità, pompe di benzina risalenti agli anni ’70, gadget e pubblicità retrò. Mentre sguscio tra uno stand e l’altro, tra un cruscotto di una Jaguar XK120 ed un motore Porsche 6 cilindri raffreddato ad aria, noto un ragazzo sulla quarantina che tiene in braccio – come se fosse suo figlio primogenito – un cambio. Ripeto a me stesso, con più vigore che mai, che questo è l’ambiente giusto per chiunque sia appassionato di motori. Si possono parlare tanti dialetti, ma qui ad “Auto e Moto d’Epoca” tutti parlano la stessa lingua, fatta di pistoni, cilindri, bielle e amore per le due e quattro ruote.
La mia esplorazione prosegue, e mano a mano recupero sempre più le facoltà cognitive. C’è Audi, e passare lì accanto alla R18 è un colpo al cuore, sia per la pagina, sia perchè rappresenta una delle storie più belle e romantiche del motorsport avvenute durante gli ultimi anni. Passando tra un padiglione e l’altro c’è una distesa di auto acquistabili proposte dai commercianti a prezzi più o meno ragionevoli, ma sappiamo bene come il mercato delle classiche si sia impennato per poi stabilizzarsi negli ultimi anni e francamente, quando si ha a che fare con Lancia carrozzate Zagato o Touring, non si può certo parlare più di tanto di economicità. Arrivo così al padiglione numero 3 dedicato all’ACI, dove si sta tenendo una conferenza. Dagli altoparlanti risuona una voce familiare al microfono: inizio a domandarmi se sia lui, giro l’angolo e, insieme a Filippo, riusciamo a ritagliarci un piccolo spazio. E’ lui, il suo cappello è inconfondibile: Arturo Merzario. E non è solo: ci sono anche Gian Carlo Minardi e altri piloti italiani quali Alessandro Nannini, Alex Caffi, Bruno Giacomelli, Nanni Galli e Pier Luigi Martini. Si narrano aneddoti, esperienze uniche vissute da questi decani dell’automobilismo nostrano, con quella semplicità e quel calore che solo i grandi sanno infondere nei loro racconti. Una generazione di talenti che si lamenta però della nuova F1 e della sua poca spettacolarità, chiedendo a gran voce un ritorno più simile alle origini. La conferenza termina con un giro di Alex Caffi a bordo del simulatore ACI a bordo della mitica Ferrari 312 B a Monza, proiettato anche a noi spettatori con tanto di riquadro dedicato alle pedaliere: mi ritrovo quindi ad osservare una sorta di danza tra freno e acceleratore nel mentre del giro, uno di quei rituali che riescono sempre a meno piloti, e che mi ricorda con una punta di malinconia quanto tempo sia trascorso dall’ultimo pilota tricolore che abbia affrontato una stagione completa in F1.
La giornata è lunga, bisogna andare avanti, e quindi continuo a visitare stand come quelli di FCA Heritage e di Mercedes-AMG, e tra auto del calibro di 300 SL Gullwing ed Alfa Romeo 33/3 Le Mans si insinua una Miura, che inevitabilmente finisce con il rubare scena e flash degli appassionati. Percorro altri pochi metri – sono in attesa della riapertura dello spazio che è stato dedicato alle F1 – e trovo qualcosa di unico, forse ancor più unico delle già citate autovetture. Una Ferrari 250 del 1964 in versione Competizione – un’auto che, in tutta onestà, non avevo finora mai visto – con al suo fianco qualcosa di altrettanto unico, una Ferrari LaFerrari Aperta di color nero. Mentre mi perdo tra le linee di questi due capolavori modenesi, finalmente viene riaperta la mostra dedicata alle F1, denominata “Monza Experience” in virtù dell’ottantottesimo anniversario del GP di Monza. Sono presenti 12 vetture, dalla Bugatti type 37all’Alfa Romeo 8C di Tazio Nuvolari, passando per quelle del 1983 di De Cesaris e Patrese. Non solo Alfa ma anche la Cooper di Surtees, la March di Peterson ed infine la più moderna Ferrari F399 di Michael Schumacher, che nel 1999 conquistò il mondiale Costruttori per la casa di Maranello. Emozioni su emozioni, concentrate in pochi metri, in un corridoio dove si respira l’eccellenza motoristica italiana – sì è vero, c’è anche la Bugatti, ma Ettore sappiamo bene che era di origini italiane – e di quello che l’italia sa fare, con uno stile ed una passione unica al mondo.
La fiera è grande, ed è giusto incamminarsi alla volta di nuove mete, un passo alla volta scrutando centinaia di auto in un’ambiente dove a farla da padrone è una Casa: la Porsche. La casa tedesca ha un numero di fan incredibile tra rivenditori, ricambisti ed appassionati, lo si percepisce a pelle. Molto probabilmente è seconda solo a Ferrari. E posso tranquillamente affermare che sia stata lei la regina indiscussa. I modelli non presenti sono pochissimi, c’è addirittura una 550 Spyder in giro, mentre allo stand principale si possono osservare tradizione – con la 911 e la 914 -, innovazione – 996 GT1 e Panamera Turbo – e competizione – con la 919 Hybrid che ha trionfato a Le Mans. Nell’aria sembra esserci un rombo di un motore raffreddato ad aria che risuona soave, tanto che il mio cuore viene rubato da una 911 2.7 RS con un fantastico giallo a rivestirla nelle sue sinuose linee. Dinanzi allo stand ufficiale Porsche abbiamo un altro grande costruttore, la Jaguar, che espone per l’occasione la sua vettura che partecipa al campionato di Formula E, una scelta che in un’ambiente dove la benzina scorre nelle vene potrebbe erroneamente sembrare una sorta di autogol. Invece a Padova, in un mix che francamente pensavo fosse impossibile, convivono al meglio tradizione e innovazione con marchi come Tesla, Porsche e Jaguar che si impegnano, oltre a rivangare i fasti del passato, a dare una finestra sul futuro ad un pubblico quantomeno curioso ed interessato.
La giornata scorre veloce, ed in una pausa pranzo un po’ particolare – e a breve vi spiegherò il perché – faccio poi un salto a Bonhams. Sì, è sabato, ed in programma c’è l’audizione della casa d’aste che affonda le sue origini nel lontano 1793 e che in italia non tornava da ben 35 anni. Sono presenti 61 vetture pronte ad essere vendute. In un ambiente che sa quasi di regale, scorrono i lotti e 29 di essi trovano assegnazione: c’è una Mercedes 300 SL Roadster del 1957 battuta a 897.000 euro a rubare la scena, stabilendo infine una vendita complessiva per più di 3 milioni di €.
Ci si avvia così al termine della giornata: mancano pochi padiglioni da visitare ma ci sono obiettivi ben precisi. Il primo è la Lancia Rally 037 stradale che risiede accanto ad una Stratos, il secondo è Pagani. E’ un tragitto costellato di rivenditori privati, che espongono pezzi unici e incredibili, tanto da trovare anche una simpatica Amphicar tra dozzine di Alfa, Lancia, Porsche e qualche Lamborghini o Ferrari. Finalmente arrivo. E’ lì, è bella bellissima, con le sue forme, le sue linee così particolari, così uniche: potrei quasi invaghirmene, ma l’amore per la Stratos che conservo sin da bambino non permette di tradirla a favore della più giovane, è una questione morale tra me e il sottoscritto. C’è un ultimo step da effettuare prima di poter tornare a casa, ed è lo stand Pagani. E’ diventata oramai una missione per quello che considero l’ultimo grande produttore di sogni per bambini. Perché si è sempre bambini quando ci si innamora dei motori ed il buon Horacio, con le sue creazioni, fa tornare noi sempre dei pargoli ogni qualvolta che ne vediamo una: ci ricorda e soprattutto suscita emozioni uniche grazie alle sue creazioni. Sguscio così tra una Bentley 8 litre ed una replica della Patent Motor Wagen, sono lì. “Un momento sacro”, dico a me stesso. La scruto: è perfetta in ogni suo accorgimento, tutto sembra armonioso come nella cultura classica. Se ci fosse una trasposizione motoristica del Discobolo di Milone credo che la si potrebbe osservare solamente attraverso la Huayra Roadster. Ma la mia attenzione viene attratta non solo dalle auto esposte, ma da un manifesto con una time-line che celebra la storia di Pagani e dell’apertura del suo museo. L’occhio cade nella linea in un periodo preciso: negli anni ’70, dove appare una roulotte. Sì, perchè Horacio quando arrivò in Italia viveva lì. E mi ritrovo a pensare a quanta strada abbia fatto semplicemente non smettendo mai di sognare.
Ora è giunto davvero il momento di salutare la Fiera, con qualche sogno in più nel cassetto e convinto di aver visto qualcosa di unico. Mi congedo così, con la consapevolezza che Padova con Auto e Moto d’ Epoca sia un esperienza da fare, una di quelle che ti lascia un qualcosa in più. Perché è dall’unione tra passato e presente che si gettano le basi per il futuro.