Dopo 9 stagioni dense di vittorie, l’idilliaca favola tricolore tra MV Agusta e Giacomo Agostini, orfani entrambi del Conte Domenico, s’interruppe all’improvviso. Così nell’inverno del ’73, dopo due anni di corteggiamento, Agostini cedette alle lusinghe di Yamaha. Molta era la curiosità di vedere Agostini pilotare un due tempi, e la ghiotta prima volta si ebbe con la mitica ‘Daytona 200’, gara extra-campionato ma molto sentita dai costruttori. Però gli statunitensi non gradivano molto i piloti stranieri…
I primi attriti tra Giacomo Agostini e MV Agusta iniziarono a seguito all’improvvisa morte del Conte Domenico, agli inizi del 1971: come spesso capita anche nelle migliori famiglie, la dipartita del capostipite indebolisce i legami. La nuova dirigenza decise di affiancare ad Agostini un altro pilota altamente competitivo, Phil Read. Ma non solo: per il 1973 Read avrebbe avuto a disposizione la vincente 500 tre cilindri, mentre ad Agostini sarebbe toccato un prototipo sperimentale con 4 cilindri. In 350 invece avrebbero avuto la stessa moto. Ago accettò di suo malgrado.
In 350 tutto andò secondo le previsioni, con Agostini campione e Read solamente terzo e non in grado di vincere alcuna tappa, mentre in 500 fu un’annata disastrosa: la moto sperimentale collezionò una incredibile serie di rotture. Agostini riuscì a raggiungere il traguardo solamente in 4 delle 11 gare che componevano il campionato della classe 500, raccogliendo nonostante ciò 3 vittorie ed un secondo posto che lo portarono in terza posizione a fine anno, mentre Read vinse in scioltezza. A questo va aggiunto il gran rifiuto del Tourist Trophy.
All’epoca il TT all’isola di Man era l’evento più mediatico del motociclismo per il mercato europeo, al pari della 200 miglia di Daytona per quello nordamericano. Ma Agostini decise di non parteciparvi, nonostante le 9 vittorie, ritenendo il tracciato troppo pericoloso e trovando dalla sua molti alleati, tra cui lo stesso Read. Ciò irritò molto i dirigenti del marchio varesino.
Questi avvenimenti, accompagnati dall’escalation prestazionale dei due tempi, convinsero Agostini che era il momento di cambiare aria, e Yamaha era in agguato assieme a Suzuki e Kawasaki. La Casa di Iwata già aveva proposto nel 1971 a Mino un contratto, dalle cifre principesche, che però l’italiano rifiutò: era convinto che tra lui e la MV fosse solo una crisi passeggera.
Il 4 dicembre 1973, Agostini convocò a Milano la prima conferenza stampa della sua vita, dove in compagnia del direttore sportivo Yamaha Rod Gould -campione del mondo in 250 nel ’70 e fino all’anno prima pilota- e davanti a una straripante folla di giornalisti italiani ed esteri, annunciò la rottura con la Casa italiana e l’accordo con quella giapponese. Agostini fu allettato non solo dall’esorbitante offerta economica -200’000 yen all’anno, pari a 300 milioni di lire di allora che col cambio attuale considerando l’inflazione sono cirica 2 milioni di euro– ma soprattutto dall’offerta tecnica. Le due tempi in 350 e 500 avevano raggiunto ormai gli standard trovati nelle altre classi: le prestazioni superiori ai quattro tempi erano finalmente accompagnate dall’affidabilità necessaria a lottare per il titolo. Proprio nel 1973, fino alla tragedia di Monza, Jarno Saarinen era imprendibile per tutti in sella alla sua Yamaha YZR OW20. Molti degli addetti ai lavori, ed Agostini, avevano compreso che i quattro tempi erano avviati verso il tramonto.
Agostini trascorse l’inverno seguente in Giappone, lavorando strettamente con il team per migliorare la YZR OW20. Significative modifiche ciclistiche, soprattutto l’abbandono del doppio ammortizzatore posteriore in favore del monocross, e nell’erogazione, si ottenne un più ampio range di utilizzo del motore ed anche 10 cavalli in più, superando quota 90, evolvendo la moto al punto da rinominarla YZR OW23. Nel frattempo in Italia la stampa generalista lo disegnava come il nuovo massimo traditore della Patria e gli addetti del settore erano curiosi di vedere come la guida pulita e lineare di Agostini si sposasse con gli irruenti 2 tempi, e la ghiotta occasione era la 200 miglia di Daytona, programmata per il 10 marzo 1974.
La “Daytona 200” era all’epoca una gara prestigiosa e particolarmente combattuta, per il grande ritorno d’immagine che la vittoria procurava sul ricco e ambito mercato nordamericano, soprattutto era un feudo a stelle e strisce: negli U.S.A. si guardava in malo modo chiunque osasse parteciparvi arrivando da altre nazioni. L’unico pilota non europeo ad averci vinto fu il compianto Jarno Saarinen l’anno precedente, due mesi prima dei tristi fatti di Monza. Proprio il pilota che Agostini andava a sostituire. In seguito all’annuncio ufficiale della partecipazione di Agostini, i malumori della stampa statunitense, specializzata e generalista, non tardarono: in articoli tesi a dimostrare la netta superiorità del piloti locali, osannando le qualità del campione USA Kenny Roberts, apostrofava Agostini con soprannomi derisori come “Ago-Daisy” -Ago la margherita, riferendosi alla sua fama da playboy- o sprezzantemente razzisti come “Ago-Dago” (dago, termine dispregiativo usato per definire persone di origine latina).
Lo stesso Kenny Roberts, scelto da Yamaha come compagno di team di Agostini, pronosticava con spavalderia:
“Agostini non conosce il circuito e non conosce la sua moto. Me lo mangerò tutto crudo.”
Agostini reagì con calma, ignorando le provocazioni. Trascorse la settimana di prove prendendo la parte del turista: la mattina presto, anche a turno iniziato, passeggiava lungo il tracciato in ciabatte e pantaloncini. Il suo obiettivo era esaminare con calma ogni millimetro della pista, studiare le traiettorie e quando poteva scrutava gli altri concorrenti per capire i punti di frenata, per poi mettersi in sella e mettere in pratica ciò che aveva compreso. Durante le pause per il pranzo, quando la temperatura superava i 40°C, non si sfilava la tuta in pelle e correva per un’ora, sotto il sole, per preparare il fisico e la mente alle condizioni della corsa. Il resto del tempo, se non era in sella, lo passava con i meccanici Yamaha a controllare e ricontrollare ogni bullone, ogni saldatura, ogni filo ed ogni nastratura come suo solito, mettendo a dura prova con la sua vincente pignoleria la mitica precisione e calma giapponese.
Le qualifiche non andarono benissimo, si classificò solo 5° sulla griglia di partenza.
Nel giorno della gara, però, il pubblico statunitense ebbe modo di conoscere il vero volto del pilota bergamasco, che nulla aveva a che fare con l’immagine inoffensiva e tranquilla dei giorni precedenti. Agostini impose da subito un ritmo molto veloce, mantenendolo con costanza al limite della tenuta fisica, prendendo a martellate il cronometro come diremmo oggi, e lo mantenne per i 52 giri della gara. Tutti gli altri piloti, non dotati della sua regolarità di guida e pioneristicamente abituati all’improvvisazione, vennero afflitti da un maggior consumo di carburante, pneumatici, organi meccanici e non ultimo stress fisico. Ago si aggiudicò la vittoria, tagliando il traguardo stremato, con largo distacco sul compagno di marca Roberts, secondo arrivato dopo aver inutilmente tentato di superare il campione italiano.
“Non posso credere che Agostini sia un essere umano” dirà Kenny al termine della corsa.
Si trattò di una prova di resistenza incredibile, alla luce dei 31 anni con cui Ago esordì nella difficile corsa floridiana. Mino oltretutto costrinse, senza volerlo, la modifica della cerimonia della premiazione, che subì un forte ritardo: Agostini si trovava disteso su un divano della sala stampa, assistito dal dottor Costa. Non riusciva a muoversi, con tutto il corpo paralizzato dall’acido lattico accumulato.
“Ago-Dago” e “Ago-Daisy”finirono nel dimenticatoio, diventando refusi di stampa. Il 1974 per Agostini si concluse con il titolo iridato in 350, dominando la categoria. In 500 dovette cedere il passo alle MV. Read si confermò campione, Agostini chiuse con due vittorie, un secondo posto e tanti ritiri. I tempi furono completamente maturi nel ’75, nonostante ancora un’affidabilità non eccelsa Mino vinse il titolo in 500, primo titolo per una due tempi nella Top Class. Ma non era tutto perfetto.
L’anno seguente la coppia italo-giapponese si divise. In Italia il Reparto Corse MV Agusta chiudeva i battenti, ad Agostini si sciolse un po’ il cuore. Fece qualche telefonata, trovando gli sponsor necessari per un’ultima romantica stagione per la MV con un team tutto suo. Un team privatissimo, le cui moto erano la ormai obsoleta 3 cilindri per la 350, per la 500, classe di cui era campione in carica, la più recente 4 cilindri figlia proprio del del duro lavoro di Ago del ’73. Come tecnici gli stessi delle grandi vittorie, mentre la livrea si piegò al volere degli sponsor Api e Marlboro, con il bianco al posto dell’argento. Le due tempi erano ormai imprendibili, l’affidabilità raggiunse definitivamente il livello delle quattro tempi. Infatti Agostini si munì di una Suzuki RG500 clienti per sicurezza, ma che usò solo un paio di volte nelle libere. In tutte le storie romantiche c’è il gran finale.
Altre due vittorie, meritatissime, per il duo Agostini-MV Agusta: una in classe 350 al GP d’Olanda, in giugno, l’altra in 500 nella penultima prova del Campionato, il GP di Germania che si teneva nel mitico Nürburgring Nordschleife. Quella in terra teutonica fu l’ultima vittoria di un GP per la MV Agusta, nonché l’ultima vittoria a quattro tempi del Motomondiale, fino all’avvento della classe MotoGP. E proprio al Nurburgring, il 24 aprile 1965, Agostini vinceva per la prima volta una gara del Mondiale, all’esordio su MV Agusta, oltretutto con la ancora sperimentale 3C portata proprio lì per la prima volta in gara, dando paga alla prima guida MV Hailwood su 4C.