Cosa guiderà Fernando Alonso alla media di oltre trecento chilometri orari per oltre due ore e mezzo di gara? Un’automobile, una vettura IndyCar. Di più: la Dallara DW12, equipaggiata del motore e dell’aero-kit Honda, preparata dall’Andretti Autosport ed etichettata col numero 29.
Progettata da Luca Pignacca, Andrea Toso e Sam Garrett, è l’arma segreta con cui la Dallara Automobili ha vinto ancora l’appalto della IndyCar Series per fornire il telaio a tutte le squadre iscritte al campionato. È intitolata da Dan Wheldon, il pilota americano morto in un incidente a fine stagione 2011 e che aveva dato un contributo allo sviluppo dell’autovettura.
Il telaio è monoscocca in fibra di carbonio, con una struttura a nido d’ape in kevlar per garantire maggiore robustezza. Lunga 5012,3 mm e larga 2011 mm, ha un passo variabile a seconda delle configurazioni. Sui circuiti ovali, in cui si predilige maggiore stabilità a causa delle alte velocità raggiunte sulle curve paraboliche, il passo raggiunge i 3073,4 mm. Nella versione per circuiti stradali, in cui è necessaria più maneggevolezza, scende invece a 2997,2 mm. La vettura, alta 1127,9 mm, pesa circa 701kg nella configurazione Indy.
Siccome sui circuiti ovali (come Indianapolis, appunto: quattro curve a sinistra da 90° uniti da lunghi rettilinei) il carico laterale è elevato, le sospensioni e gli pneumatici del lato destro sono rinforzati. Anche in campo aerodinamico tutte le regolazioni vanno messe a punto in maniera asimmetrica. Monta inoltre dei parafanghi posteriori per impedire il decollo degli inseguitori.
In assetto Indianapolis, il motore può raggiungere i 575 cavalli motore. A battersi sono la Chevrolet e la Honda, con quest’ultima che cerca il riscatto dopo una serie di scoppole ricevute dalla rivale americana. Il motore resta un 2.2 litri V6, con angolo di 90° gradi tra i cilindri. È un bi-turbo montato longitudinalmente e la trazione è posteriore, come in tutte le formule di livello. Il carburante è bio-etanolo E85 fornito dalla Sunoco, e arricchito al 15% da benzina.
Da qualche anno la Honda ha una supremazia sui circuiti ovali e l’anno scorso riuscì a dominare le qualifiche della gara storica. Anche se in gara la Chevrolet riuscì a infilare qualche pilota nelle posizioni di testa, l’alloro andò poi ad Alexander Rossi, debuttante dell’Andretti che riuscì a bere il latte di Indy grazie a una strategia folle. In ogni caso, è una buona notizia per Fernando: l’asturiano può contare, sulla carta, su un propulsore all’altezza della concorrenza – se non migliore.
Sul telaio-base fornito da Dallara, dal 2015 Chevrolet e Honda sono stati autorizzati a montare dei propri pacchetti aerodinamici sviluppati in proprio. La Casa giapponese ha avuto parecchi problemi nel mettere a punto il suo, dovendo addirittura chiedere una deroga l’anno scorso per riaprire lo sviluppo (già in fase di freezing). Quest’anno però non sono ammessi ulteriori sviluppi tecnici all’aerodinamica e i due aero-kit sembrano equivalersi. La Honda, in difficoltà cronica sugli stradali l’anno passato, ha colto due vittorie su tre allo start e quindi dovrebbe essere senza dubbio la favorita sul catino più famoso del mondo.
Il cambio è sequenziale, a 6 marce più la retro, semi-automatico e azionato dal volante come in Formula Uno. Ma il vero problema è che nella IndyCar manca il servosterzo, particolare che la rende una disciplina molto fisica. Non dovrebbe essere un fattore di preoccupazione per Alonso, che ha una preparazione e segue un allenamento tali da metterlo al riparo dalla fatica.
Ultima chicca: come gli suggerisce Luca Filippi a Race Anatomy, Alonso dovrà guardarsi da un particolare. A Indy, se alzi il piede, la macchina non rallenta. Il carico aerodinamico è molto basso…