“Chissà cosa mi aspetta”, penso poco dopo essere stato sottratto dalle braccia di Morfeo dal suono elettronico della sveglia. Guardo l’orologio: nel buio della stanza d’albergo una retroilluminazione verdastra mi informa che mancano poche decine di minuti allo scoccare delle 7. Decido di alzarmi. “Già è tanto che tu sia riuscito a prendere sonno, visto quello che ti aspetta”, mi dico. Scosto la tenda che oscura la finestra dell’hotel: il cielo è sereno, ed il sole ha da poco fatto completamente capolino oltre la linea dell’orizzonte. Le ombre sono lunghe, la luce è tenue, pallida, e non ho bisogno di aprire la finestra per capire che la temperatura dell’aria è ancora in bilico tra il fresco della notte ed il caldo del giorno. Mi scappa un sorriso, perché la riconosco. E’ la stessa atmosfera che ho vissuto a Monza prima e a Misano poi, quando F1 e MotoGP mi avevano fatto capire che le giornate, nel mondo dei motori, iniziano presto e finiscono tardi. Ed è un’atmosfera che, almeno nella mia vita, sa tremendamente ed inconfondibilmente di Motorsport.
Un mondo del Motorsport che stavolta è pronto ad accogliermi in maniera diversa. In F1 e MotoGP, infatti, ho avuto la fortuna di vivere un weekend di gara come un membro di un Team: ho sentito la tensione crescere man mano che si avvicinava il cruciale momento della gara, ho percepito l’ansia per il risultato, ho compreso la soddisfazione che si prova nel raggiungere un risultato di squadra. Stavolta invece, grazie all’aiuto ed al supporto di Audi Sport Club Italia, non sarà così: perché durante il weekend monzese del Lamborghini Super Trofeo e del Blancpain GT Endurance Series non sarò ospite di un Team, ma di un marchio. E non di un marchio qualsiasi, ma del marchio più importante dei suddetti campionati: Lamborghini. Che, tramite la sua Squadra Corse e le sue Huracàn, ha plasmato praticamente dal nulla uno dei trofei monomarca con più successo al mondo ed ha contribuito ad elevare tantissimo il livello di competizione all’interno del Blancpain.
Il nome “Squadra Corse”, infatti, non indica un team ufficiale. Non c’è un box Lamborghini, così come non c’è quello Ferrari, o quello Mercedes, o quello McLaren. I campionati GT, e me ne rendo conto non appena varcato l’ingresso del Paddock, sono il regno incontrastato dei team privati. Sugli enormi camion allineati ordinatamente nel retrobox dell’Autodromo Nazionale di Monza campeggiano sì i marchi delle Case, ma non sono mai da soli: vengono affiancati da sigle, cognomi, simboli, tutti riconducibili ai privati proprietari dei vari team. Perdo rapidamente il conto di quanti siano i rimorchi, le uniche cose immobili in un paddock già brulicante di attività, ed arrivo all’hospitality Lamborghini, facilmente riconoscibile dai due grandi vessilli neri che fanno sventolare fiero il simbolo del Toro e dalla mostruosa Huracàn Performante parcheggiata a guardia dei due ingressi. Apro la porta piuttosto emozionato – nei confronti di certi marchi ammetto di nutrire ancora un profondo rispetto – e espleto qualche procedura di registrazione in più del normale. Sì, perché mentre in pista inizio a sentir ronzare le piccole e rabbiose monoposto della Formula Renault, mi vengono consegnate le chiavi di una Lamborghini Huracàn che Lamborghini Squadra Corse mi ha messo a disposizione per qualche ora per un test su strada.
“Qualche ora” che è stata decisamente sufficiente per darmi parecchie cose da dire sulla Huracàn, un’auto impressionante sotto tutti i punti di vista. Ma questa è un’altra storia, e dovrete pazientare qualche giorno per sentirvela raccontare. Le ore scorrono veloci al volante del mostro da 610 CV di Sant’Agata Bolognese, e torno in Autodromo appena in tempo per il Media Workshop che Lamborghini ha organizzato con Pirelli, il marchio che per il Toro è molto più di un semplice fornitore di gomme: è infatti dal 1963 che il gommista milanese crea pneumatici per le vetture di Ferruccio Lamborghini, creando una sinergia che ha forse pochi eguali nel mondo dei motori. Pirelli sa cosa serve a Lamborghini, e Lamborghini sa come sfruttare al meglio le Pirelli. Seduti tra le incombenti e minacciose figure di una Huracàn Super Trofeo e di una Huracàn GT3, io ed altri giornalisti veniamo istruiti sulle specifiche delle gomme destinate ai campionati GT, su quanto il loro sviluppo sia legato a quello che viene portato avanti nella F1, su come Pirelli si sia trovata di fronte a dover creare uno pneumatico in grado di garantire una durata adeguata a quella richiesta da una gara endurance pur dovendo gestire prestazioni più simili a quelle di una gara sprint. Il tecnico Pirelli, nella sua esposizione, non si dilunga molto: gli è infatti sufficiente quello che ci ha raccontato per farci rendere conto che assecondare le necessità di team, piloti e macchine diversi, potendo fare affidamento su una sola mescola, non è esattamente uno dei compiti più facili che possano essere assegnati ad un produttore di gomme.
E forse il relatore non si dilunga molto perché, essendo meno distratto di quanto non lo fossi io dopo le ore trascorse a zonzo sulla Huracàn, aveva più chiaro in mente il programma della giornata. Non facciamo infatti neppure in tempo ad alzarci, una volta scemato l’applauso, che una serie di boati fa vibrare i vetri della sala dove si è tenuto il workshop. Tempo pochi secondi e ogni boato si tramuta in un ringhio rabbioso, con la Pit Lane che si anima di colpo delle auto del Blancpain che iniziano a fare capolino in pista, pronte a divorare la pista. “E se il Blancpain è iniziato” – mi dico – “allora vuol dire che è ora di pranzo“. E quale pretesto migliore per attraversare tutto il Paddock, che rispetto all’ora del mio ingresso si è riempito ulteriormente? Probabilmente nessuno. Mi getto dunque di nuovo tra i rimorchi dei camion dei team, e osservando la miscellanea di persone che mi passano attorno non posso non notare l’estrema somiglianza di questo Paddock con quello della MotoGP. Mi affiancano e mi superano, lungo il percorso che dalla sala del workshop porta all’hospitality Lamborghini, famiglie con bambini urlanti al seguito, nonni mano nella mano con nipoti estasiati dalle supercar che transitano nel Paddock, gruppi di amici, coppie di fidanzati. Il tutto inframmezzato dai quad strombazzanti dei team che trasportano pneumatici e carene e dai caschi luminescenti e tirati a lucido dei piloti, anche loro immersi e sommersi da quella fiumana di gente che anima il Paddock e lo rende rumoroso, variegato, colorato, pulsante. In una sola parola, vivo.
E’ tra un maccherone e l’altro, mentre penso a quanto lavoro abbia da fare Liberty Media sotto questo punto di vista, che nell’hospitality Lamborghini mi rendo conto di un’altra caratteristica che rende il mondo GT completamente diverso dalla F1 e dalla MotoGP: il numero dei piloti. Sia il Super Trofeo che il Blancpain, infatti, sono campionati nei quali ogni auto è guidata da due piloti – tre nel caso del Blancpain Endurance – , che obbligatoriamente devono scambiarsi al volante nel corso della gara. Sempre con i miei fidi e gustosi maccheroni sotto il naso, rifletto su come la vecchia regola “Il primo avversario di un pilota è il proprio compagno di squadra“ qui subisca un’eccezione. Qui “pilota” sembra quasi essere un concetto allargato, che coinvolge indistintamente le due parti dell’equipaggio. Il primo avversario potrà essere l’auto gemella, ma mai chi condivide con te la stessa macchina. Il dover guidare in coppia richiede un certo affiatamento, ed è rarissimo trovare un equipaggio che non dia l’idea di coesione: i piloti si lasciano andare a battute tra di loro, si muovono assieme nel Paddock, mangiano insieme, ridono, scherzano. Guardandoli da lontano, magari senza tute addosso, sembra di trovarsi di fronte a degli amici di lunga data, di quelli che hanno condiviso tanto nella vita. Poi però scopri che magari sono compagni di team da nemmeno un anno, e allora ti rendi conto di quanto guidare un’auto da corsa, lottare per la vittoria, rischiare la vita assieme crei dei legami di un’intensità mostruosa in un lasso di tempo parecchio breve. Immerso in queste riflessioni, spazzolo via anche l’ultimo malcapitato maccherone e mi precipito verso la pista: man mano che li osservavo, infatti, i piloti si sono diretti verso la griglia di partenza, perché di lì a qualche minuto scatterà Gara-1 del Super Trofeo.
Se c’è una cosa che in F1 e MotoGP non ho avuto modo di fare, quella cosa è la Grid Walk. Un viaggio attraverso gli sguardi, i movimenti, i silenzi dei piloti nei minuti immediatamente precedenti allo spegnimento dei semafori. Mi sono sufficienti pochi passi per capire che tutti i piloti, sia quelli che sono già in macchina, sia quelli che sono fuori, hanno già la visiera calata. Quelli negli abitacoli delle Lamborghini, materialmente: sono seduti nelle loro Huracàn, visiera semi aperta per lasciar entrare un refolo d’aria, annuiscono meccanicamente alle raccomandazioni ed ai consigli degli ingegneri, alcuni di loro muovono la testa con lo sguardo fisso lontano, teso a ripercorrere i km e le curve di Monza. Quelli che invece non sono ancora negli abitacoli, la visiera l’hanno abbassata figurativamente: ci sono occhiali a specchio a coprire gli sguardi, cuffiette nelle orecchie ad isolarsi dal mondo, teste basse e mascelle serrate. Alla tensione per la gara imminente si somma quella causata dal non poter essere in pista da subito e dal dover affidare il destino di un weekend nelle mani di un altro. Intravedo, vicino alla Huracàn #23 che parte dalla Pole, Jonathan Cecotto, pilota e fiero “Pescatore” classe ’99. Solamente pochi minuti prima mi aveva salutato, sorridente ed apparentemente rilassato: ora il suo viso, quello di un ragazzo con 18 anni ancora da compiere, è una maschera di concentrazione. Ora sì che li riconosco, i piloti: sguardi di ghiaccio, volti tirati, movimenti misurati ma colmi di tensione, un mondo totalmente diverso dal nostro chiuso dietro quelle visiere fumé. Sono tutti già in gara. Qualcuno vi direbbe che lo sono da pochi minuti, da quando hanno calato il casco sulla testa o hanno indossato la loro tuta. Io, che credo che piloti si nasca e non si diventi, vi dico che sono tutti già in gara da una vita.
La sirena dell’Autodromo suona, ed indica che è arrivato il momento di sgomberare la griglia. Nei campionati dove si corre da singoli, in questo momento i piloti vengono lasciati con loro stessi. Nel GT invece, con gli equipaggi, mi rendo conto che gli ultimi momenti prima che si accendano i semafori sono vissuti in coppia. I piloti che scenderanno in pista nel secondo stint si chinano verso i loro compagni: frasi di incoraggiamento, strette di mano decise, consigli, ringraziamenti ed in bocca al lupo. Trasuda la lucida consapevolezza che, qualsiasi risultato si ottenga, lo si è ottenuto in coppia. Ed è mentre osservo queste scene che sento tuonare il primo scarico Capristo da qualche parte nello schieramento, subito imitato da uno scarico gemello. Tempo pochi secondi e la griglia di partenza ha preso vita, in un tripudio di cavalli pronti a scatenarsi sul nastro d’asfalto brianzolo. Ho giusto il tempo di tornare nell’hospitality Lamborghini per assistere alla partenza lanciata della gara che subito noto come il fatto di non essere tra le fila di un team, ma di essere tra quelle di un marchio fornitore, porta gli uomini Lamborghini a vedere la gara con un atteggiamento diverso rispetto ai ragazzi della Force India o della Honda. Il risultato conta, è vero, ma non è la cosa più importante: loro mirano a fornire un prodotto che sia perfetto, che non tradisca squadre e piloti, che permetta a chiunque lo acquisti di avere la possibilità di vincere. Nel Super Trofeo si guarda con attenzione il comportamento delle vetture, non quello di un singolo team o di un singolo equipaggio.
I 45 minuti di gara scorrono veloci nell’hospitality, accompagnati dal grido dei V10 delle Huracàn che si sfidano sul circuito brianzolo, ed una volta sventolata la bandiera a scacchi mi dirigo verso la sala stampa del circuito. Decine di giornalisti e fotografi affollano le sedie dell’enorme salone posto proprio sopra la corsia box, e si respira un’aria densa di passione quando, fendendo a metà la sala per raggiungere Simone e Alberto – i due fotografi del sito, ndr -, ascolto le riflessioni sulla gara, i commenti sulle foto e le previsioni per Gara-2 del giorno dopo. Ci si sente tutti parte di una grande famiglia, nella quale si è accomunati dalla stessa passione per i motori. Inizio a sistemare i video e le foto della giornata, e tra una chiacchiera e l’altra quasi non mi rendo conto che il sole sta pian piano scomparendo dietro le tribune dell’Autodromo, indicandomi che è arrivato il momento di lasciare la sala stampa.
Quando mi lascio alle spalle l’ingresso del Paddock, la luce rossastra del tramonto ha quasi completamente inghiottito l’azzurro del cielo, dandomi il segnale che questa prima giornata si è effettivamente conclusa. Una giornata di Motorsport diversa dalle precedenti, ma che ha saputo comunque raccontarmi parecchio. “E domani”, penso tra me e me, “c’è Gara-2 del Super Trofeo e la gara del Blancpain”.
Chissà cosa mi aspetta…
Foto: ASPhotography