Il World Rally Championship saluta ufficialmente il concetto di Power Unit, caratteristica cardine delle Rally1 attualmente impegnate nel Mondiale, annunciando che dal 2025 le auto risulteranno prive dei sistemi ibridi, più leggere, più economiche e più intuitive da guidare per coloro che arriveranno dal WRC2. Basterà questo per risollevare le sorti di un campionato che non sta di certo vivendo i suoi giorni migliori?
Motori ibridi, addio. La notizia, circolata a livello di ipotesi concreta già diversi mesi fa, è stata confermata dalla Federazione Internazionale dell’Automobile ancora prima che il sipario sia calato definitivamente sul Mondiale Rally 2024: le Rally1, le vetture che continueranno a essere utilizzate nel World Rally Championship, a partire dal 2025 faranno a meno dei propulsori ibridi e ricorreranno invece a un carburante sostenibile al 100%.
Il cambiamento rispetto al recentissimo passato è netto, e rappresenta il sostanziale fallimento di un’idea nata nel 2018 e attuata nel 2022, l’anno in cui hanno fatto il proprio debutto le Rally1 per come le conosciamo ora. Voluta fortemente nel tentativo di attrarre nuove case costruttrici, la propulsione ibrida ha finito per ottenere un risultato quasi diametralmente opposto a quello sperato. A causa sua infatti i costi di realizzazione delle Rally1 sono aumentati e, a fronte del ritorno d’immagine non così imponente derivante dall’attuale WRC, nessun brand ha pensato che il gioco potesse valere la candela. In brevissimo tempo si è capito che l’investimento non sarebbe stato in alcun modo giustificabile o sostenibile, e nell’elenco iscritti – così come nell’ultimo anno di vita delle WRC Plus – figurano ancora solamente Hyundai, Toyota e Ford, con quest’ultima presente peraltro non in forma del tutto ufficiale ma nelle vesti di “supporto” a M-Sport. Ben presto, inoltre, a valutazioni di tipo prettamente economico si sono affiancate riflessioni più attinenti all’ambito delle prestazioni, dato che la motorizzazione ibrida non ha portato con sé tangibili miglioramenti o cambiamenti dal punto di vista velocistico. La dimostrazione concreta di ciò l’ha data Martins Sesks, debuttante nel venerdì del Rally di Polonia dello scorso giugno: il lettone, al volante di una Ford Puma Rally1 priva del sistema ibrido, zavorrata per simulare il peso delle batterie e adeguatamente sflangiata per raggiungere lo stesso rapporto peso-potenza delle Rally1 “tradizionali”, ha chiuso 2° nella Stage 2, 3° nelle Stage 3, 5 e 6 e 4° nella Stage 4. Così, per dire.
A complicare lo scenario complessivo del World Rally Championship ha provveduto anche una grave emorragia di personaggi, di campioni in grado di alimentare l’ardore dei tifosi grazie alle loro imprese, alla loro personalità e spesso anche alle loro rivalità. La presenza solamente part-time di fenomeni del calibro di Sebastien Loeb, Sebastien Ogier e Kalle Rovanpera ha diluito l’attrattiva che il WRC ha sul pubblico generalista, facendo sì che solamente lo zoccolo durissimo di appassionati del rally rimanesse fedele alla categoria. Contro il World Rally Championship rema fortemente anche l’era attuale, quella del “tutto-subito-e-anche-spesso” che ha costretto i vertici della categoria a domandarsi se – e soprattutto come – modificare un format del weekend rimasto a lungo uguale a sé stesso. A fronte di calendari motoristici che si infittiscono e si sovrappongono, a fronte di gare Sprint che fioccano da ogni dove, il WRC mantiene ancora oggi inalterato il proprio format di tre giorni per ciascuno dei “soli” 13 eventi che compongono la sua stagione: un qualcosa di inaccettabile per chi gode di una soglia d’attenzione media di 3”.
Come se non bastasse, infine, il World Rally Championship si è impegnato non poco nel rendere ancora più difficile l’appassionarsi alla categoria. Il nuovo sistema di punteggio, già ampiamente criticato su queste stesse pagine virtuali diversi mesi fa, ha il merito di essere straordinariamente controintuitivo. L’essere stato il più veloce a completare tutte le Prove Speciali previste in un rally non garantisce più il maggior numero di punti a disposizione, e se è vero che l’appassionato può apprezzare questa scelta (che spinge a impegnarsi maggiormente nell’arco delle tre giornate di gara) è altrettanto vero che il “casualone”, sintonizzato sulle frequenze del WRC una volta ogni morte di Papa, difficilmente capirà perché il vincitore di un rally si ritrovi a fine evento con meno punti del pilota che è arrivato 2° o peggio.
È all’interno di questo panorama, a tratti già desolante ed esposto a ulteriori peggioramenti qualora Hyundai dovesse decidere di abbandonare il WRC per accasarsi nel WEC, che andranno a innestarsi le modifiche volute e decise dalla FIA per il prossimo futuro. L’ibrido, come detto, scomparirà per lasciare spazio a un carburante sostenibile al 100%; il peso delle vetture passerà dagli attuali 1.260 kg ai 1.180 kg figli della scomparsa del pacco batterie; la flangia dei motori 1.6 turbo sarà di 1 mm più corta rispetto a quella attuale, diventando così lunga 35 mm per mantenere inalterato il rapporto peso-potenza tra le vetture del 2024 e quelle del 2025. Trasformazioni dunque e non rivoluzioni, imposte nonostante nei mesi passati le Case avessero storto il naso di fronte all’eventualità di ritrovarsi private dell’ibrido: ha senso – si chiedevano – rimuovere forzatamente e dopo soli due anni di utilizzo una tecnologia per il cui sviluppo sono stati investiti migliaia e migliaia di €? La domanda appare lecita persino agli occhi di chi, come me, crede che l’introduzione del sistema ibrido sia stata un errore compiuto a monte oltre 6 anni fa, quando le prime nubi si addensavano sul futuro del WRC.
Dalla risposta a questo quesito dipende un altro pezzettino della credibilità della FIA, una Federazione che vive nella speranza che questo drastico cambiamento di rotta possa segnare un’inversione di tendenza in seno al WRC. In caso contrario, ipotizzare che i marchi che finora hanno retto il destino di un intero Campionato del Mondo possano voltargli le spalle non è poi così impensabile: se Hyundai, Toyota e Ford dovessero decidere di abbandonare un Mondiale che, a causa di una programmazione per nulla lungimirante, li ha costretti nell’arco di tre anni prima a introdurre, poi a mantenere e infine a rimuovere una tecnologia, beh… chi potrebbe biasimarli? Io non di certo.