Dopo più di due settimane di gara, nel deserto è tornato a regnare il silenzio. Nessun motore a ruggire all’orizzonte, nessuna nuvola di polvere che si avvicini dando traccia della gara. Anche l’ultimo granello di sabbia sollevato dalla Dakar 2023 si è ormai posato sulle dune dell’Arabia Saudita, ed è forse giunto il momento di lasciarsi andare a qualche considerazione.
Credo che le prime righe debbano essere dedicate al percorso, uno dei grandi indiscutibili protagonisti della 45ª edizione di quello che continua a essere il rally raid più affascinante del mondo. È vero quello che di lui dicevano David Castera e compagni prima del via: potrebbe essere uno dei più duri che la storia recente della gara ricordi. Conferme in questo senso sono arrivate praticamente da ovunque: piloti, meccanici, addetti ai lavori e appassionati sono stati unanimemente concordi nel sostenere che, rispetto alle scorse Dakar, quella del 2023 è stata di tutt’altra pasta.
Viene difficile, andando a memoria, individuare un’edizione che sia stata in grado di eliminare il suo campione in carica (Sam Sunderland tra le moto, ndr) addirittura nella prima Stage. Ed è forse altrettanto complesso ricordare un’annata in cui la gara delle auto sia stata decisa nel bel mezzo della prima settimana a causa di forature e incidenti occorsi ai quattro quinti dei piloti favoriti per la vittoria finale. A posteriori viene da chiedersi quanto questo giovi alla gara, oltre che alla salute dei partecipanti: alle infernali 8 Stage d’apertura hanno fatto seguito 6 Speciali in grado di spaventare più sulla carta che in concreto, con il minaccioso Empty Quarter e la temuta tappa Marathon che non hanno trovato più nulla da stravolgere dopo gli sconquassi causati dalla prima settimana. Le mie considerazioni sono traviate dall’interesse che ho nei confronti dell’aspetto mediatico della corsa? Ammesso e non concesso. Dopo aver visto però l’organizzazione della gara (sì, la stessa che ha disegnato il percorso) annullare integralmente una Stage per Moto e Quad a causa della stanchezza accusata dai piloti, il dubbio che qualcuno abbia forse sbagliato i propri calcoli sorge.
Riflessioni sull’assennatezza del tragitto a parte, la Dakar 2023 ha consegnato agli archivi del rally raid successi e delusioni, eccellenti in uguale misura. Nasser Al-Attiyah ha di certo scritto il proprio nome all’interno della prima categoria, grazie a una prima settimana di gara semplicemente perfetta. Il qatariota sulla carta avrebbe dovuto patire maggiormente proprio le prime Stage, dalla conformazione concettualmente più vicina ai rally che non ai rally raid, ma l’assoluta imprevedibilità della Dakar ci ha consegnato una realtà molto diversa: Al-Attiyah infatti non solo ha retto l’urto, ma è addirittura andato all’attacco imponendo un ritmo che ha costretto i suoi avversari a spingere sin dall’inizio. Loeb e le Audi sono naufragate in rapida sequenza proprio nel non facile tentativo di stargli davanti, e a quel punto per il qatariota la strada per il successo era pressoché del tutto spianata: amministrare un simile margine è stato ordinaria amministrazione per un pilota esperto come lui, ed è verosimile credere che l’unica difficoltà incontrata nella seconda metà di gara sia stata convincersi di dover alzare il piede e concedere così tutte quelle vittorie di Stage a Loeb.
Lucas Moraes e Guerlain Chicherit sono poi altri due nomi che meritano una menzione d’onore, almeno per quanto riguarda le auto. Il brasiliano e il francese, veri e propri outsider sconosciuti ai più al via della Dakar, si sono rivelati tra gli assoluti protagonisti di questa edizione della gara. Il brasiliano – peraltro all’esordio – ha impressionato per costanza potendo fare affidamento anche sulla solidità del collaudato Toyota Hilux che, con buona pace delle dichiarazioni al vetriolo rilasciate da Al-Attiyah nei confronti di Audi, allo stato attuale delle cose è ancora l’auto migliore con cui affrontare una gara arcigna come la Dakar; il francese, dal canto suo, è costantemente stato tra i piloti più veloci del lotto riuscendo a centrare due vittorie di Stage e 9 piazzamenti in top five nell’arco delle 14 Speciali, venendo estromesso dalla lotta per le posizioni che contavano davvero solamente da un guasto occorsogli nella seconda tappa. Se le prestazioni sfoderate da entrambi non sono state figlie del caso, tanto il brasiliano quanto il francese potrebbero rivelarsi due underdog da osservare con molta attenzione nel corso dell’edizione 2024.
Confinando ancora la nostra analisi alle quattro ruote, la nota dolente che spicca di più nello spartito della Dakar 2023 è quella di Audi. La debacle dei Quattro Anelli è stata totale, e individuare il nome di un singolo responsabile all’interno di un deragliamento di tali proporzioni è impresa praticamente impossibile. Le difficoltà patite dalla RS Q e-tron dell’esordio potevano essere in qualche misura comprese e perdonate, quelle vissute dall’evoluta RS Q e-tron E2 no: i 12 mesi trascorsi macinando km e investendo budget faraonici in sviluppi di vario tipo cancellano infatti qualsiasi possibilità di giustificazione per una squadra che, oltre a un prototipo tecnologicamente avanzatissimo, è anche capace di schierare due tra i migliori piloti della categoria. Stephane Peterhansel, Carlos Sainz e Mattias Ekström sono stati – nell’ordine – messi fuori gioco dagli stessi problemi di affidabilità patiti nel 2022, quando l’esperienza e il budget investito erano minori, e la sgradevole sensazione che più di qualcosa non giri ancora a dovere nel complesso ingranaggio di Ingolstadt risulta quindi difficile da scacciare.
Con la stessa fastidiosa insistenza resta nell’aria anche il dubbio che, ancora una volta, Sebastien Loeb abbia commesso errori non da lui. Inserendo l’Extraterrestre tra le delusioni della Dakar 2023 so bene di rischiare – giustamente – il linciaggio per lesa maestà, ma credo anche che ormai l’alsaziano non abbia più la scusante di essere un neofita della categoria. Loeb (edizione 2020 esclusa) è presenza costante del rally raid dal 2016, e nonostante il fido Daniel Elena sia stato sacrificato sull’altare della maggiore esperienza di Fabian Lurquin i risultati stentano ad arrivare pur potendo fare affidamento sulla velocità conclamata dei mezzi utilizzati, Peugeot DKR 3008 o Prodrive Hunter che siano. È vero, Loeb nel 2023 ha vinto la bellezza di 7 Stage – 6 delle quali consecutivamente, un record – ma c’è da domandarsi quante di queste sarebbero state conquistate dall’alsaziano se Nasser Al-Attiyah si fosse trovato nella necessità di spingere davvero. Che il francese sia un fenomeno irripetibile è fuori da ogni ragionevole dubbio, ma gli errori causati da quella che sembra costantemente essere un’eccessiva fretta iniziano a essere troppi per non essere notati.
Chi invece non si nota a causa della sua perdurante impalpabilità è il resto dell’armata Toyota, composta da nomi più o meno altisonanti che però poco apporto danno alla causa del Sol Levante. Henk Lategan e Giniel de Villiers, sulla carta frecce importanti all’arco del marchio giapponese, all’atto pratico della Dakar 2023 si sono rivelate presenze effimere. In classifica assoluta alle spalle tanto di Loeb quanto del rookie Moraes (al volante di una Hilux esattamente come loro), nelle singole tappe spesso battuti anche da Guerlain Chicherit: i due sudafricani avrebbero dovuto supportare Nasser Al-Attiyah nella sua lotta contro lo squadrone Audi e l’alsaziano, ma i fatti hanno raccontato una storia completamente diversa. Vedere Toyota compiere delle scelte che non tengano conto di uno di loro – o addirittura di entrambi – potrebbe non stupire troppo in vista delle Dakar del prossimo futuro.
Dimezzando il numero delle ruote a disposizione e tornando ad analizzare chi ha stupito in positivo, il primo nome a venire in mente è quello di Kevin Benavides. L’argentino, in una Dakar complicatissima, ha affrontato in modo impeccabile dal punto di vista strategico tutte le Stage di questa edizione: veloce al punto da rimanere sempre agganciato al treno dei primi ma mai tanto da essere costretto a fare da battistrada in Speciali insidiose, il portacolori di KTM ha aspettato che si arrivasse alla vera e propria resa dei conti per cambiare marcia e assestare la zampata decisiva ai danni di Toby Price, altro pilota che fino alle battute conclusive era stato in grado di condurre magistralmente la propria gara. La presenza dell’australiano nei piani nobilissimi della classifica, però, non credo sia da considerarsi una vera sorpresa: Price è stato infatti presenza piuttosto costante nelle prime posizioni delle scorse Dakar, ed era quindi forse lecito aspettarsi che fosse tra i protagonisti anche in questa edizione della corsa.
Chi ha invece sfoderato una inaspettata prestazione è stato Skyler Howes, portacolori di quella Husqvarna che sino all’ultimo è riuscita a mettere il fiato sul collo ai due piloti di KTM. Lo statunitense è stato impressionante per velocità e costanza, e a essergli mancata sul finale è stata forse solamente una freschezza fisica dovuta al suo avere guidato costantemente al limite per tenere il passo di Benavides e Price, parsi in grado di tenersi qualche secondo decisivo in più nel taschino. Chi – come Howes – ha dato tutto è stato Mason Klein, assieme a Daniel Sanders velocissimo protagonista di questa Dakar 2023: sia lo statunitense che l’australiano hanno regalato spettacolo a più riprese, e considerata la giovane età di entrambi è impossibile non rendersi conto del fatto che al mondo del rally raid si sia affacciata una nuova e talentosa generazione di piloti. A fermare – o a rallentare – la gara di entrambi sono stati acciacchi fisici rimediati a seguito di capitomboli vari, ma ciò non toglie che tanto Klein quanto Sanders possano essere sin da ora considerati tra i favoriti per la prossima Dakar.
A proposito di favoriti: è tra quelli dell’edizione 2023 che, a mio avviso, devono essere individuati i protagonisti – ahiloro – in negativo di questa annata della gara. Sfortunatamente per lui, anche per motivi cronologici non si può non iniziare da Sam Sunderland, vincitore della Dakar 2022 clamorosamente costretto al ritiro dopo una manciata di km. Il britannico, che difendeva lo storico titolo conquistato con i colori GASGAS, ha terminato la propria gara ancora prima di iniziarla davvero: vedere vanificato così un intero anno di preparazione deve essere incredibilmente frustrante, soprattutto alla luce della velocità mostrata durante le ultime edizioni della gara. A condividere il destino non troppo felice di Sunderland è stato un altro dei recenti vincitori della Dakar, ovverosia Ricky Brabec. Lo statunitense della Honda, che nel 2020 è stato il primo a interrompere la striscia di successi consecutivi griffata KTM, è stato costretto ad alzare bandiera bianca ben prima che la lotta per la vittoria entrasse nel vivo: sono state infatti poco più di due le Stage affrontate da Brabec, che – suo malgrado – ha troppo presto privato la Honda di una delle sue punte. Infine, tra le note dolenti della Dakar 2023 finisce anche Mattias Walkner: l’austriaco, negli ultimi anni indiscusso protagonista della gara e sempre in grado di sfoderare dal proprio cilindro prestazioni di altissimo livello, quest’anno è clamorosamente mancato all’appello. Spesso ai margini della top ten se non addirittura al di fuori di essa, non è mai sembrato in grado di attaccare i primissimi del lotto. Il ritiro, purtroppo per lui, è stato l’amarissima ciliegina su una torta dal sapore molto aspro.