Non credo che mi stancherò mai di ripeterlo. La Dakar, come corsa, ha un fascino tutto suo, ineguagliabile. Ogni Dakar, partendo da quella africane e finendo alle attuali sudamericane, ha una storia da raccontare. Una storia fatta di sfide, di lotte, di sofferenze, di allenamenti, di sacrifici, di successi, di rabbia, di gioie, di delusioni. In quelle due settimane trascorse avvolti da turbini di sabbia, accolti da pietraie inospitali, coinvolti in una lotta contro sè stessi, contro i mezzi e contro la natura, i piloti della Dakar raccontano, ogni anno, la loro storia. Nell’edizione 2017, però, c’è una storia, tra le innumerevoli, che risalta di più, che è più scintillante delle altre: ed è quella di Gianluca Tassi, primo italiano diversamente abile a prendere parte ad una Dakar.
Qualcuno di voi, a questo punto, potrebbe già obiettare che il compianto Clay Regazzoni sia stato il primo. Obiezione lecita, ma errata. Regazzoni era nativo infatti di Mendrisio, nel Canton Ticino, ed era la croce bianca svizzera a sventolare sulle sue imprese. Il 56enne Gianluca Tassi, invece, è nato a Perugia, e non ha altra bandiera da sventolare che non sia il tricolore, vessillo che lo stesso Tassi ha riportato al via della Dakar dopo aver partecipato a quella del 1999 quando, in sella alla sua Cagiva, prese parte al Rally Raid più famoso del mondo prima che la vita decidesse di metterlo brutalmente alla prova.
Perché Gianluca Tassi nasce come motociclista. A 14 anni, nel 1975, esordisce nel Campionato Regionale Enduro, finendo primo in quell’anno e nei quattro successivi. Inevitabile quindi, nel 1977, il suo approdo anche nel Campionato Nazionale, nel quale trionfa come esordiente a soli 16 anni. Gianluca si fa strada a suon di successi e buoni risultati nel mondo dei Raid e dei Motorally, trionfando in sella a Suzuki, Yamaha, Honda ed Husqvarna fino a quando la Cagiva non lo assume come pilota ufficiale per prendere parte alla Parigi – Dakar. Era il 1999, e quell’edizione si concluse anticipatamente per Gianluca, costretto ad uscire di scena dopo la quinta tappa a seguito di una frattura della clavicola conseguente ad una caduta. Il tempo di recuperare dall’infortunio, tuttavia, e Gianluca era di nuovo in sella, pronto per partecipare nel 2000 al Rally dei Faraoni e per ottenere un 2° ed un 1° posto rispettivamente ai Campionati Italiano ed Europeo di Motorally. Le premesse per fare bene nel 2002 al Rally dei Faraoni ci sono, ma la gara di Tassi finisce addirittura durante il primo giorno, quando il pilota perugino si ferma per soccorrere il pilota ed amico Roberto Benasciutti, caduto davanti a lui.
Poi, nel 2003, la sorte decide di voltare per un attimo le spalle a Gianluca. In Perù, durante un viaggio organizzato per conto di BMW Motorrad Italia, l’anteriore della sua moto si chiude durante una curva. Gianluca viene scaraventato a terra, la testa fa perno sulla schiena e quando la caduta del pilota si arresta è già chiaro, a Gianluca stesso ancor prima che ai soccorritori, che ha perso l’uso delle gambe. Il trasporto di emergenza all’ospedale di Lima non fa altro che confermare quello che tutti avevano capito: Gianluca rimarrà costretto a vita su una sedia a rotelle.
Le persone che nascono per essere piloti, a mio modo di vedere, hanno nel vocabolario una parola in meno rispetto a tutti gli altri. Quella parole è il verbo “arrendersi”, che nel loro modo di pensare è un’opzione non contemplabile. Lo vediamo con Zanardi, lo abbiamo visto con Sausset alla 24 Ore di Le Mans del 2016, e lo vediamo oggi con Tassi nella Dakar del 2017. Perché l’approdo di Gianluca al Raid principe è frutto di anni di gare e di traguardi raggiunti.
Dopo il 2003, infatti, il mondo dei Raid a quattro ruote inizia ad interessarsi a lui, che era rimasto in veste di organizzatore nell’ambiente dei Rally non riuscendo minimamente ad allontanarsi dalla sua grande passione. La prima Casa automobilistica a dargli la possibilità di rientrare in corsa è la Isuzu, che fornisce a Gianluca un D-Max appositamente modificato con dei comandi al volante per partecipare in veste di pilota ufficiale al Rally del Marocco, che conclude in quinta posizione nella Classifica riservata ai veicoli diesel. L’esordio è molto incoraggiante, e l’interesse generato nei media, negli addetti ai lavori e nel pubblico dalla sua prestazioni spinge il Ralliart Offroad Team della Mitsubishi ad offrirgli, nello stesso 2006, un contratto da pilota ufficiale per correre diversi appuntamenti a bordo di un Pajero 3.2 TD T2. Affiancato da quello che è ormai divenuto il suo inseparabile navigatore, Massimiliano Catarsi, Gianluca in questa sua “seconda parte di vita” – come lui stesso ha definito la sua esistenza dopo l’incidente del 2003 in una recente intervista rilasciata a RedBull.com – nel 2008 si piazza 4° nella sua categoria all’Italian Baja.
Ma a Gianluca il quarto posto sta stretto, e nel 2009 torna prepotentemente alla vittoria. Vince infatti il Raid dei Templi in Campania, tappa del Campionato Italiano Tout Terrain, sbaragliando la concorrenza dei suoi colleghi normodotati e diventando il primo pilota diversamente abile a vincere una tappa in questo campionato. La bacheca dei suoi record si arricchisce quando nel 2011 è l’unico italiano, su 11 equipaggi nostrani partenti, a concludere la Baja Espana Aragon, mentre si toglie anche lo sfizio di chiudere 2° all’Italian Baja e 5° assoluto ad una tappa del Campionato Europeo Tout Terrain. Praticamente inarrestabile.
Poi, nel corso del 2016, ecco arrivare la chiamata dell’R Team, la squadra toscana allestita nel 1999 da Renato Rickler. La proposta è tanto semplice quanto ambiziosa: far correre Gianluca all’edizione 2017 della Dakar con uno dei Ford Raptor T2 che il Team porterà in Sud America. L’altitudine preoccupa un po’ Gianluca, così come le difficoltà, logistiche e fisiche, che un eventuale incidente potrebbe comportare. Ma la voglia e il desiderio di riuscire a realizzare il sogno di veder sventolare davanti a sé la bandiera a scacchi che sancisce la fine della Dakar, quello stesso sogno che un clavicola fratturata ha interrotto nell’ormai lontano 1999, è decisamente troppo grande.
E così Gianluca non ci pensa due volte e, sempre affiancato da Massimiliano Catarsi, si imbarca alla volta del Sud America, per cercare di portare a termine un’impresa dal sapore di leggenda. Il Day 1 è andato in archivio con un 67° posto assoluto, davanti a 13 colleghi normodotati, e c’è da scommettere che Gianluca sia sì contento, ma che non voglia accontentarsi solamente di partecipare, puntando invece ad andare il più avanti possibile in Classifica.
Perché d’altronde, quando si è piloti, si cerca sempre di andare più veloce. Anche quando la vita, per uno scherzo del destino, ha tentato di farti andare più piano.