Già qui qualcuno storcerà il naso. E ha perfettamente ragione. Il Campionato FIA di Formula E, che quest’anno corre la sua terza stagione, è infatti molto diverso dai suoi colleghi. È una serie «aperta» sul fronte tecnico: ma solo per quanto riguarda il motore. Alla maggior parte dei piloti poco importa corrervi, ed è per questo che il via-vai è continuo. I costi sono contenuti e la visibilità ottima. Ragion per cui i marchi di tutto il mondo stanno abbandonando i propri progetti per correrci.
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire a che serve questa formula nell’economia del panorama motoristico mondiale. Con un’attenzione sempre più spinta per il green factor, le grandi Case costruttrici stanno innovando la loro produzione stradale. I gruppi ambientalisti fanno pressione e il grande mito è il motore elettrico. Motore elettrico su cui grava un’incognita: è sostenibile? Al momento è poco efficiente e troppo inquinante. Ragion per cui Jean Todt pensò di creare un campionato interamente elettrico: offrire una vetrina competitiva ai grandi marchi, a basso costo, con buone probabilità di accelerare lo sviluppo tecnologico in quell’area.
Molti obiettano che il racing old style è ben diverso da questi ePrix in cui le macchine corrono per metà gara e poi cedono. Verissimo. Ecco perché la Formula E cerca in tutti i modi di superare questo «vizietto». Che però ha trasformato in sua sorte: tutto lo staff si vanta di essere l’unica serie al mondo che, anziché cambiare le gomme, cambia direttamente la macchina.
Incredibile poi come stia diventando straordinariamente popolare uno strumento che, introdotto in F1, avrebbe destato grande scandalo. Il FanBoost. Ovvero un mini-turbo assegnato tramite televoto (anzi, voto via social) dai fan a tre piloti per ogni gara. Un fattore tanto antisportivo riesce però a essere apprezzato proprio per come è. Cioè un piccolo bonus che funziona in un momento soltanto della gara, e che coinvolge il tifoso senza permettergli di influenzare l’intera corsa. In tal modo storce il naso ai soli puristi e non agli altri appassionati.
Ma il vero problema è che le gare sono spesso dei noiosi trenini in tracciati poco tecnici, i piloti non sono il massimo che l’automobilismo può offrire e le macchine, oltre a essere poco piacevolmente rumorose, sono anche semplici da guidare. Tutte obiezioni giuste, per carità. E senza smentirle la serie riesce però a trasformarle in punti di forza. I circuiti stretti portano l’eCircus tra la gente delle città più prestigiose del mondo. Tutti i piloti sono avvicinabili da chiunque e riescono ad avere una carriera variegata grazie alla leggerezza dell’impegno elettrico (in molti corrono nel seguitissimo DTM), creandosi una personalità ben definita e monetizzabile in visibilità. E alle macchine poco ortodosse gli organizzatori hanno risposto con design futuristici e accattivanti.
Oltre al capolavoro di trasformare le proprie debolezze in punti di forza, la serie conserva qualche spunto interessante. Oltre ad avvicinare molte città al mondo dell’automobilismo (New York, Las Vegas, Buenos Aires, Parigi, Berlino, Londra…) ha anche la capacità di attrarre piloti di tutto il mondo. Vero, in gran parte poco talentuosi come dicevamo su. Ma ci sono anche personaggi di tutto rispetto. Grandi ex della F1 (vedi Buemi e Di Grassi), piloti ruspanti a caccia di esperienza e visibilità (Frijns e Rosenqvist) e perfino oriundi dell’automobilismo americano, poco propenso a visitare l’Europa (Simona De Silvestro l’anno passato, ma anche Mike Conway).
Per tacere del fatto che vedere tanti marchi sportivamente attivi all’interno della serie è una gioia per gli occhi e per il cuore. Amplificata dalla diversità delle soluzioni adottate dalle squadre (motori doppi o singoli, da una a cinque marce…).
Insomma, la Formula E sarà anche tutto quello che un campionato motoristico non dovrebbe essere. Ma è carina proprio per questo. Un esperimento che qualsiasi appassionato considererà di certo insano a prima vista, e poi… semplicemente curioso. E se ha un grande seguito, non biasimate chi la apprezza: è soltanto un’altra filosofia.