È un lunedì dal sapore amaro, quello che il Motorsport sta vivendo all’indomani del drammatico fine settimana del Mugello. Non accenna a svanire, infatti, lo scoramento, la disperazione, il senso d’impotenza generato da quanto successo tra sabato e domenica al diciannovenne Jason Dupasquier, tragicamente scomparso durante il weekend del GP d’Italia.
Il mondo dei motori, come sempre accade dopo simili vicende, sta assumendo posizioni differenti in merito a cosa si sarebbe potuto – o dovuto – fare tra i saliscendi del Mugello una volta compresa la gravità prima e l’ineluttabilità poi dell’accaduto. Se Bagnaia e Petrucci (ma non solo loro) hanno preso posizione in un senso, quello della necessità di non correre in determinate situazioni, c’è anche chi, invece, si è detto a favore della prosecuzione del weekend di gara.
Tra coloro che fanno parte di quest’ultima categoria figura Franco Morbidelli, alfiere del team Yamaha Petronas SRT. “È stata una domenica molto difficile, ma è normale che lo sia quando devi entrare in pista dopo una notizia così” – ha esordito il #21 nel dopo gara – “Una cosa del genere ha un enorme impatto sulla tua mente, ti fa chiedere se sia corretto tornare in moto e fare il tuo lavoro, vivere la tua passione. Posso capire che alcuni piloti non avrebbero corso: è un qualcosa di personale, legato a ciò che ciascuno di noi prova sulla griglia. Alla fine, però, credo che non correre non avrebbe cambiato nulla. Farlo, forse, ha addolcito un pochino la domenica di tante persone. Questo è il bello e il brutto del nostro sport. So che può sembrare brutto da dire, ma non è la prima volta che succede e, purtroppo, non sarà l’ultima. Credo però che si debba andare avanti: a volte la vita è bastarda, è una merda, ma è la vita. E quindi devi andare avanti“.
“Quando si fa questo sport si tende a dimenticare, poi succede una cosa così e improvvisamente si risveglia la coscienza. La macchia nera prende la testa dei piloti, hai paura che possa capitare anche a te“ – prosegue Morbidelli – “Ecco, la cosa più grande contro cui dover lottare nel momento in cui si sale in moto è la macchia nera. La motivazione che ci spinge a correre è che tutto ciò è il nostro lavoro, la nostra passione e non farlo non cambierebbe nulla: non vedo come potrebbe alleviare il dolore dei familiari, o il nostro. Non correre può allontanare la macchia nera, ma se non corri credo sia peggio non solo per te, ma per tutte le persone che sono nel paddock e per quelle che ti guardano da casa”. “Correre, in un certo senso, ti fa esorcizzare la paura. Una paura che, chiaramente, hanno avuto tutti i piloti”, ha concluso l’italiano.
Alle dichiarazioni di un lato del box del team Yamaha Petronas SRT fanno eco quelle rilasciate dall’altro lato, quello in cui si trova Valentino Rossi. “Vorrei innanzitutto fare le mie condoglianze alla famiglia, al suo team, agli amici” – ha esordito il #46 – “Già ieri sera sapevamo che la situazione era molto critica, perché Sasaki l’ha preso sul casco. Certo, un conto è sapere che la situazione è grave, un altro è venire a conoscenza della sua morte. È chiaro che ti chiedi se abbia senso continuare e, probabilmente, non ce l’ha“. Penso però che nemmeno non correre abbia troppo senso, perché, purtroppo, quello che facciamo oggi non può cambiare quanto accaduto ieri. Certo è che diventa difficilissimo trovare la concentrazione: provi a fare le cose di sempre, stai con i tuoi amici, con la tua ragazza, con il team, ma non è la stessa cosa”.
“Il problema della Moto3 risiede nel fatto che siano sempre tutti attaccati, anche in qualifica si formano trenini di 6-7 piloti” – prosegue il pilota di Tavullia – “È molto pericoloso, ma non accade solo in Moto3: anche in Moto2 e persino in MotoGP siamo sempre tutti attaccati. Forse se si andasse più piano in tutte le classi potrebbe essere meno pericoloso, ma non si può fare nulla di fronte a questo tipo di incidente: tute e caschi sono migliorati tantissimo, ora abbiamo anche l’airbag, ma con dinamiche simili non puoi fare niente, come si è visto anche con Simoncelli e Tomizawa”. “Se fosse morto un pilota di MotoGP probabilmente non avremmo corso? Secondo me non sarebbe cambiato niente. Non si era corso in Malesia nel 2011, ma il Sic era morto in gara: non penso sarebbe cambiato qualcosa. Quando accadono queste cose, tutti avremmo voglia di impacchettare la roba e andare a casa. E poi? Domenica c’è già un altro GP…“, ha infine concluso Valentino Rossi.