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Il principe nigeriano che truffò la Formula 1. La storia di T-Minus e Arrows





La Nigeria: una Repubblica Presidenziale Federale dell’Africa centro-occidentale, patria di innumerevoli ed abbienti principi che passano le giornate scrivendo mail a sconosciuti per cercare di donare quei milioni che proprio non sanno più dove mettere. Un’occasione da cogliere al volo, soprattutto in vista del mio futuro matrimonio con la bellissima ragazza che mi ha scritto l’altro giorno su Facebook. Non tanto diverso deve essere stato il pensiero di  Tom Walkinshaw, proprietario della scuderia Arrows, quando nel 1999 venne approcciato da Malik Ado Ibrahim, intenzionato a lanciare il proprio nuovo brand T-Minus.

Malik Ado Ibrahim, GP di Australia 1999. @ Mark Thompson /Allsport /Getty
Malik Ado Ibrahim, GP di Australia 1999. @ Mark Thompson /Allsport /Getty

La Formula 1 è uno sport apparentemente ciclico e intrecciato, in cui determinati personaggi chiave riappaiono di volta in volta in storie lontane nel tempo e nel contesto, e in cui avvenimenti del tutto scollegati riportano un pattern assai familiare. Tra questi ultimi, uno degli esempi più eclatanti è il parallelismo tra T-Minus e Rich Energy: entrambi marchi apparentemente pieni di soldi ma senza acquirenti, entrambi prodotti di imprenditori eccentrici e peculiari, entrambi energy drink che hanno minato la sopravvivenza di una scuderia di F1. Molti avranno ancora in mente le grottesche vicissitudini che hanno caratterizzato il rapporto tra Haas e Rich Energy, ma non tutti ricordano la simile avventura nel Circus di T-Minus, brand del sedicente principe nigeriano Malik Ado Ibrahim.

Torniamo quindi all’autunno nel 1998. Sotto i riflettori della Formula 1 ci sono Mika Hakkinen e Michael Schumacher, intenti a contendersi il primo titolo della loro leggendaria rivalità. Ma i protagonisti di questa strana storia si trovano molto più indietro in griglia: con soli sei punti conquistati nel corso del campionato, la Arrows si appresta a concludere un’anonima stagione in settima posizione del campionato costruttori. Il telaio non è affatto nato male, ma la poca potenza emanata dal motore prodotto in casa costringe il team ad una stagione di magre consolazioni. Dopo un diverbio con Brian Hart, inoltre, Tom Walkinshaw si era trovato l’intera proprietà della scuderia tra le sue mani, con relativi onori e oneri. Per assicurarsi una sopravvivenza a lungo termine, la Arrows doveva trovare un grosso investitore.


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Fu pertanto un’apparente manna dal cielo l’ingresso nel team di Malik Ado Ibrahim, un personaggio peculiare con una storia poco illuminata alle spalle. L’investitore dichiara di essere il principe erede di una delle 75 famiglie nobili presenti in Nigeria. Abbandonato il proprio Paese natale in tenera età, Malik si trasferisce nel Regno Unito dove frequenta studi elitari, con alcune voci che parlano addirittura della Millfield School, la scuola più costosa d’Inghilterra con rate da oltre 15.000 sterline l’anno dove studiano i figli dei primi ministri e dei reali. La biografia del team Arrows fa proseguire la sua carriera universitaria in California, dove diventa poi imprenditore. Malik, sempre secondo la biografia della scuderia, “si dedica ad attività di marketing di alto profilo nei settori del cibo, dei viaggi, del petrolio e delle telecomunicazioni. In Nigeria possiede inoltre le licenze per le comunicazioni internet, mobile e satellitari”. Il principe racconta infine di aver preso parte ad una 24 Ore di Le Mans guidando una Lamborghini sotto pseudonimo. Il curriculum sarebbe pertanto di prima classe, se solo ci fossero fonti sufficienti per verificarne l’autenticità.

Viste le enormi pressioni economiche, tuttavia, Tom Walkinshaw non si cura di approfondire il piano di investimenti del principe: tutto quello che sa è che Malik Ado Ibrahim diventerà co-proprietario del team e verserà nelle casse una cifra da capogiro di 125 milioni di dollari. Malik, per dovere di cronaca, bazzicava da anni nel paddock della Formula 1 e non sembra uno sprovveduto, ancor di più col senno di poi: oggi suona quasi profetica la sua dichiarazione “Non c’è motivo per cui il prossimo Michael Schumacher non debba essere nero” e assai lungimirante la sua idea di ospitare un Gran Premio in Egitto per poi espandersi agli Stati del Medio Oriente. Ma non tutte le pensate del principe trovarono conferma nel passare del tempo: la più fallimentare fu senza dubbio T-Minus. Il nome rappresenta il conto alla rovescia, legato soprattutto ai lanci spaziali della Nasa, e avrebbe brandizzato un nuovo energy drink. Malik Ado Ibrahim decide quindi di organizzare il lancio del marchio direttamente in associazione con Arrows, così da legarne indissolubilmente il nome al prestigio della Formula 1. La livrea della scuderia comincia quindi a riportare, per l’appunto, un countdown. Arrivati al fatidico ‘zero’, nel momento in cui gli occhi del paddock erano tutti rivolti verso la Arrows, la scritta sul fianco della A20 passa semplicemente a ‘t+1’. Nessun evento speciale né  presentazione esclusiva; solo un potenziale buon marketing concept di Malik, arenatosi proprio nel momento del climax. Ma questa prima delusione sarà solo il preludio di un fallimento a 360 gradi.

Il conto alla rovescia di T-Minus sulla fiancata della Arrows A20
Il conto alla rovescia di T-Minus sulla fiancata della Arrows A20

Giornalisti ed appassionati del tempo cominciano a sollevare dubbi sul nuovo sponsor della Arrows già nella prima metà di stagione: nonostante gli ingenti finanziamenti previsti, lo sviluppo della monoposto risulta minimo e la A20 si trascina faticosamente nelle retrovie della griglia in una stagione martoriata da ritiri. Quando a inizio articolo si accennava agli intrecci della Formula 1 in particolare il riferimento era proprio al progettista del team: Mike Coughlan, che otto anni più tardi diventò protagonista della Spy Story tra Ferrari e McLaren, il più celebre scandalo della storia del Circus che vi abbiamo raccontato qui.

Tornando a T-Minus e al principe Malik Ado Ibrahim, il progetto non decollò mai e di fronte all’insuccesso l’imprenditore decise di far perdere le proprie tracce. Neanche un centesimo di quei 125 milioni promessi finì nelle casse della Arrows che subì un così forte contraccolpo da chiudere per sempre i battenti a metà campioanto 2002. Il principe tuttavia non scomparve del tutto dalla scena del motorsport, trasferendosi negli Stati Uniti. Lì verrà arrestato nel 2008 con l’accusa di aver rubato 750.000 dollari che avrebbe invece dovuto investire nella carriera del giovane pilota Nascar Robert Richardson Junior. Con altre denunce per frode ad investirlo, Malik tornerà in Nigeria dove lavorerà nel settore energetico nazionale fino ai giorni nostri.


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Sembrerebbe quasi impossibile che una scuderia di Formula 1 come Arrows possa essersi lasciata abbindolare senza nemmeno condurre ricerche approfondite sui piani e sulle finanze di Malik, ma ancor di più che la società bancaria e d’investimento Morgan Greenfell sia caduta nella stessa trappola. Il principe infatti era riuscito a convincere il fondo a sostenere la sua avventura in Formula 1 vantando accordi già siglati tra T-Minus e marchi di lusso come Lamborghini, che sarebbe stata interessata a motorizzare il team. Come se fosse necessario specificarlo a questo punto della storia, la casa di Sant’Agata Bolognese ovviamente non ne sapeva nulla.

Per dovere di cronaca dobbiamo riportare anche il punto di vista sulla faccenda dello stesso Malik che, pur non fornendo prove contro le accuse, così descrive l’accaduto: “Un uomo nero. Un Nigeriano. Un Musulmano come me che ha rotto gli schemi imposti di uno sport come la F1 non era cosa da poco. Hanno [Chi? Non è dato saperlo, NdR] quindi usato i mass media per macchiare la mia reputazione”.

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Carlo Ferraro

The author Carlo Ferraro

Classe tanta e '96, comincio a seguire la Formula 1 all'età di sette anni. Da lì la passione per le corse non smette di crescere, fino a far diventare il motorsport parte integrante della mia quotidianità. Ad oggi, tramite FuoriTraiettoria, sono accreditato Formula 1 e Formula 2.