I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini,anzi,quasi vicini, perchè fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finché non li si scopre.
E’ complicato essere numeri primi. Forse quel che troviamo nei romanzi è il miglior modo per spiegare quel che accade. E’ complicato spiegarvi cosa può essere stato questo periodo in Ferrari. Ognuno di noi ha un suo sogno nel cassetto, e quello di Vettel era di diventare pilota della scuderia Ferrari. Insomma in quanti ci sono riusciti? Pochi, pochissimi, e ne ha piena consapevolezza. Sapete, lui è rimasto nel limbo dei numeri primi, quel numero cinque e quel numero uno. Troppo solitari da prendere, acciuffare, così pesanti nell’universo automobilistico e nel suo piccolo mondo. Così vicini ma anche così terribilmente distanti. Certo, sotto quella visiera lo immaginate come una fredda macchina calcolatrice, dato che così è stato in Red Bull – poche preoccupazioni, pochi pensieri: eh sì la gioventù -, ma in Ferrari no, è un’altra storia. E’ come quando si incontra l’amore, quello vero, perché c’è un’enorme differenza tra l’amore e l’innamoramento. Con la Rossa è stato amore, fidatevi. Ad un certo punto si è perso: l’aveva sempre desiderata più di ogni altra cosa. L’amore è complicato da spiegare, ma c’è un momento in cui esso tesse trame silenziose. Come quando guardate la persona di cui siete innamorati e, senza parlare, vi perdete nel suo mondo, nei suoi occhi, irrimediabilmente. Già, questo è ciò che è successo a Sebastian Vettel.
Il suo è stato un viaggio in mezzo ad un sogno, leggiadro accanto alle nuvole, senza capire la distanza che lo separava dalla terra, appeso a un filo leggero e invisibile. Questo è stato un problema: essere avvolti dal sogno senza avere i piedi per terra. Quando arrivano incomprensioni e difficoltà, mantenerlo vivo senza problemi estraniandosi da tutto e tutti è dannatamente complicato: subisci tutto in prima persona, senza alcuna protezione sei in balia di quella onda vibrante, di emozioni, aspettative e di consapevolezza. Sapete, non c’è peggior cosa della consapevolezza del rendersi conto che le cose non vanno come devono, come dovrebbero andare, come se il fato giocasse in modo avverso. Quel gioire a un certo punto si è interrotto, proprio quando dopo anni di costruire sentivi che tutto stesse andando per il verso giusto, quando in quel 2018 finalmente hai avuto la sensazione che il tuo sogno si stesse per realizzare, ed invece c’è qualcosa che non va per il verso giusto. Svanisce, ad un passo dal raggiungimento, ad un passo dal paradiso, lì dove pochi sono arrivati prima di lui. Lì, proprio accanto a quel che da bambino è stato un idolo per Sebastian, il suo obiettivo: raggiungerlo, eguagliarlo, vincere dove aveva vinto lui, semplicemente essere come Michael Schumacher. E’ la sensazione peggiore che si possa trovare. Come un moderno Icaro, anch’egli si è ritrovato a volar troppo vicino al sole.
“È colpa anche dei tifosi e dei giornalisti, perché quando è stato annunciato Leclerc hanno distrutto Vettel dicendo ‘Leclerc è il nostro futuro, grande che abbiamo Leclerc’. Questo ha fatto un male incredibile a Seb. Troppo facile adesso avere giornalisti e tifosi che dicono ‘Povero Vettel, perché siamo così duri con lui?’.
No: questo è iniziato due anni fa, da tutti voi.”
Vorrei potervi dire quanto per un innamorato completo della Rossa come Vettel, le critiche – gratuite il più delle volte -, quei titoli accattivanti per i giornalisti, possano far male all’equilibrio di una persona, di un ambiente. Direte voi: “Guadagna fior di milioni, è il minimo saper accettare le critiche”. Ma non è così semplice: una società può basare e basarsi solo valutando il lato economico, senza valutare la persona, quel che prova, cosa accade dentro di lui? No. Ahimè, nessuno sembra volerlo capire al giorno d’oggi, e quel che prevale è solo e solamente il Dio Denaro: avaro come non mai della persona, del suo mondo, delle sue fragilità, delle sue difficoltà. Pare che l’essere pilota di Formula 1 discenda totalmente dall’essere persona. Sembra quasi che l’empatia sia un elemento di deficit, che il pilota di F1 debba essere solo e solamente anche lui macchina stessa, mero ingranaggio in grado di portare risultati, una sorta di autista degno del miglior Uber capace di portare da un punto A ad un punto B quella monoposto, raggiungendo l’obiettivo del rating da 5 stelle. Il miglior risultato che permette poi di avere gradimento sociale anche da chi non ha mai usufruito del servizio. Vorresti spiegare molto di più di quel che si legge in un’intervista, in un team radio o semplicemente dagli sguardi catturati dalle telecamere ma quando hai un mondo dentro è assai difficile dare forma a quel marasma interiore, puoi solo sfiorarlo. La competizione fa parte di questo sport, tutti i piloti lottano per essere “numero 1”, il campione del mondo, il campione dei campioni.
Ognuno di loro, per quanto non lo si voglia ammettere, ha bisogno di un ambiente favorevole e mai ostile altrimenti diventa tutto dannatamente complicato. Insinuazioni, silenzi e difficoltà con persone che fino all’altro giorno erano pronte a tenderti la mano e che ora si son volatilizzate nel nulla. Per cosa? Per incomprensioni, per elementi che tendono a influenzare l’ambiente, quel piccolo mondo che dovrebbe essere casa. Il riparo di ogni difficoltà. Molti credono che ci sia rivalità tra lui e Lewis, alla fine si giocano campionati del mondo da quando hanno esordito in Formula 1. C’è e ci sarà sempre, ma c’è soprattutto stima perché fanno un mestiere dannatamente pericoloso. E’ quel che abbiamo visto in Turchia dopo una gara perfetta di entrambi, dove l’esperienza ed il saper gestire la vettura commettendo meno errori possibili ha rappresentato la sintesi di ciò che significa essere Campioni. Campioni non solo dietro ad un volante, ma anche e soprattutto appena scesi da quei 1000 CV pulsanti, con quei complimenti così sinceri, con quella stima da onore delle armi. Anche tra lui e Charles è cosi: è vero, la rivalità c’è e ci sarà perché la F1 è l’ambiente in cui il tuo compagno di squadra è il primo dei tuoi avversari. Fidatevi però che c’è molto di più, c’è il feeling con l’auto, in cui se due piloti hanno due stili di guida completamente diversi, è difficile farli coesistere. E questo è un problema. Avrebbe voluto fare molto di più, ma ci sono dei limiti, che qualsiasi appassionato conosce e, anche se non conoscesse, potrebbe intuire. Chissà, forse doveva andare così… un innamorato tradito dal suo troppo amore. “Amor c’ha nullo amato amar perdona”.
Forse Sebastian Vettel non dirà mai tali parole, non dirà mai nulla su tutto ciò che accade ed è accaduto nello specifico in Ferrari. Di come da Re Mida sia passato ad essere valutato come un pilota di quart’ordine. Forse non ci saranno mai parole di spiegazione su quel che è accaduto negli ultimi anni, forse nemmeno lui spiegherà mai nulla. In questo mare di se e di forse che la vita propinqua, mi sono voluto solamente immaginare come ci si possa sentire dall’altra parte della visiera, del casco: quel Vettel dagli occhi profondi come il mare. Una parte schermata, dove emozioni e pensieri rimangono celati, sperando in un futuro dove l’empatia venga vista come un dono e dove, a mo’ di Walt Whitman, “Io non chiedo al ferito come si senta, io divento il ferito”. Ed in questo piccolo racconto di immaginazione calcante la realtà, ho provato empatia per un campione del mondo che oramai in questi ultimi mesi, con il suo sogno da bambino, viene afflitto da un male strano che lo porta a cadere, a non saper che pesci prendere. A Sebastian, io, voglio bene: pilota umano e riflessivo, capitato sotto una luce sbagliata ma con un talento cristallino.