Nel terzo appuntamento della nostra rubrica parleremo della creatura di Alain Prost, capace di partire forte ma precipitata in griglia nel corso degli anni.
Le origini di Alain da pilota a team principal.
Adelaide, 7 novembre 1993. Si è appena concluso il Gran Premio d’Australia, e sta andando in scena la cerimonia del podio. Sul palco delle premiazioni sono presenti, da destra, Damon Hill, terzo, Ayrton Senna, primo, e Alain Prost, secondo. Proprio per il francese questa è una gara storica. Infatti il Professore, dopo aver conquistato in precedenza, ad Estoril, il quarto titolo mondiale, ha oramai deciso di appendere il casco al chiodo. Certo, qualcuno potrebbe dire che è anche ora. Oramai la carta d’identità del transalpino recita trentott’anni, e in fondo si è tolto abbastanza soddisfazioni: all’epoca con le sue cinquantuno affermazioni era il pilota con più successi della storia della F1. E poi, oramai si è capito che per quelli della sua generazione non c’è più posto: in quell’anno giovani rampanti come Schumacher, Hakkinen e Barrichello hanno dimostrato come il futuro della F1 sia già alle porte. C’è però un’ultima questione rimasta in sospeso. Una questione che ha un nome e un cognome, e che è raffigurata proprio nell’uomo accanto a lui. Una questione chiamata Ayrton Senna. Proprio il brasiliano, insieme al francese, ha dato vita ad una delle più belle rivalità dell’automobilismo sportivo, in grado di infiammare i cuori dei tifosi: tanto preciso, analitico e prudente il Professore, tanto combattivo, veloce e funambolico Magic, e la consapevolezza di essere avanti anni luce rispetto alla concorrenza li ha spesso messi l’uno contro l’altro, e non solo in pista. La certezza di essere giunti all’epilogo di un capitolo così importante per entrambi, però, scioglie i due uomini sul podio. I due si abbracciano come vecchi amici, dimenticando tutti gli screzi dati e subiti, e Ayrton, vincitore della corsa, porta con se sul gradino più alto Alain in quello che è il suo ultimo podio, senza sapere, purtroppo, che resterà l’ultimo anche per lui. Le immagini di quel giorno restarono impresse nella memoria di molti, e i due strinsero anche un rapporto d’amicizia, che durò per il breve tempo che la vita concesse al paulista. Forse perché, in fondo, Senna non esiste senza Prost, e Prost non esiste senza Senna.
Si chiude così la carriera di uno dei piloti più forti che la storia dell’automobilismo abbia mai visto. Ma il richiamo della pista è forte, specie quando hai passato gli ultimi tredici anni a fare a ruotate con i migliori piloti del mondo. Alain decise quindi di accettare la richiesta della tv francese, TF1, detentrice dei diritti della F1 oltralpe, affinché si prestasse al ruolo di commentatore dei GP. Ricoprì questo ruolo per due anni, nel 1994 e nel 1995, compreso QUEL GP, Imola 1994, in cui commentò in diretta la morte del suo vecchio nemico. Il sacro fuoco delle corse non si era ancora spento dentro di lui, e in realtà non si è spento neanche ora, quando Alain è oramai un distinto signore di sessantacinque anni. In contemporanea, ritornò all’ovile, alla Renault che l’aveva reso celebre ad inizio carriera e con i cui motori si era imposto per la quarta volta, diventandone addetto alle pubbliche relazioni. All’inizio del 1995 Prost continua ad essere nel paddock, senza mai essersene veramente andato, dopo essere passato, anche questa volta, dalla Renault alla McLaren, in un ruolo di consulente molto simile a quello che anni dopo Michael Schumacher ricoprirà per la Ferrari. Questo ruolo gli permise di realizzare due cose: la prima fu quella di testare le vetture del 1994, del 1995 e, soprattutto, quella del 1996, prima ancora che la guidassero i piloti Hakkinen e Coulthard, potendo toccare con mano i progressi fatti dalla F1 (soprattutto in termini di sicurezza) da quando lui l’aveva lasciata; la seconda fu che lui, di restare a casa a guardare le corse, non ne aveva voglia; lui voleva esserne protagonista. Non come pilota, certamente, chi mai assumerebbe un quarantunenne fuori forma, anche se quattro volte campione del mondo? E poi, onestamente, non lo vuole neanche lui. Ma c’è un’altra cosa che avrebbe sempre voluto fare durante i suoi anni da corridore: voleva gestire un suo team di F1. Una cosa che ovviamente non avrebbe potuto fare mentre ancora indossava il casco, perché essere sia capo che subordinato di sé stesso sarebbe stato impossibile, forse non avrebbe avuto la giusta lucidità per valutare le cose. Ma adesso che la sua vita non si decideva più in una frazione di secondo tra una staccata al limite e una pesante uscita di pista, forse avrebbe potuto togliersi quest’altro sfizio. All’inizio del 1996, quindi, il francese iniziò a guardarsi intorno. Non voleva iniziare un’avventura improvvisata, voleva una struttura solida e una squadra rodata su cui contare: in fondo, era esattamente con questo atteggiamento metodico che aveva vinto quattro titoli. La sua attenzione cadde sulla Ligier, team di mezza classifica, ma che proprio quell’anno si era imposto in un pazzo GP di Monaco con Olivier Panis. Con l’aiuto del Governo Francese, eccitato dall’idea di avere in griglia un team tutto bleu, riuscì da un lato ad acquisire le strutture della squadra da Flavio Briatore, e dall’altro a convincere la Peugeot a rimanere nel circus, quando oramai la Casa del Leone, dopo la deludente esperienza con McLaren e quella così e così con la Jordan, era intenzionato ad abbandonare la classe regina dell’automobilismo. Tuttavia, le trattative con il motorista francese si conclusero con la stagione oramai alle porte, e questo portò Alain ad optare per il 1996 per i motori Mugen Honda, che avevano equipaggiato la Ligier l’anno precedente. Fu così che, nella lista degli iscritti al Mondiale di Formula 1 1997, con i numeri 14 e 15, figurò la Prost Grand Prix.
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La prima stagione e i primi podi.
La prima vettura della nuova avventura di Alain Prost in F1 fu la JS45, dove JS stava per Jo Schlesser e voleva rimarcare la continuità con le precedenti Ligier, contraddistinte da questa sigla. E a conferma di ciò, la JS45 era una sostanziale evoluzione dell’ultima auto prodotta dalla Ligier, sia nella colorazione, con il tipico blu francese, sia nella tecnica. Assieme al V10 Mugen Honda, la vettura montava le gomme Bridgestone, all’esordio nel mondiale e snobbata dai grandi team, che preferivano le collaudate Goodyear. A montare le coperture del Sol Levante erano solo loro, la Arrows, la Minardi, la Stewart e, per quel poco che durò, la Lola. Per quanto riguarda i piloti, accanto a Olivier Panis, vi era Shinji Nakano, voluto fortemente dai vertici Honda. La stagione iniziò oltre ogni aspettativa: ad un quinto posto del francese in Australia, agevolato anche dai ritiri di Alesi, Irvine e Villeneuve, seguì un’incredibile terza posizione in Brasile già alla seconda gara stagionale, dietro solo Villeneuve e Berger. A questi risultati seguì un doppio ritiro in Argentina, anche se bisogna ricordare che Panis viaggiava tranquillamente in seconda posizione, risultato che riuscì però a cogliere in Spagna. Certamente, la migliore arma a disposizione del team transalpino erano proprio le coperture Bridgestone, più dolci delle rivali americane, e capaci di permettere ai piloti che le montavano di spingere consumando di meno le gomme: proprio a Barcellona, infatti, l’usura degli pneumatici fu una chiave di lettura molto importante della corsa, e la bontà delle coperture giapponesi indusse i top team a pensare di adottarle già dall’anno dopo. Questi risultati eccellenti permisero al nuovo team di issarsi al quinto posto in classifica, ma soprattutto a Panis di piazzarsi terzo nella classifica piloti, dietro solo a Villeneuve e a Schumacher. Ma proprio quando la stagione sembrava potesse solo migliorare, iniziò a cadere la prima tegola sulla testa di Alain.
Tutto accadde durante il GP del Canada. Nel corso della cinquantaquattresima tornata Panis, mentre si trovava in settima posizione, ebbe un violento incidente contro il muro. La vettura si spezzò, provocando fratture multiple alle gambe del pilota francese, fatto che, seppur non fermò la sua carriera, sicuramente ne rappresentò un punto di svolta, perché da quel momento Olivier non fu più lo stesso. La gara venne sospesa e il pilota fu portato in ospedale, con Alain che dovette iniziare a scegliere un sostituto da mettere sulla Prost numero 15. La scelta ricadde su un giovane pilota italiano, che quell’anno stava disputando un’ottima stagione d’esordio al volante della Minardi: Jarno Trulli. Il pilota abruzzese subentrò al transalpino già dalla gara di Francia, e nelle sette gare che disputò con la scuderia del Professore dimostrò subito le sue doti: quasi sempre nettamente più veloce del più esperto Nakano, conquistò come miglior risultato un buon quarto posto in Germania, ma fu in Austria che fece vedere al mondo la sua classe per la prima volta. L’italiano infatti, dopo essersi qualificato buon terzo, riuscì a sopravanzare Villeneuve (autore di una cattiva partenza) e Hakkinen (alle prese con un guasto al motore) già nel corso della prima tornata, issandosi in testa alla corsa e iniziando a guadagnare secondi su secondi sugli avversari. A una quindicina di giri dalla fine, tuttavia, quando si stava già iniziando a materializzare la prima vittoria di un italiano dal GP del Sudafrica 1992 con Patrese, nonché i primi successi per Trulli e la Prost, accadde il disastro: prima esplose il V1o nipponico di Nakano e subito dopo, senza neanche il tempo di fare gli scongiuri, stessa sorte accadde al propulsore di Jarno, costretto ad arrestare la sua marcia trionfale a bordo pista. Chissà come sarebbe stata la storia, sia di Trulli che di Prost, se quel motore avesse retto fino alla bandiera a scacchi. Fatto sta che, nonostante tutto, Alain fu soddisfatto del rendimento del giovane di Pescara, e, nonostante questo dovette ricedere il sedile al rientrante Panis nelle ultime tre gare della stagione, riuscì a guadagnarsi la possibilità di correre per il 1997 nel team d’oltralpe, scalzando un Nakano i cui servigi erano oramai inutili visto che all’Honda sarebbe subentrata la Peugeot. Con un ultimo sesto posto di Panis al Nurburgring, la stagione si chiuse con 21 punti, un sesto posto e tante speranze per l’avvenire. Che purtroppo non furono confermate.
Il biennio 1998-1999: Trulli e Panis.
All’alba della stagione 1998 le aspettative per la Prost erano discretamente alte: una squadra collaudata, una vettura, la AP01, figlia dell’ottima JS45 dell’anno precedente, un’ottima lineup di piloti e un motore Peugeot che con la Jordan aveva stupito nel 1997. Tutto faceva presagire che l’annata sarebbe stata quantomeno al livello della precedente. Ma purtroppo così non fu per una serie di motivi. Innanzitutto, la vettura era nata con una trasmissione troppo fragile, incapace di coprire la distanza di gara, e quando lo faceva Prost e Panis erano ben lontani dalle posizioni di testa. Inoltre, a inizio anno il Professore aveva deciso di spostare la sede della propria squadra da Nevers a Guyancourt; il trasloco causò diversi problemi organizzativi che minarono la prima parte di stagione. A ciò si aggiunse la poca competitività del motore transalpino, ben distante dai vari propulsori Ferrari, Mercedes o Honda. Infine, sul fronte dei piloti, Panis risentiva ancora della tremenda botta canadese dell’anno prima. L’incidente sul circuito dedicato a Gilles Villeneuve, infatti, l’aveva costretto a disputare tutta la stagione 1998 con dei chiodi nelle gambe e con la paura di avere conseguenze ben più gravi in caso di incidente. Questo lo condizionò sia sul piano fisico che su quello mentale, e per tutto l’anno quasi sempre paga da Trulli. Con tutte queste premesse, la stagione non poté che rivelarsi un disastro: la squadra francese non colse nemmeno un punto per le prime dodici gare, e a salvare la stagione ci pensò Trulli, che agguantò un insperato sesto posto nella gara ad eliminazione di Spa, quando solo otto vetture riuscirono a vedere il traguardo. A fine anno la scuderia del quattro volte iridato giunse solo nona, davanti alle uniche Minardi e Tyrrell.
L’anno successivo vide invece una leggerissima risalita. Durante l’inverno Prost riuscì ad accaparrarsi John Barnard, l’ingegnere inglese che aveva già lavorato con lui in McLaren e in Ferrari. Nonostante un motore più potente, tuttavia, le prestazioni rimasero le stesse della stagione precedente. Punto di forza della Ap02 invece alla precedente era, piuttosto, l’affidabilità, che permise a Trulli e Panis di poter finire le gare, e aumentando quindi le possibilità di fare risultati utili. Il francese riuscì a fare punti già alla seconda gara ad Interlagos con un sesto posto, riuscendo a bissare il risultato ad Hockenheim, mentre l’italiano riuscì a giungere nelle stessa posizione a Barcellona. Degna di nota, la terza posizione conquistata da Panis in qualifica a Magny Course in condizioni meterologiche incerte. Fu il miglior risultato in qualifica della storia del team (ottenuto già in precedenza in altre due occasioni), e non venne mai più replicato. Comunque, a tre gare dalla fine la squadra francese era in ottava posizione in classifica con tre punti. Alla vigilia del GP d’Europa al Nurburgring era sotto di un solo punto rispetto alla Sauber. Sul leggendario circuito teutonico Panis fu in grado di ottenere un ottimo quinto tempo in qualifica, mentre Trulli si piazzò decimo. Dopo un via movimentato il francese si fece passare sia da Fisichella che da Irvine, e quando al diciannovesimo giro, sopraggiunto uno scroscio di pioggia, decise inutilmente di montare le rain, perse definitivamente la possibilità di andare a punti. Da dietro intanto l’italiano si rese protagonista di una prestazione suntuosa: sfruttando i guai occorsi ad Hakkinen, Irvine, Frentzen, Coulthard, Ralf Schumacher e Fisichella, e gestendo come un veterano le difficili fasi di gara di misto bagnato-asciutto, Jarno si fece sotto in classifica, fino a risalire in seconda posizione. Sospinto da un pubblico estasiato dalla stupenda gara che stava andando in scena, negli ultimi giri riuscì a difendersi egregiamente dalla Stewart di Barrichello, e alla bandiera a scacchi fu preceduto solo da Herbert. Fu il primo podio della sua carriera, ma di contro fu anche l’ultimo per la squadra di Alain, che nel terzo millennio non riuscì più a ripetersi. A fine stagione i punti conquistati furono nove, che valsero alla Prost l’ottava piazza iridata in classifica.
Il nuovo millennio: il declino e il fallimento.
All’alba del nuovo millennio la Prost fu costretta a cambiare la propria coppia di piloti. A Trulli e Panis, emigrati rispettivamente in Jordan e in McLaren (come collaudatore), subentrarono Jean Alesi, proveniente dalla Sauber (e che già era stato compagno di squadra di Prost in Ferrari nel 1991) e Nick Heidfeld, esordiente campione europeo di F3000 nel 1999. L’ampio budget della squadra, dovuto all’arrivo di nuovi sponsor come Playstation e Yahoo, illusero il Professore di poter disputare una stagione quantomeno ai livelli di quella precedente, ma la realtà rappresentò un duro colpo per il team francese. La AP03, la nuova vettura della Prost, era infatti lenta e inaffidabile, e durante tutto l’anno sia il tedesco che il francese non riuscirono a cogliere neanche un punto. Ad una situazione sportiva già tragica, si sommarono sia la squalifica contratta al Nurburgring di Heidfeld, la cui vettura fu trovata sottopeso alle verifiche tecniche, sia alcuni dissidi tra i piloti, che entrarono a contatto in Austria alla prima curva, terminando così la gara nella ghiaia. A fine anno, proprio per la scarsa competitività del mezzo, Heidfeld emigrò in Sauber, mentre Alesi decise di rimanere per quella che sarebbe stata la sua ultima stagione in F1.
Nel 2001 si cercò di invertire la rotta. Il motore Peugeot venne soppiantato da quello della Ferrari, rimarchiato Acer per motivi di sponsor, mentre alle gomme Bridgestone furono preferite le rientranti Michelin. Inoltre, sul ponte di comando della squadra subentrò anche Pedro Diniz, appena ritiratosi come pilota, che portò ingenti capitali a sostegno del team francese tramite la Parmalat. Infine, al posto di Heidfeld, giunse dalla Minardi il pilota argentino Gaston Mazzacane. Per quanto sul piano della prestazione pura la vettura continuasse ad essere carente, il motore Ferrari favorì l’affidabilità, tanto che Alesi riuscì a tagliare il traguardo in tutte le gare che disputò, arrivando anche ad assommare quattro punti con un quinto posto in Canada come miglior risultato. Ad una prima parte di stagione tutto sommato positiva, tuttavia, ne seguì una seconda tragica: Alesi lasciò la squadra dopo il GP di Germania (in cui giunse sesto per quello che rappresentò l’ultimo arrivo a punti della storia della scuderia) in direzione Jordan, e al suo posto arrivò Heinz-Harald Frentzen, proveniente proprio dalla squadra irlandese; sulla seconda macchina si alternarono invece ben tre piloti: dopo solo quattro gare e un dodicesimo posto, infatti, Mazzacane lasciò il posto al brasiliano Luciano Burti, che viene ricordato più per i due paurosi botti che lo videro coinvolto che per le sue gesta sportive: il primo fu in Germania, quando tamponò violentemente allo start la Ferrari di Schumacher che procedeva lentamente per un problema tecnico, e si ribaltò per poi schiantarsi contro le barriere; il secondo, invece, fu in Belgio, quando, durante un tentativo di sorpasso su Irvine, arrivò a contatto con il nordirlandese, perse l’ala anteriore e finì letteralmente dentro le barriere a Blanchimont, rimanendo bloccato in auto per lunghissimi minuti di panico. Proprio per questo secondo incidente, per le ultime tre gare gli subentrò il ceco Tomas Enge, esordiente che evidentemente non vedeva l’ora di debuttare in F1, ma che non giunse oltre un dodicesimo posto e che a fine stagione terminò la sua esperienza in F1. Siccome nessun altro riuscì ad eguagliare il risultato di Alesi, a fine anno il team giunse nono con 4 punti. Questi risultati non bastarono però a salvare il team: a fine stagione infatti Diniz lasciò la squadra, lasciandola in un mare di debiti. Il successivo abbandono di un altro sponsor di sigarette rappresentò il colpo di grazia per la squadra di Alain Prost, che all’inizio del 2002 fu costretto a dichiarare bancarotta, nonostante la AP05 fosse già in stato avanzato di progettazione. Si chiuse così la seconda avventura in Formula 1 di Alain Prost, decisamente meno brillante della prima, ma che non riuscì a scalfire la sua passione per il motorsport, che lo ha visto negli ultimi anni come protagonista, dapprima in Formula E, a capo della E-Dams in cui correva il figlio Nicolas, e adesso in Renault, proprio in quel team in cui nel lontano 1981 ottenne la prima di cinquantuno vittorie in carriera.
Risultati in F1.
83 Gran Premi
6° nel Mondiale Costruttori come miglior risultato
9° nel Mondiale Piloti come miglior risultato
2° posto come miglior risultato in gara
3° posto come miglior risultato in qualifica
3 podi
35 punti