66° giro del GP del Brasile, penultima prova della stagione 2019 di Formula 1. E’ da poco rientrata ai box la prima Safety Car, che ha ricompattato il gruppo, consentito a Max Verstappen ed Alexander Albon di conquistare rispettivamente la 1^ e la 3^ posizione – con Lewis Hamilton stretto nella morsa Red Bull – e lasciato le due Ferrari SF90 di Sebastian Vettel e Charles Leclerc a contendersi il 4° posto in classifica.
Il tedesco, scattato dalla 2^ casella dello schieramento e mai parso in grado di lottare davvero per la vittoria del GP, monta delle gomme Soft usate con 17 giri alle spalle. Il monegasco, dal canto suo, dopo aver preso il via dalla 14^ piazza ed aver risalito la china viaggia su dei pneumatici Soft nuovi che hanno percorso solamente 12 tornate. Il #16 pare più veloce, è più veloce, e non appena il #5 gli arriva a portata di tiro passa all’attacco: Leclerc buca la difesa di Vettel nella staccata di Curva 1, infilandolo all’interno e sorpassandolo in maniera decisa. Il 4 volte Campione del Mondo non ci sta: imposta Curva 2 e Curva 3 in modo da poter uscire con maggior velocità lungo la Reta Oposta e, non appena spalanca il DRS, si getta alla destra della Ferrari di Leclerc in modo da poter godere della traiettoria più esterna in vista dell’inserimento in Curva 4, la Descida do Lago.
Quello che è successo negli istanti successivi non serve neppure che io ve lo ricordi, ne sono certo. L’immagine delle due Ferrari SF90 vulneratesi in un fratricida harakiri è un qualcosa che rimarrà ben impresso nella mente di tutti gli appassionati per tanto, tanto tempo. Così come tanto, tanto tempo è stato occupato per individuare il responsabile di un simile naufragio nella gara che avrebbe dovuto segnare la riscossa del team di Maranello dopo il difficile weekend di Austin. Cercare di addossare la colpa – o la responsabilità, se preferiste – ad uno solo dei protagonisti è però, dal mio punto di vista, fatica sprecata. Perché per quanto accaduto durante il 66° giro del GP del Brasile sono responsabili tutti, senza distinzione alcuna.
Partiamo da Sebastian Vettel. Colui che, grazie a quell’inconfutabile immagine che ritrae la sua SF90 muoversi in diagonale verso la propria sinistra lungo la Reta Oposta, è stato immediatamente additato come unico – non principale, unico – colpevole di quanto accaduto tra le due Ferrari. A ben vedere, il #5 delle responsabilità per ciò che si è visto in terra carioca ce l’ha. Non tanto per l’aver tentato di replicare in fretta ad un sorpasso subito (se non lo avesse fatto non sarebbe un pilota di F1), quanto per l’essersi pervicacemente ostinato a muoversi verso sinistra nonostante lo spazio per impostare la curva successiva nel modo migliore fosse ormai già stato creato. La sua manovra, in termini di regolamento, non è scorretta: è avventata. Ed è avventata non per le modalità con cui viene effettuata (si sono visti scarti nettamente più bruschi anche in tempi recenti, una volta che un pilota aveva portato a termine un sorpasso su un rettilineo), ma per la mancanza di cautela nel considerare che alla propria sinistra, in quel momento, non ci fosse una monoposto qualsiasi ma quella del compagno di team.
Il gesto di Vettel era una chiara manifestazione di intenti: sorpreso all’interno di Curva 1 dalla staccata profondissima di Leclerc, il #5 voleva non solo riprendersi la posizione sul monegasco, ma anche mandargli un messaggio il cui contenuto non era troppo dissimile da uno “Stai al tuo posto”. L’errore del tedesco – grave concettualmente e catastrofico nelle sue conseguenze – è stato il non valutare con estrema, straordinaria, massima attenzione dove fosse la monoposto di Leclerc. Sebastian ha esordito in F1 nel 2007, ha 239 partenze all’attivo, un numero imprecisato di sorpassi compiuti ed un’esperienza pluriennale, dunque non è accettabile sentire un pilota del suo calibro giustificare un contatto simile con un semplicistico “Andavo dritto e pensavo di essere davanti”: Vettel avrebbe dovuto muoversi con i piedi di piombo in quella situazione (soprattutto alla luce del fatto che, dato il delta di velocità tra la sua SF90 e quella di Leclerc, di spazio per impostare in libertà la curva ne avrebbe avuto), e realizzare che procedere ad oltranza in diagonale era piuttosto superfluo dopo aver sgomitato quel tanto che bastava per crearsi sufficiente spazio alla sua destra.
Se dunque il tedesco ha una parte di responsabilità – per una manovra che, lo ricordo, oltre ad essere corretta in termini di regolamento è oltremodo comune tra i piloti -, un’altra parte la detiene Charles Leclerc. Sorvolando volutamente su fotogrammi che vorrebbero il #16 sterzare verso destra non appena viene affiancato da Vettel (Charles effettua infatti micro correzioni praticamente lungo tutta la Reta Oposta e dunque non si può parlare di sterzata da parte sua), il monegasco commette esattamente lo stesso errore di valutazione del tedesco: neppure lui, infatti, riflette troppo sul fatto di essere in battaglia con il compagno di squadra. Leclerc, piazzandosi al centro della pista in uscita da Curva 3, costringe Vettel ad iniziare la propria manovra di sorpasso con due ruote sulla riga bianca. E’ vero, il #5 tra sé e la SF90 #16 aveva un po’ di spazio, ma in quella fase Vettel ha con ogni probabilità mantenuto volutamente quel “vuoto” per evitare di transitare troppo vicino alla vettura gemella. L’essere stato costretto ad una manovra simile, tuttavia, non deve aver fatto eccessivamente piacere al tedesco che, come ricordavo poco fa, ha dunque deciso di sgomitare un pochino per ritagliarsi lo spazio di cui aveva bisogno.
E’ lì, nelle fasi in cui la SF90 di Vettel si affianca alla vettura di Leclerc, che il #16 commette il proprio errore di valutazione. Mettendo da parte qualsiasi cautela derivante dall’appartenenza alla stessa scuderia – così come Vettel -, il monegasco (pur essendo già all’interno e pur consapevole del fatto che il tedesco lo stesse superando a velocità doppia) decide di non concedere spazio ulteriore al tedesco, limitandosi ad assecondarne il movimento e mantenendosi ostinatamente a pochissima distanza dalle ruote della vettura gemella. Così come al #5 non sarebbe costato nulla arrestare con un po’ di anticipo il proprio movimento verso sinistra, al #16 – già in possesso della traiettoria sfavorevole e già superato in velocità – nulla avrebbe impedito di lasciare 30 cm di spazio in più a Vettel. 30 cm che, attenzione, sarebbero stati dettati dalla necessità non di piegarsi al volere del tedesco, ma di preservare la gara della propria Scuderia in una fase critica in cui anche la minima oscillazione della traiettoria avrebbe potuto portare (ed in effetti ha poi portato) a conseguenze sportivamente drammatiche. Leclerc in Brasile – e in particolar modo in quella fase della corsa – era più veloce del #5: a che pro dunque lottare con il coltello tra i denti per conquistare una posizione che, di lì a poco, sarebbe sicuramente stata? Per non perdere tempo nella rincorsa ad Albon, risponderanno molti di voi. Ma tra la possibilità di veder sfumare un podio e quella di far incamerare un doppio 0 alla propria scuderia, quale ritenete che sia la scelta da effettuare?
E’ dunque questione di scelte, questione di cosa un pilota possa – o non possa – fare. Ed è proprio tale questione che consente di individuare il responsabile principale di quanto accaduto durante il 66° giro del GP del Brasile alla Scuderia Ferrari: la Scuderia Ferrari stessa. Riavvolgiamo rapidamente il nastro della stagione 2019 di Formula 1: Bahrain, Spagna, Italia, Singapore, Russia, Brasile…ovunque i piloti Ferrari si siano trovati a lottare per uno stesso obiettivo il team di Maranello ha permesso che scaturissero malumori, polemiche e, nel caso specifico di Interlagos, addirittura incidenti. Riflettete: l’unico caso in cui il Cavallino Rampante ha davvero funzionato come una squadra è stato il GP del Belgio. Quello in cui, per via di un ritmo eccezionale, Leclerc stava lottando per obiettivi che non erano minimamente alla portata di Vettel.
Escludendo quanto accaduto dunque in quel di Spa-Francorchamps, la gestione di due fenomeni come Charles Leclerc e Sebastian Vettel da parte della Scuderia Ferrari è andato assumendo nel corso della stagione tinte prima imbarazzanti, poi sbagliate ed infine inaccettabili. Imbarazzanti nel momento in cui non si è imposto ad uno dei due piloti di lasciare strada a chi fosse più veloce (Bahrain e Spagna), sbagliate quando si è dato modo di pensare che i risultati dell’uno fossero figli di una sorta di contentino per comportamenti poco chiari dell’altro (la vittoria di Vettel a Singapore dopo l’inghippo creatosi con Leclerc nelle qualifiche di Monza), inaccettabili non appena si è concesso ai due piloti di dimenticare che, ben prima del concetto di “gara libera”, esiste il dovere di lavorare per la squadra nel momento in cui gli obiettivi personali latitano e deficitano. Manovre come quelle di Vettel e Leclerc non sono scorrette, sbagliate, pericolose in senso assoluto: sono imprudenti, superficiali, sciocche nel senso specifico dato dall’appartenenza ad una stessa scuderia, sia essa Ferrari, Red Bull o Mercedes (i cui piloti, nelle manovre di sorpasso, si lasciano spazio a sufficienza pur tentando manovre difensive).
Il sottrarsi dal prendere delle decisioni nascondendosi dietro al “Lasciamoli correre” non ha più ragione d’esistere, nel momento in cui entrambi i piloti fanno mostra di gareggiare – quando ormai in ballo ci sono piazze d’onore o poco più – senza riflettere su come, dove e quando ci si debba muovere, per rispetto nei confronti della scuderia, nel momento in cui si è alle prese con il proprio compagno di squadra. La speranza è che, nella sua sportiva tragicità, il GP del Brasile sia servito da lezione. Perché altrimenti, nel 2020 che si avvicina a grandi passi, la Scuderia Ferrari potrebbe sempre più spesso dover fare i conti con una responsabilità di tutti ed i risultati di nessuno.