In molti hanno aperto gli occhi: in America non si gira solo in tondo. La IndyCar Series sta recuperando credibilità internazionale e anche in Europa più piloti si interessano al campionato a stelle e strisce. Sta forse ripartendo l’osmosi che negli anni Ottanta rendeva le categorie molto più vicine di quanto lo sono adesso?
È notizia di pochi giorni fa che Marcus Ericsson debutterà nella stagione 2019 del trofeo americano. Il pilota svedese, scaricato dalla Sauber per far posto a Giovinazzi, guiderà la vettura #7 dello Schmitt Peterson Motorsport. Compagno di squadra di James Hinchcliffe, subentrerà perciò al povero Robert Wickens, l’astro nascente dal passaporto canadese recentemente coinvolto in un incidente terribile. (Tra l’altro si susseguono aggiornamenti sul suo stato di salute e sulle condizioni del suo lento recupero).
«Fa per me» ha dichiarato Ericsson a Racer.com. «Ne ho parlato anche con loro [Alexander Rossi e Fernando Alonso, ndr], ma pure con altre persone del business, con i piloti e con altra gente del giro. E con chiunque parlassi, avevano da dire solo cose buone della IndyCar e del correre lì».
I posti in Formula 1 scarseggiano ormai da anni: nel 2015 addirittura si è scesi sotto le venti unità negli ultimi 3 GP. E il ricambio generazionale ormai è in una situazione di grave crisi. Molti piloti si devono riciclare, e diversi hanno scelto la Formula E (Buemi e Di Grassi, e non solo loro). Ma l’elettrico non è racing in senso stretto. E se WEC e DTM non hanno (neanche loro) abbastanza posti, una sola formula sembra offrire ogni anno qualche sedile davvero appetibile. Per l’appunto, la IndyCar Series. Che gradualmente sta aumentando il parco macchine e adesso è in trattativa per trovare un terzo motorista e abbattere stabilmente il muro delle 25 vetture in griglia.
I riflettori sulla serie americana li ha accesi Fernando Alonso. Il due volte Campione del mondo ha corso la Indy 500 del 2016 ed è solo l’ultimo di una serie di piloti che ha cercato fortuna Oltreatlantico. In pianta stabile sulle vetture statunitensi ci sono due giovanotti che in F1 non avevano fatto faville ma hanno corso solo con vetture di serie C. Parliamo di Alexander Rossi (che quest’anno ha sfiorato il titolo) e di Max Chilton (okay, su di lui si può discutere). Ma va ricordato che anche Luca Filippi ha più volte cercato lo sbarco in America. E Valsecchi stesso, prima di tirare i remi in barca, aveva dichiarato d’essere interessato alla IndyCar.
Okay, direte voi: qualche pilotino è passato dalla F1 alla IndyCar e Alonso ha corso la 500 miglia. Cosa c’è di nuovo? Perché dovrebbero confermare una presunta tendenza? C’è davvero qualche interesse per la serie americana?
«Gli ovali mi spaventano un po’» ha ammesso Daniel Ricciardo in conferenza stampa al Gran premio degli Stati Uniti. «Ma è stato bello vedere Fernando farlo, e una parte di me si stava immaginando di essere lì… forse un giorno…». Una risposta incoraggiante è arrivata anche da Lewis Hamilton: «Mi piacerebbe decisamente provarci perché non ho mai guidato su un ovale prima d’ora, e le macchine vanno incredibilmente veloce e io voglio andare sempre più veloce». E ha aggiunto: «Sono certo che se avessi voluto andarci avrei potuto, ma crescendo in Europa non è una serie in cui crescendo speri di entrare». Con una noticina a margine: «Penso preferirei la NASCAR».
Non è il sottoscritto a dirlo, ma Chris Medland per Racer.com. «Per ora si ride e si scherza, ma Alonso ha aperto una porta, ed è chiaro che gli altri stanno prendendo un’idea del genere molto più seriamente che in passato». Insomma, Ericsson oggi, domani chissà?