Quel 1979 ha consegnato al mondo un Gilles completamente trasformato. Un uomo forte, con la testa per vincere non più solo gare ma anche campionati: oramai tutti si sono accorti di lui. Addetti ai lavori, pubblico e non solo, credono fermamente che la stagione 1980 sia la sua, sia quella che lo consacrerà campione del mondo. Tra lui e la vittoria però c’è qualcosa di inaudito, qualcosa di inaspettato, che risponde al nome di Ferrari 312 T5.
1980. Nonostante i pronostici fossero tutti per lui, la Ferrari nella continua ricerca all’innovazione decide di concentrare i suoi sforzi nello sviluppo della vettura per la stagione successiva, quella con il Turbo. La 312 T5 risulta quindi una sorta di versione aggiornata della 312 T4, e si trasforma in una delle peggiori Ferrari della storia, completamente inaffidabile. Né Scheckter né Villeneuve riescono ad incidere durante il campionato con risultati di rilievo, e non sono mai nemmeno realmente competitivi. Per Villeneuve arriva il ritiro alla prima uscita, in Brasile, dove dopo essere andato in testa ha un problema con l’acceleratore che ne decreta il ritiro. A Le Castellet, durante dei test privati, è addirittura vittima di un incidente a circa 280 km/h da cui fortunatamente uscì illeso, ripetendosi poi anche ad Imola. I primi punti arrivano addirittura in Belgio – con un sesto posto – ma la stagione prosegue in maniera incolore, concludendosi con un 5° posto come miglior piazzamento e la 14^ posizione nel Mondiale. La nota di rilievo, l’unica di quella stagione in Rosso, è l’addio alle corse del suo amico – prima che compagno di squadra – Jody Scheckter, a soli 30 anni. Disse che preferiva godersi la vita piuttosto che rischiare la morte ad ogni weekend con delle auto che erano arrivate a velocità molto superiori alla reattività ed ai riflessi umani. A fare le spese di questo aumento prestazionale, in quella stagione, era toccato a piloti come Jabouille e Regazzoni, costretti a rinunciare alla carriera, ed a Patrick Depailler, che provando la sua Alfa Romeo trovò la morte ad Hockenheim.
1981. Gilles oramai è un veterano, non solo della F1 ma anche di Maranello. E’ “uno di famiglia” – per quanto fosse difficile essere considerati tali quando c’era il Drake di mezzo -, ed inoltre era giunto il momento del debutto del motore Turbo anche per Ferrari. Quest’anno ad affiancarlo non ci sarà più Jody, ma un certo Didier Pironi. Un pilota parigino, madrelingua francese come Gilles, arrivato in F1, come tutti i piloti, con in mente un unico obiettivo: vincere. Pironi, quel pilota descritto da molti come un uomo fine di bella presenza, molto colto e soprattutto con un carattere tutto da decifrare. Forghieri, in un’intervista, dirà che non era affatto puro come Gilles, eppure Villeneuve lo accoglie sin da subito come un amico, come solo lui sapeva fare. S’instaura da subito un rapporto ottimo: i due passano molto tempo insieme quasi sempre a sfidarsi, anche su strade statali. Nonostante Pironi sia molto veloce, Gilles lo è di più. Quel percorso di maturità che ogni anno si nomina pare essere arrivato a conclusione: finalmente è un campione indiscusso e sa correre anche da campione. Dopo una prima parte di stagione di certo non entusiasmante, nella quale vola più di una critica specialmente in merito al GP di Long Beach – dove mentre era in testa azzarda un cambio gomme, finendo così in coda e non conquistando neppure dei punti – finalmente a Monaco si torna a vedere ciò che il pilota canadese è in grado di fare. A Monaco, a tutt’oggi un circuito pieno di insidie, con le F1 ci si sentiva miracolati quando si riusciva ad arrivare al traguardo. E’ un tracciato difficile, pieno di elementi inadatti ad una F1 per via del suo essere cittadino, per via di tutte quelle stradine dove nel resto dell’anno circolano auto stradali. Gilles, come sappiamo, è un pilota che ha un cattivo rapporto con i freni – si pensi che addirittura gli venne sostituito il pedale con uno più grande in modo che potesse sentire meglio la pressione da esercitare – e Monaco non era di certo il circuito più adatto a lui, ma sin da subito è velocissimo, riuscendo a centrare la 2^ piazza in qualifica. Sin dal via la gara si dimostra difficile per gran parte dello schieramento: tra incidenti e rotture, molti piloti sono costretti al ritiro. Alboreto, Andretti, Giacomelli e De Cesaris sono fuori per incidente. Piquet e Arnoux alzano bandiera bianca, ed a loro si uniscono a causa di guasti meccanici anche Prost e Reutemann. Ci sono tanti, troppi ritiri. Ma tra quei tanti ne manca uno, forse quello che alla vigilia i più maliziosi davano come quello più papabile. Manca Villeneuve. L’aviatore prosegue indomito tra le stradine del Principato, non sbaglia un colpo, guida con il suo solito stile e, in tutta la sua maestria, conduce in solitaria il GP fino a portare la sua Ferrari 126 K alla vittoria. E’ un tripudio nel Principato: Gilles sale sul podio completamente stremato, ma consapevole che quella vittoria vale, vale molto di più di tante altre. Il Time addirittura gli dedica la copertina – prima volta per un pilota -, come a sancire un’incoronazione proveniente non solo da parte delll’universo sportivo, ma anche dal resto del mondo. Gilles oramai è un mito oltre che un vincente. L’impresa di Montecarlo si ripete al GP successivo, in Spagna, dove in una prova del mondiale combattutissima Gilles, nonostante una Ferrari inferiore alle sue rivali, riesce a guidare con una precisione assoluta che gli permette di vincere la tappa iberica. Pensate che tra lui ed il 5° classificato c’era meno di 1″ di distacco al termine del GP. Le successive prove del Mondiale vengono però funestate da problemi al motore, e per il Circus è arrivato il momento di approdare in Canada.
Canada ’81. Qui va in atto la migliore prova di ciò che Gilles Villeneuve era in grado di fare dietro ad un volante. Quel che lo rendeva unico rispetto a tutti gli altri piloti. Un capolavoro che ancora ad oggi trova difficilmente spiegazioni se non in quelle dell’estro e del talento del Canadese. Per via di una qualifica non entusiasmante, Gilles scatta dall’11^ casella: è indietro, nella parte centrale dello schieramento, una parte piena di insidie. A complicare il tutto c’è la pioggia torrenziale, che limita qualsiasi forma di azzardo per qualsiasi pilota. Ma non per l’Aviatore, che di lì a poco metterà in scena un qualcosa di inimmaginabile. Pronti, partenza, via e Villeneuve inizia sin da subito ad andare veloce, molto veloce. Sembra quasi che guidi sull’asciutto, recupera posizioni su posizioni, fa segnare giri veloci a ripetizione: è incontrastabile. Al 38° giro però accade qualcosa: durante un doppiaggio di una Lotus c’è un contatto, ed il suo alettone anteriore – già messo a dura prova da un contatto iniziale – si piega. Gilles però continua come se niente fosse, come se l’auto fosse completamente stabile e perfetta, senza nessun tipo di guasto. L’alettone balla, si piega sempre più, ma Gilles non ne vuole sapere di ritornare ai box e prosegue fino a che, dopo 17 giri in condizioni sempre più precarie, l’ala anteriore si flette al punto da ostruirgli la visuale. Con una visibilità pari allo zero ed un alettone che praticamente è molto più vicino al suo casco che all’asfalto, Gilles prosegue con una Ferrari che sbanda indomabile, riuscendo però a tenerla in pista. Non vedeva la strada, dirà poi in una successiva intervista, e per 3 giri guida seguendo le linee asciutte della traiettoria. Gilles, da ex campione di motoslitte, è abituato a non vedere le strade, ed il suo stile di guida nel corso della carriera venne completamente influenzato da ciò. In perenne controsterzo, con la macchina che scivola sinuosa sull’asfalto, come se fosse la sua natura, sinuosa nell’uscire di traverso e tremendamente naturale. In quei 3 giri Gilles le tenta tutte, in una situazione di pericolo assurda, e sui rettilinei fa ondeggiare la macchina per liberarsi di quella appendice aerodinamica ormai divenuta inutile. 3 volte ci prova, ed alla fine la terza è quella buona. I successivi 5 giri che lo dividono dalla bandiera a scacchi li percorre senza alettone, senza equilibrio, scodando ad ogni tocco di acceleratore con il pubblico di casa in visibilio, affetto ancora una volta da “J’ai la fievre Villeneuve”. Al traguardo è 3°, al termine di un’impresa unica, pericolosa, che solo lui poteva fare. Il mondo è in visibilio: è accaduto qualcosa che nei circuiti non si era mai visto. Gilles ha regalato ai suoi tifosi, ed ai tifosi in generale, un arazzo degno del miglior Monet, è riuscito a tessere qualcosa di più che un 3° posto, qualcosa che si avvicina al mondo dell’imprese e delle gesta Omeriche, qualcosa che entrerà nelle memorie di una generazione e non solo, eleggendolo a mito.
Arriviamo così al 1982. La stagione inizia bene per la Ferrari, con la 126 C2 che durante i test fa segnare il nuovo record della pista di Fiorano. I test però non sono lo specchio dei GP, e nelle prime apparizioni arrivano ritiri ed una squalifica a Long Beach per un’ala irregolare. Un mondo sommerso quello di Gilles in questa stagione, una brutta fase della sua carriera con sullo sfondo problemi familiari: pare infatti che ci fosse una relazione extraconiugale con un’altra donna e che sua moglie Joanna avesse per questo chiesto il divorzio. Al GP di San Marino, durante una lotta di potere tra le varie federazioni, si presentarono al via solamente 14 vetture. La battaglia in pista è tutta tra Ferrari e Renault, con le vetture della scuderia francese che partono dalla prima fila seguite dalle Rosse. Un avvincente duello, con le due Ferrari che prima raggiungono, poi seguono ed infine sopravanzano le vetture francesi, piazzandosi davanti a tutti anche grazie alla rottura del Turbo da parte di Arnoux. Le vetture procedono in prima e seconda posizione, fino a quando dai box viene esposto un cartello con scritto “SLOW”. Per evitare rischi inutili, nel pre-gara si era deciso che se a metà del GP ci fosse stata una prima ed una seconda posizione Rossa, le posizioni sarebbero state congelate. Quel giorno però il vate dei box, Mauro Forghieri, è assente, ed è forse questo a scatenare un’incomprensione tra Pironi e Villeneuve. Gilles, memore di quanto accaduto a Monza nel ’79, crede che il compagno congeli la posizione. Dal canto suo, Pironi interpreta il messaggio come un’autorizzazione a duellare apertamente. I due si superano più e più volte: il canadese crede sia un gioco per divertire il pubblico ed accetta così il duello, scambiandosi le posizioni in più di un’occasione. Al penultimo giro Villeneuve sopravanza il parigino, puntando al traguardo mantenendo le posizioni e preservando le macchine, fiducioso nel compagno e nella sua lealtà. Si pensa che le due vetture vogliano arrivare appaiate al traguardo, con il francese mansueto alle spalle di Gilles, ma così non è. Alla Tosa, a sopresa, Pironi sopravanza Gilles tagliando il traguardo primo, a tradimento. Gilles è incredulo, distrutto, annichilito da un simile gesto di colui che fino a pochi minuti prima considerava un amico ancor prima che un compagno di squadra. Non vuole nemmeno salire sul podio, ci viene trascinato a forza dai membri del team Ferrari. Per il canadese ormai è guerra aperta in casa. La sua fiducia, la fiducia di quell’uomo così buono, a tratti quasi ingenuo, è stata violata, e questo va al dì là di ogni risultato sportivo. E’ una sorta di questione di principio.
1982. Zolder. Sono passate due settimane, dove nemmeno l’intervento di Enzo Ferrari ha sortito effetto. Nel box della scuderia di Maranello, tra i due piloti, vige una tensione degna della Guerra Fredda. Il mondo di Gilles, le sue certezze, stanno crollando: la stessa moglie con la sua famiglia, che era solita seguirlo in ogni tappa del mondiale, è assente. Un clima differente aleggia su di lui, tradito, abbandonato e nemmeno troppo difeso dal suo Team a livello pubblico. A quel punto la rabbia, la cattiveria agonista che ogni pilota ha, prevale anche sulla mente. Gilles è un pilota che già in condizioni di quiete assoluta è conosciuto per la sua impulsività dietro ad un volante. Figurarsi in una situazione del genere. Il suo obiettivo, ora, è uno solo: battere Didier. Essere davanti a lui in ogni modo possibile. Niente mondiale, niente gare: il suo mirino da cacciabombardiere è puntato sul francese e su tutto ciò che fa. Sabato 8 maggio, ore 13:50. Le qualifiche di Gilles non sono andate molto bene, è ottavo mentre Pironi è terzo. L’Aviatore però non ne vuole sapere di stare dietro al compagno di squadra: risale in macchina, ha solamente gomme usate, ma a Gilles va bene lo stesso. Deve tentare, deve farlo con tutto se stesso. Forghieri gli concede un solo giro: con quelle gomme, voler di più è francamente impossibile. Ma Villeneuve, ormai l’abbiamo capito, è un combattente nato, e nonostante sapesse che fosse impossibile decide di provarci lo stesso. L’opportunità gli è stata concessa, è tutto ciò che voleva. Gilles carica a testa bassa: è veloce, affronta le curve con incredibile aggressività, con tutta la rabbia del mondo che lo spinge. Affronta una chicane, ed in uscita dinanzi a lui ha Jochen Mass, intento a raffreddare le gomme. Probabilmente per una distrazione, l’Aviatore non si accorge che il tedesco cambia traiettoria e, in uscita prima della Terlamenbocht, urta con la sua ruota anteriore sinistra la posteriore destra del tedesco. La sua 126 C2 spicca il volo, si schianta contro le barriere: un pannello nell’impatto cede e il corpo del canadese vola fuori della vettura attaccato sedile, ricadendo dopo un volo di 50 metri sulle barriere. Le sue scarpe verranno ritrovate poi a 200 metri dall’accaduto, il volante a 180, il casco a 100. Un impatto violentissimo. Il canadese viene subito trasportato in eliambulanza alla clinica di Lovanio. Sono tutti increduli, nessuno vuole accettare una realtà che, di minuto in minuto, si delinea nella sua immane tragicità. Il braccio destro di Ferrari, Marco Piccini, esige addirittura la consulenza del miglior neurologo al mondo. Ma alle 21:12, dopo aver appurato che le lesioni che affliggevano l’Aviatore erano troppo gravi, su autorizzazione della moglie Joanna vengono staccate le spine delle macchine che ancora tenevano in vita il canadese.
Fu così che se ne andò uno dei piloti più incredibili che abbia mai messo le mani dietro un volante di una F1. Un pilota che ottenne risultati modesti, ma un pilota il cui valore esulava dai semplici numeri. Occhi blu profondi come l’oceano, che lasciavano trasparire la bontà del suo animo. Perché Gilles non si poteva non amare, Gilles era qualcosa sopra l’immaginabile, era qualcosa che in pista non si era mai visto. Ad oggi il suo mito rimane. Alcuni dicono che la morte lo abbia agevolato in questa sua sopravvivenza post mortem, ma secondo me non è così. E’ la sua unicità di pilota, di stile di guida, di persona che lo ha reso un mito. La sua morte, avvenuta in quel modo brutalmente violento, è solamente stata una coincidenza in linea con il suo stile di vita, che lo ha reso leggenda solamente un pizzico in più di quanto già non fosse.
«Il mio passato è pieno di dolore e di tristi ricordi: mio padre, mia madre, mio fratello e mio figlio. Ora quando mi guardo indietro vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve. Io gli volevo bene.» – Enzo Ferrari.