E’ notte fonda a Londra quando uno dei tanti nottambuli della capitale inglese, attorno alla metà dell’agosto 1991, sente litigare lungo la strada che passa davanti casa sua. Incuriosito, si dirige verso la finestra e sbircia tra le tende della sua abitazione: un tassista ed uno sconosciuto stanno discutendo animosamente a pochi metri da lui, sbraitando incuranti dell’ora tarda. Il litigio non accenna a placarsi, e lo sconosciuto ad un tratto estrae una bomboletta spray, la punta al viso del tassista e preme l’ugello. Il getto colpisce al volto il tassista, che urla portandosi le mani agli occhi. “Un cliente scontento armato di uno spray urticante”, pensa il nostro nottambulo mentre rimette le tende al loro posto e si decide finalmente ad andare a letto mentre le uggiose proteste del tassista echeggiano ancora nell’aria.
Ma Bertrand Gachot non era un cliente qualsiasi. Il belga, in quel 1991, era decisamente molto di più. Al fianco di Andrea De Cesaris era infatti il pilota titolare della Jordan, la scuderia di F1 di proprietà dell’omonimo Eddie. Un pilota che, di lì a poco, sarebbe dovuto scendere in pista tra le Ardenne, sul circuito di Spa-Francorchamps, per il GP del Belgio di Formula 1. Già, sarebbe. Se non fosse che l’ordinamento giudiziario inglese, nell’ormai lontano 1991, configurasse come reato l’utilizzo di uno spray urticante a mo’ di offesa. Probabilmente il nostro nottambulo non lo sapeva, e neppure lo sapeva Gachot, arrestato prima e giudicato colpevole poi dal tribunale di Londra, che venne condannato a diversi mesi di reclusione quando mancavano solamente 7 giorni al Gran Premio di Spa.
“Eddie, fidati: ingaggiamo questo ragazzo”. Doveva essere questo il contenuto della maggior parte delle conversazioni che, nelle concitatissime ore successive alla notizia del fermo di Gachot, Trevor Foster e Gary Anderson – rispettivamente Team Manager e Designer della scuderia – intrattenevano con Eddie Jordan, proprietario della squadra che a meno di una settimana da uno dei GP più iconici del Mondiale si ritrovava ad avere un solo pilota. Jordan li sente, ma in realtà non li ascolta: lui non vuole quel 22enne tedesco di cui parlano Foster ed Anderson a bordo di una delle sue monoposto. Lui, se Stefan Johansson e Derek Warwick si ostinano a chiedere soldi invece di portarne, vuole Keke Rosberg. Poco importa che il finlandese si sia ritirato addirittura 5 anni prima: riportare in F1 il Campione del Mondo del 1982 catalizzerebbe l’attenzione dei media – e degli sponsor – sulla piccola Jordan. “Eddie, fidati di noi. Prendiamo lui“. Jordan ci pensa su, è dubbioso. “Lui” non lo convince del tutto. E’ vero, con le Mercedes del Gruppo C sta andando fortissimo, ma ha solo 22 anni. E poi, ha mai guidato su una pista tecnica e difficile come Spa? “Almeno 100 volte!”, mente in maniera spudorata al telefono di Jordan il manager di quel giovane tedesco di Kerpen, il primo ad essere consapevole del fatto che il suo pilota, quel circuito, non lo avesse mai visto se non in fotografia. Le insistenze di Foster ed Anderson, unite alle telefonate martellanti – quasi una ogni ora – di quel Willi Weber, convincono Eddie Jordan a dare una chance a questo 22enne tedesco. “Va bene, proviamo” – dice il patron della scuderia – “Portate in fretta questo pilota a Silverstone per un test privato e vediamo come va. Ah, e ricordatemi come si chiama. Michael Schumacher, ok.”
Mancano ormai pochi giorni all’inizio delle ostilità in Belgio, quando una striminzita delegazione del team Jordan fa il suo ingresso nel circuito di Silverstone – per utilizzarlo nel layout del South Circuit – portando con sé un esemplare della 191, la monoposto impegnata nella stagione 1991 di F1. Assieme a loro c’è lui, il ragazzo di cui si sente sempre più parlare nel mondo delle corse, Michael Schumacher. Che, dopo aver conversato con gli ingegneri, si calca il casco in testa, si cala nell’abitacolo e si lancia in pista. Seduti su diversi guardrail del circuito, ad osservare il primo test del 22enne tedesco, ci sono diversi meccanici della Jordan. Uno di questi, Mark Gallagher, si piazza all’altezza dell’ultima chicane prima del curvone che immette lungo il rettifilo d’arrivo. Dopo aver visto la Jordan di Schumacher passare a bassa velocità nel suo giro di lancio, sente in lontananza l’urlo del V8 Cosworth che si avvicina. Ad un tratto, ecco spuntare la 191 dalla curva Vale. Quel giovane tedesco approccia la chicane, ma è troppo veloce: la Jordan entra scomposta nella “S”, con il retrotreno che sembra oscillare fuori controllo nel richiamo verso destra. “Ecco” – pensa Gallagher – “uno schianto al primo giro veloce. Ottimo”. Poi però quella reazione apparentemente sgraziata della monoposto viene domata con un colpo di gas, che manda l’auto in sovrasterzo quel tanto che basta per farla uscire dalla chicane leggermente di traverso, in una scena incorniciata da un po’ di fumo e dallo stridio delle gomme, immediatamente sovrastato dall’urlo lacerante del V8. “Però, mica male il ragazzo“, si dice Gallagher mentre si avvia verso i box.
Lì, in teoria, ad attenderlo ci sarebbe dovuto essere lo stesso Michael, al quale la squadra aveva chiesto di effettuare solamente un paio di giri veloci prima di rientrare. Invece passano 3 tornate, 4, 5, 6 e Schumacher sembra non avere neppure l’intenzione di riprendere la via del garage. Serve l’intervento di un altro meccanico del team, corso letteralmente in mezzo alla pista prima dell’ingresso ai box, per convincere il ragazzo di Kerpen a rientrare nella pit lane. “Mi stavo divertendo”, si giustifica il tedesco di fronte agli sguardi in cagnesco degli uomini del team, che prima di redarguirlo a dovere decidono di controllare il tabulato dei tempi. Ma nessuno rimprovererà Michael Schumacher: saranno tutti impegnati a capire come avesse fatto quel giovane di 22 anni, a bordo di un’auto mai vista prima, ad abbassare in appena 7 giri il record del South Circuit di Silverstone. Le 150.000 £ garantite da Mercedes, Dekra e Tic Tac sono l’incoraggiamento finale per Eddie Jordan: Michael Schumacher, a due giorni dall’inizio del weekend di gara di SPA, era diventato ufficialmente il secondo pilota del Jordan F1 Team.
Il clima, una volta giunti a Spa, non è dei migliori per il tedesco. Gachot, che poche settimane prima dell’arresto aveva anche fatto segnare il giro più veloce durante il GP d’Ungheria, gode del supporto della folla, che esibisce maglie con su scritte frasi come “Fate uscire Gachot!” e “Lasciate libero Gachot!”. Schumacher avverte la pressione, e Trevor Foster per cercare di aiutarlo chiede ad Andrea De Cesaris, compagno di squadra del tedesco e pilota titolare della Jordan, di fargli fare un giro di pista assieme a lui a bordo di un’auto, di modo tale da rammentargli – d’altronde erano convinti che lì Schumacher avesse corso 100 volte – le traiettorie e dove cambiare marcia. Ma De Cesaris, forse per gli impegni o forse perché non faceva molto affidamento su quel debuttante semisconosciuto, non riesce a trovare il tempo per Michael. Che, a quel punto, il giro di pista decide di farlo da solo, a bordo di una bici. Anzi, per buona misura di giri ne percorre ben due. Poi esce dal circuito, a poche ore dal suo esordio assoluto nel Mondiale di F1, e si ritira per la notte nella stanza dell’Ostello della Gioventù che ha dovuto prenotare da solo, visto che la Jordan non gli trovò neppure una sistemazione in albergo con il resto della squadra. Michael ancora non poteva esserne certo, ma quei due giri erano stati ampiamente sufficienti per fargli capire, almeno a grandi linee, la pista. Per tutto quello che non era invece riuscito ancora a carpire, non c’erano problemi: a risolvere qualsiasi cosa ci avrebbe pensato, di lì a qualche ora, il suo immenso talento al volante.
E’ venerdì, giorno di prove libere. Davanti a tutti si piazzano i mostri sacri: Mansell, Alesi, Senna, Prost, Berger, Piquet. Poi, all’ottavo posto, spunta un viso che praticamente nessuno, fino a quel momento, aveva mai visto. Il viso è quello del 22enne tedesco, il viso è quello di Michael Schumacher. Che alla sua seconda esperienza alla guida della Jordan 191, lanciato su un tracciato sul quale non aveva mai girato fino a quel momento, si mette dietro i 3/4 dello schieramento della F1. Ma sono le prove libere, dice qualcuno. Si sa che durante le FP nessuno spinge davvero fino in fondo, dice qualcun’altro: sono i giovani a dare fondo a tutte le loro possibilità per tentare di ben figurare. Si vedrà domani, chiosa qualcun’altro ancora dalle tribune.
E’ sabato, giorno di qualifiche. Davanti a tutti, nemmeno a dirlo, si piazza il mago del giro secco con il suo casco giallo: Ayrton Senna si mette dietro il suo rivale di sempre, Alain Prost, con Mansell e Berger ad occupare la seconda fila. La terza si apre con Alesi, che precede Piquet, mentre nella quarta c’è…Michael Schumacher. Che fa segnare l’8° crono, ma che beneficiando della squalifica di Riccardo Patrese balza in settima posizione con il suo 1’51″212. Un tempo velocissimo, per un esordiente al volante di una Jordan, che lo porta a 2″4 dal crono di Prost, primo degli umani, che guida una Ferrari e che a SPA vanta ormai diversi anni di esperienza. Davanti a tutti, in 1’47″811, Ayrton Senna faceva semplicemente un altro sport. Gli sguardi, sugli spalti e nel paddock, sono increduli. De Cesaris, che conosce monoposto e circuito molto meglio di quel ragazzone teutonico, è 11° in 1’51″986. Ad oltre 7 decimi dal crono del suo nuovo compagno di team. Che più di qualche pilota, a quel punto, inizia a guardare con circospezione.
E’ domenica, giorno di gara. C’è trepidazione, lì in mezzo alle Ardenne. Si attende l’ennesimo atto della sfida tra Senna e Prost, si attende la rimonta di Patrese, si attende la lotta per il podio tra Alesi, Berger e Piquet. E ormai si attende anche lui, si attende anche Schumacher, che ormai neppure si rende più conto delle sempre meno magliette pro Gachot che resistono sulle tribune del circuito belga. Soprattutto perché, nel warm-up mattutino, la Jordan 191 del tedesco ha fatto segnare il 4° tempo assoluto, e più di qualcuno inizia a credere nell’impresa. Quando l’assordante rombo dei motori sale all’inverosimile ed i semafori si spengono, Schumacher scatta benissimo, liberandosi in un colpo solo sia di Alesi che di Piquet. “Mi ha passato come un fulmine“ – dirà poi il brasiliano – “Fino a quando non ho rivisto lo start ero fermamente convinto che fosse partito in anticipo“. Ma proprio quella partenza fulminea gioca un brutto scherzo a Michael Schumacher: il tedesco arriva troppo veloce a La Source, e nel tentativo di evitare un controproducente sottosterzo preme a lungo la frizione, rilasciandola di botto in uscita di curva. Uno sforzo che la componente della Jordan, già provata per la partenza lampo di pochi secondi prima, non riesce a sopportare: si disintegra, condannando allo stesso destino le speranze di vittoria del giovane tedesco di Kerpen, applaudito forse persino dai pini delle Ardenne quando, dopo un weekend impressionante, è costretto a scendere dalla sua monoposto all’altezza del Raidillon.
Ma il mondo, a quel punto, si è già fatto bastare lo spettacolo andato in scena sino a quel momento. Ad esserselo fatto bastare, in particolare, sono stati due personaggi: Bernie Ecclestone, all’epoca già in possesso delle redini che guidavano il destino della Formula 1, e Flavio Briatore, nel 1991 ai vertici della Benetton Formula. Il patron del Circus cerca un giovane talento tedesco per rafforzare l’interesse dello sport in Germania, il manager italiano, consigliato anche dal nuovo ingegnere del team Tom Walkinshaw, sta cercando un pilota da affiancare a Nelson Piquet: Michael Schumacher è il pilota perfetto per entrambi. Nessuno sa quanto quel 22enne si aspettasse di ricevere così in fretta una proposta simile. Nessuno sa se e quanto protestò Eddie Jordan quando si sentì dire che la Benetton gli avrebbe sottratto Schumacher offrendo come contropartita il loro secondo pilota, Roberto Moreno. Quello che invece tutti sanno è che proprio a Spa, la pista che lo aveva reso noto al mondo, l’anno successivo Michael vinse il GP. Il primo della sua carriera. Il primo di una serie lunghissima.
Il primo di una storia che non è solo Storia ma che è già Leggenda.