Sono passati undici mesi e mezzo da quel Gran Premio d’Abu Dhabi 2021 tanto memorabile che causerà discussioni ancora a lungo, e la F1 si accinge a tornare sul circuito arabo. Una gara che ha cambiato i destini di quattro uomini: Max Verstappen, diventato campione del mondo per la prima volta nella sua carriera; Lewis Hamilton, che ha perso l’appuntamento con la storia proprio sul più bello; Michael Masi, agnello sacrificale di una FIA che forse ha capito troppo tardi di aver perso la credibilità; e infine c’è il quarto, l’eroe, nel bene o nel male, inconsapevole di quella serata, l’uomo che ha buttato giù la prima pedina di un domino che forse ancora oggi continua a cadere. E che, purtroppo, sembra essere caduto proprio in testa a lui. Il quarto uomo è, ovviamente, Nicholas Latifi.
I quattro tornano sul luogo del delitto in situazioni completamente diverse rispetto ad un anno fa: anzi, neanche ci tornano in quattro, perché per Masi quella gara rappresentò il suicidio professionale, provocandone l’esautorazione dal suo ruolo di Direttore di Gara. Sembrava la cosa giusta, all’epoca, mentre oggi sa tanto di un provvedimento preso per dare da un lato un contentino ai perdenti, e dall’altro di non ribaltare le sorti dei vincitori. Poi ovviamente ci sono Hamilton e Verstappen: il primo a caccia della prima e unica vittoria stagionale, all’ultima possibilità per infrangere un altro record di longevità, il secondo che arriva invece con un altro titolo in tasca, questo conquistato con uno sforzo decisamente minore rispetto a quello 2021.
E poi c’è Latifi. Che arriva negli Emirati pronto per disputare quella che sarà, per il momento, ma forse anche per sempre, l’ultima gara della sua carriera in F1. Proprio lì, dove la sua carriera finì forse per davvero con un anno d’anticipo, dopo aver inconsapevolmente cambiato l’esito della storia delle corse. Cambiando anche l’esito della sua, di storia. Perché qualcosa si è rotto in Nicholas da quel giorno, qualcosa di più profondo della semplice abilità di guida.
Perché certo, parliamoci chiaro, Latifi non è mai stato esattamente un fulmine di guerra. Forse a ragion veduta, è sempre stato considerato la ventesima ruota del carro, il meno dotato tra i piloti che corrono in F1. Però essere il meno dotato tra i piloti di F1 vuol dire comunque un pilota di altissimo livello, e alla fine Nicholas quel minimo per dimostrare di valere, o quantomeno di poter stare in Formula 1, l’ha messo in mostra: vicecampione della F2 nel 2019, nei primi due anni nella massima serie ha corso con un fenomeno ingombrante come George Russell, prendendo forse anche diverse bastonate in qualifica, ma in realtà mai veramente sfigurando in gara; anzi, se vogliamo essere pignoli, alla sua prima stagione, nel 2020, per il gioco dei piazzamenti l’ha anche battuto nelle gare che hanno disputato insieme, escludendo quindi la tappa che l’inglese corse con la Mercedes. E inoltre, Latifi, un po’ come Stroll, ha sempre dimostrato una buona propensione per la guida sul bagnato, andando forse più forte sul fondo viscido che con quello asciutto. Non un pilota esaltante, ma se ne sono visti di peggiori.
Poi è però arrivata Abu Dhabi, con quell’incidente a sei giri dalla fine con cui ha involontariamente strappato di mano il mondiale a Hamilton per consegnarlo a Verstappen. Non è stata colpa sua, non ci sarebbe bisogno di dirlo. E invece, c’è proprio bisogno di dirlo: perché dopo quella gara Latifi improvvisamente si è ritrovato balzato agli onori della cronaca insieme agli altri tre uomini, venendo ingiustamente insultato, deriso e, addirittura, minacciato da persone che non meriterebbero di essere chiamate tali. Quello di Latifi è stato un inverno di paura, paura che tra i migliaia che ogni giorno commentavano i suoi social ci fosse qualcuno che non si accontentasse solo delle parole, tanto da aver dovuto ingaggiare delle guardie del corpo. E questa paura l’ha distrutto esattamente come lui ha distrutto la sua macchina contro quel muretto di Abu Dhabi undici mesi e mezzo fa. Perché da allora qualcosa dentro di lui si è rotto, ha iniziato a sbagliare più di quanto facesse prima, e ad ogni errore seguivano altri insulti che gli ricordavano quanto fosse scarso, aumentando il terribile peso che sentiva nel petto.
Forse, un giorno i responsabili si renderanno di aver distrutto la carriera e rovinato la vita di un uomo, tanto da fargli decidere di staccare. Perché questi ragazzi, per quanto ricchi, belli e famosi, sono pur sempre degli uomini, con gioie, paure, ambizioni e ansie, amplificate dall’enorme cassa di risonanza del loro lavoro. E, per quanto sia vero che i soldi ti aiutino in molte cose, non ti rendono immune alle critiche taglienti e ingiustificate, agli insulti personali, alle minacce. Latifi adesso è pronto a partire, forse in direzione Indycar, forse da qualche altra parte; ma il problema non si risolverà, perché ci vorrà poco prima che qualcun altro prenda il suo posto come bersaglio dei leoni da tastiera, gente che crede di poter dire quello che vuole rimanendo impunita solo perché coperta da uno schermo, e che non si fa problemi a rovinare la vita di un uomo, sia esso un pilota automobilistico, o un calciatore, o un attore o una persona comune. Ognuno di noi può essere Nicholas Latifi, bersaglio di critiche immotivate che possono ferirci nell’animo; cerchiamo di ricordarcelo con il prossimo pilota che commetterà un errore. Grazie di tutto, Nicholas.