Sì, il titolo è una palese provocazione. E no, non è un’ode al complottismo. Suvvia. Non avrete davvero pensato che possa credere che Kimi Raikkonen, l’ultimo campione del mondo di Formula 1 con la Scuderia Ferrari, si sia accordato con Lewis Hamilton, tanto acerrimo quanto velocissimo rivale di Maranello, per depredare il Cavallino di un’iride inseguito dal 2008, vero? Beh, se anche l’aveste creduto per un solo istante, vi tranquillizzo subito: non è così.
Eppure quel titolo rimane. E non è stato il frutto di una decisione affrettata, attenzione, ma è invece la sintesi estrema di una riflessione che mi porto dietro dalla partenza del GP d’Italia e che solamente ora sono riuscito a mettere nero su bianco.
Partiamo da un presupposto: qualcosa, nel weekend monzese, è andato storto in seno alla Scuderia Ferrari. Negarlo vuol dire essere ciechi, perché in nessun universo attualmente esistente si definirebbe idilliaca una situazione in cui all’interno di una Sala Stampa, con due compagni di squadra che nel GP di casa del team e davanti a decine di migliaia di tifosi hanno appena monopolizzato l’intera prima fila dello schieramento, il pilota visibilmente più felice sia quello che è arrivato terzo e che corre per tutta un’altra parrocchia. E non può ugualmente definirsi idilliaca una situazione in cui, al susseguirsi delle domande, la tensione tra i due suddetti compagni di squadra aumenti allo stesso ritmo con cui si allarghi il sorriso del sovracitato terzo pilota, intento ad osservare l’aumentare della maretta tra i suoi due rossi avversari.
Pare che ci siano questioni di mercato dietro a quel qualcosa andato improvvisamente storto dalle parti di Maranello. Pare che da parte di Maurizio Arrivabene ci sia stato un tentativo – infruttuoso – di tenere Kimi Raikkonen in Ferrari per almeno un altro anno a discapito dello scalpitante Charles Leclerc. Pare che al finlandese – a questo punto verosimilmente intenzionato a proseguire la propria avventura in Rosso – John Elkann abbia, in gran segreto, dato un educato benservito già nella giornata di venerdì. Pare che al #7 sia stata proposta – pardon, imposta – una retrocessione in Haas, a mo’ di novello Kvyat. Pare che siano capitate tante cose insomma, in quel della Brianza. E che tutte (o in fondo una sola) abbiano sortito un effetto forse inaspettato: cambiare qualcosa in Kimi Raikkonen.
Siamo rimasti tutti un po’ interdetti quando abbiamo visto il #7 chiudere in maniera decisa verso Vettel alla partenza, ammettiamolo. E anche coloro che non lo fossero rimasti in quel frangente di certo non avranno vissuto a cuor leggero la frenata a ruote fumanti con cui Iceman si è tenuto stretta la prima posizione. “Gli ha tirato la staccata”, diranno nel dopo gara Jarno Trulli e Ivan Capelli dando voce alla sensazione che tanti – se non tutti – avevano avuto ancor prima che il #7 facesse nuovamente le spalle larghe tenendosi largo al curvone Biassono e coprendo l’interno alla staccata della Variante della Roggia quel tanto che bastava per rispedire al mittente qualsiasi tentativo di attacco portato da Vettel.
Nessuna di queste manovre è scorretta, nessuna di queste manovre è sbagliata. Nell’ottica della gara di Kimi Raikkonen non c’è un singolo movimento tra quelli descritti sopra che non sia assolutamente sensato. Ma è proprio questo il punto: nell’ottica della gara di Kimi Raikkonen. Nell’ottica della gara di un pilota che, dopo tre stagioni, smette all’improvviso di essere un semplice gregario di lusso per tornare ad essere un pilota che lotta per vincere, contro tutto e contro tutti.
Mi preme a questo punto dell’articolo fare una doverosa precisazione. Vorrei infatti che fosse chiaro a tutti che io non sto minimamente attribuendo al #7 la responsabilità di quanto accaduto alla Variante della Roggia tra Sebastian Vettel e Lewis Hamilton. Kimi Raikkonen non aveva né l’obbligo né il dovere di far passare il #5, era padrone della propria gara come non lo si vedeva da tempo. Ed è proprio quest’ultimo aspetto – ed i risvolti che esso potrebbe avere da qui fino allo spegnimento dell’ultimo faro di Yas Marina – che mi preme analizzare ad alta voce.
Perché Kimi Raikkonen, a Monza, ha dato l’impressione di aver dismesso i panni del fedele scudiero per indossare anche lui nuovamente l’armatura. Il Kimi Raikkonen del 2017 – ma anche, volendo, quello delle prime gare di questo campionato – forse non avrebbe ugualmente fatto passare Vettel nell’arco delle prime 4 curve del 1° di 53 giri, ma la sensazione avuta da tutti è che con ogni probabilità non avrebbe neppure reso così complicata la vita al 4 volte Campione del Mondo di F1. Kimi Raikkonen, semplicemente, ha dato l’impressione di aver trattato Sebastian Vettel come avrebbe trattato Lewis Hamilton: come un avversario, in ossequio a quel mantra che sembrava aver dimenticato e per il quale il primo rivale di ogni pilota è il proprio compagno di squadra. Non commettendo scorrettezze, non correndo sopra le righe, non effettuando neppure una manovra sragionata: semplicemente guidando pensando alla sua gara. Proprio nel GP in cui, a pochi metri di distanza da quello Ferrari, il muretto box Mercedes trasformava da pilota a pilotato Valtteri Bottas per cercare di massimizzare l’assist involontariamente fornito dal #5 al #44.
Si potrebbe spiegare così il nervosismo forse eccessivo con cui Sebastian Vettel abbia approcciato l’intero weekend. Il biondino di Heppenheim era davvero troppo rabbuiato al sabato per pensare che fosse solamente una Pole Position persa la causa del suo fastidio, e la fretta e la furia con cui ha cercato di manovrare nei primi 700 metri di gara – su oltre 300 km disponibili – sono apparse strane a chiunque, soprattutto considerando che Vettel, sapendo di avere davanti a sé il proprio compagno di squadra, avrebbe dovuto solamente preoccuparsi di tenersi dietro Hamilton, consapevole che prima o poi la posizione gli sarebbe stata ceduta. Invece no, ha dovuto subito cercare di guadagnarsi la posizione in pista: era solamente preoccupato dalla presenza di Hamilton alle sue spalle o aveva intuito che anche un Raikkonen appiedato e con più nulla da chiedere alla Scuderia Ferrari non gli avrebbe steso come sempre il tappeto rosso davanti? Ai posteri, e forse neanche a loro, l’ardua sentenza.
Quello del GP d’Italia, ovviamente, potrebbe trattarsi di un caso isolato. Nulla esclude che a Singapore Kimi Raikkonen torni a difendere con cappa e spada le spalle di Sebastian Vettel in preda a problemi con lo sterzo, facendo immediatamente sciogliere tutti i dubbi come neve al sole. Ma potrebbe pure darsi che anche sotto le luci di Marina Bay il #7 continui ad essere più se stesso, facendo la propria gara e non sacrificando risultati buoni o ottimi per una squadra che, dalle voci circolanti nel Paddock di Monza, lo avrebbe trattato non esattamente con i guanti bianchi nel corso di quella che è forse la sua miglior stagione da quando è tornato a vestire i panni di Maranello.
E, in tutto questo, Lewis Hamilton gongola. Il #44, uscito dalla Press Conference del sabato con un sorriso a 64 denti, come Vettel aveva forse intuito che qualcosa, all’interno di quella che è sempre apparsa come una delle line up più affiatate dell’intero Circus, si era incrinato. Aveva forse intuito che per sottrarre punti preziosi a Sebastian Vettel, oltre ovviamente a poter confidare su un Bottas sempre più sacrificato alla sua causa nei GP in cui le Mercedes sarebbero state più veloci delle Ferrari, avrebbe trovato in un Kimi Raikkonen alla ricerca di una vittoria un inconsapevole ed inconscio alleato nelle gare in cui le SF71-H fossero state più veloci delle W09 Hybrid. Senza bisogno di sotterfugi, senza bisogno di accordi, senza bisogno di complotti: semplicemente perché Iceman potrebbe non sentirsi più così vincolato alla Scuderia Ferrari da piegare la propria voglia di vincere al volere di qualcun’altro. E se Lewis Hamilton gongola, i tifosi Ferrari trattengono il respiro. Perché è chiaro a tutti che questo Kimi Raikkonen, su questa Ferrari, se vuole può rivelarsi una grana per chiunque. Compreso Sebastian Vettel.