La bomba è scoppiata nel paddock del Circuit of The Americas alla vigilia del GP degli Stati Uniti, diciannovesimo appuntamento di una stagione di Formula 1 che sembra avere ancora moltissimo da dire.
Mentre tutti i team si preparavano ad affrontare le insidie di un ritrovato format Sprint e di un rinnovato manto stradale, la Federazione Internazionale dell’Automobile ha fatto sapere che nel corso del fine settimana di Austin sarà posta particolare attenzione ai controlli mirati a verificare l’altezza da terra delle varie monoposto. Stando a quanto indicato dai commissari tecnici della FIA, infatti, uno dei team avrebbe a disposizione un sistema capace di far variare l’altezza da terra del T-Tray non solo durante l’arco del weekend (cosa permessa da regolamento) ma anche tra qualifiche e gara. Cioè quando la monoposto non potrebbe subire interventi di alcun tipo in quanto in regime di parco chiuso.
Quell’unico team, che nella tarda serata italiana si è scoperto essere Oracle Red Bull Racing, ha fatto spallucce nel tentativo di minimizzare l’accaduto. “È vero, abbiamo un sistema simile“ – ha dichiarato ai media presenti ad Austin uno degli uomini della scuderia di Milton Keynes – “Ma è inaccessibile una volta che la macchina è completamente assemblata e pronta per scendere in pista. Questo elemento è emerso in una delle numerose conversazioni che abbiamo con la Federazione, e abbiamo deciso di trovare una soluzione”. Quest’ultima, sempre secondo gli uomini di Red Bull Racing, non dovrebbe comportare modifiche sostanziali – o quantomeno immediate – sulla RB20: a detta loro, infatti, basterà dimostrare che questo dispositivo diventi davvero “inaccessibile” una volta approntata la monoposto per evitare di dover stravolgere alcunché.
Ma come può l’altezza da terra influenzare il comportamento della monoposto? Generalmente valgono le regole cardine della dinamica del veicolo: un’altezza di marcia inferiore aumenta la deportanza, mentre un’altezza superiore riduce l’aderenza aerodinamica. Viaggiare a minore distanza rispetto al terreno si traduce in un abbassamento del baricentro dell’auto, in un miglioramento della stabilità e in una riduzione al minimo del rollio della vettura. In più, un’altezza da terra inferiore consente di aumentare l’aderenza grazie al maggior carico aerodinamico offerto da un fondo più vicino al suolo.
Un’altezza di marcia superiore, invece, aumenta la corsa disponibile delle sospensioni, consente all’auto di gestire meglio le asperità del tracciato, di avere meno “bottoming” e una guida nel complesso più agevole sui cordoli, ma d’altra parte riduce la deportanza complessiva, diminuendo anche l’aderenza meccanica e comportando anche un conseguente maggior consumo degli pneumatici. Se l’altezza da terra può essere ridotta all’osso durante le qualifiche per via del numero generalmente ridotto di giri che vengono percorsi, un discorso molto diverso deve invece essere fatto per quanto riguarda la gara: affrontare i canonici 300 km e spicci previsti per ogni GP sfregando – e dunque consumando in modo anomalo – il fondo della propria monoposto, infatti, può non essere la migliore delle strategie.
Al netto del fatto che tutt’ora, dopo tre stagioni, la comprensione da parte dei tecnici dell’effetto dell’altezza da terra sul comportamento complessivo della vettura non sia ancora completa (al punto da vedere team passare da un livello di competitività complessivamente buono a dover lottare per qualche punto – e viceversa – nel giro di pochi mesi), una vettura eccessivamente vicina al suolo potrebbe causare diversi problemi. E non tutti sono legati solamente all’eccessivo consumo del T-Tray dovuto allo sfregamento con l’asfalto.
Quest’ultimo, infatti, nel momento in cui avviene il passaggio di una vettura gode della presenza di uno strato limite: l’aria viene spostata dalla monoposto che transita, acquisendo una certa velocità relativa rispetto all’asfalto.
Se il fondo della vettura è troppo vicino allo strato limite dell’asfalto peggiora il proprio rendimento, causando una vorticosità dovuta allo scontro dei due strati limite (di fondo e del suolo) con componenti di velocità diverse. In quest’ottica entra in gioco anche la rugosità dell’asfalto, un fattore dal quale dipendono appunto le varie caratteristiche dei flussi che si vanno a formare.
Voci di paddock narrano che Mercedes abbia compiuto uno step significativo nella comprensione della W15 proprio grazie a dei coefficienti correttivi che non avevano mai adottato sulle prove in galleria. A Brackley la galleria del vento a tappeto liscio forniva infatti una risposta più che buona sul concept della vettura posto in condizioni ideali, ma i risultati delle simulazioni venivano totalmente stravolti quando la monoposto scendeva in pista e doveva confrontarsi con le condizioni reali.
Immaginate ora, tenendo ben presente la complessità connessa alla presenza di questa moltitudine di fattori, quanto possa influire sul comportamento e sul balance di una monoposto un dispositivo in grado di variare l’altezza da terra della vettura stessa: un abbassamento delle sospensioni di qualche millimetro, soprattutto a inizio gara con il serbatoio carico, può modificare la guidabilità dell’auto in modo assolutamente significativo.
Gli uomini di Red Bull Racing avranno detto la verità, professando l’inaccessibilità di questo dispositivo? Una prima risposta a questa domanda potrebbe fornirla proprio la gara di domenica: chissà che tra le sue pieghe non si nasconda la bussola per indirizzare definitivamente entrambi i Mondiali di questa stagione 2024.
Articolo scritto con il prezioso contributo tecnico del solito e inimitabile Christian Falavena.