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Formula 1

“Video Killed the F1 Track”: gli Autodromi stanno diventando superflui?





C’è stato un tempo in cui tutto era diverso. Un’epoca neanche tanto remota, in cui la fruizione di uno spettacolo o di un evento necessariamente richiedeva la presenza in loco del pubblico. Così è stato per la stragrande maggioranza della Storia umana, dalle Olimpiadi in epoca classica alle Giostre medioevali, finanche a tutti gli sport sviluppatisi durante la rivoluzione industriale a partire da tradizionali giochi di paese, includendo naturalmente anche il Calcio, destinato a generare uno dei giri di denaro più proficui del globo terracqueo.

"Video Killed the F1 Track": gli Autodromi stanno diventando superflui?

Lo stesso, naturalmente, è accaduto per il Motorsport durante la sua intera fase pionieristica e non solo: se è difficile pensare ad una trasmissione televisiva delle corse di Nuvolari, può essere spaesante il fatto che, nella stagione di esordio del Mondiale di Formula 1, conquistato dall’italiano Giuseppe “Nino” Farina, non un solo minuto di diretta sia stato trasmesso a livello mondiale. Le ragioni erano naturalmente legate alle esorbitanti spese legate alla realizzazione di una trasmissione in diretta fuori dagli studi televisivi, nonché alla scarsa diffusione del tubo catodico, che ancora non pervadeva la sfera quotidiana dei cittadini ma era relegato, anch’esso dal proprio costo elevato, ad una nicchia di fortunati.

Il legame tra Motorsport e schermo non tarderà tuttavia a formarsi: già nel 1953, il Regno Unito e l’Italia decidono di mettersi alla prova, inaugurando per i rispettivi Gran Premi di casa la trasmissione in diretta di alcuni spezzoni di gara. Le fondamenta erano state posate, ma il paragone tra l’esperienza digitale e quella in loco rimaneva nettissimo e tale rimarrà per anni, anche a partire dalla stagione 1973, la prima in cui tutte le corse saranno mandate in diretta sulle reti nazionali.

Nel mentre, il Motorsport ed il suo capannello di appassionati continua inesorabilmente a crescere: gli anni ’70 e ’80 sono anche gli anni di massima popolarità del Rally a livello Mondiale. La ricchezza dell’ambiente in quei decenni è qualcosa che è difficile da immaginare al giorno d’oggi: auto modernissime e sempre più estreme correvano gare lunghe fino a 3 volte quelle odierne, mentre, in molti casi, i team di meccanici erano autorizzati a raggiungere in elicottero la vettura del proprio team per riparazioni, praticando la cosiddetta “Assistenza Volante”. I fan lungo il percorso erano talmente tanti da creare situazioni di grave pericolo, come si può facilmente evincere dal qui presente video, celeberrimo ricordo del Rally di Portogallo tra il 1984 ed il 1986.

In quegli stessi anni, tuttavia, era giunto al comando della Formula 1 un uomo al quale la crescita e la popolarità degli ultimi decenni non bastavano più. Già dal 1973, Bernie Ecclestone era a capo della FOCA (Formula One Constructors Association), organizzazione da lui fondata per rappresentare gli interessi dei team e ben presto entrata in guerra aperta con la FISA, la branca sportiva della FIA che all’epoca si occupava di organizzare il campionato. Il braccio di ferro, esploso nel 1980 in una serie di multe e boicottaggi sulla quale non ci dilungheremo, conduce le parti alla firma del Patto della Concordia nel marzo 1981, documento che rappresenta una sorta di “Costituzione” dello sport.

Rinnovato più volte nel corso degli anni, il documento ha come punto cruciale la delega dell’amministrazione dei diritti televisivi alla FOM (Formula One Management), entità sempre presieduta da Ecclestone, il quale diventa così l’uomo forte al comando del Circus. Ed è da qui che le parti in causa mettono il piede sull’acceleratore, spinte dall’ambizione e da alcune scelte del businessman britannico, proiettando quelle che erano corse per appassionati nell’immaginario collettivo di una generazione nell’arco di un solo decennio, il tutto mentre il Mondiale Rally, incapace di rinnovare l’interesse nei confronti della disciplina, inaugura un’emorragia di appassionati che lo relegherà al ruolo di prodotto di nicchia che ricopre tuttora.

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Piquet (Brabham) inseguito da Prost (Renault) al GP di Olanda 1983

Il valore dei diritti TV, in questo contesto, cresce a dismisura, mentre il prodotto va adattandosi per poter accogliere un pubblico sempre più ampio, spesso interessato tanto all’azione in pista quanto ai retroscena: nascono dunque programmi di approfondimento, che, con l’avvento delle Pay TV, cedono spazio ad un intero canale dedicato solo al più famoso degli spettacoli su 4 ruote.

La cessione a Liberty Media è forse il salto definitivo che ancora mancava, e che rende la Formula 1 un ibrido tra Motorsport e Show. Certo, ci sono ancora il binomio uomo-macchina che cerca il limite, i duelli in pista e al box, con tutti gli ingredienti a cui eravamo abituati. Tuttavia ora il prodotto ha una sua sigla, i piloti vengono sempre più trattati come dei personaggi di una serie tv, tra cui abbiamo i protagonisti, i comprimari, e addirittura l’antagonista (sapete tutti chi è, senza neanche bisogno di menzione): il tutto frutto di una comunicazione, specialmente Social, in cui è evidente il tentativo di passare anche attraverso mezzi che esulano dall’attività in pista per fidelizzare il pubblico. La Pandemia, paradossalmente, ha dato un suo forte contributo, consentendo al pubblico di interagire digitalmente con i propri beniamini durante le live organizzate per passare il tempo durante il periodo di lockdown.

Il risultato è che gli autodromi si trovano ad un bivio imprevedibile anche solo una manciata di anni fa. Il pacchetto della Formula 1, specialmente per il pubblico più generalista, è sempre più composto da dichiarazioni live, interazioni tramite social media ed in generale da una caratterizzazione dei piloti come personaggi che va inesorabilmente a perdersi seguendo la corsa dagli spalti. La bilancia già iniziava a pendere in direzione dello schermo con l’aumento di qualità delle trasmissioni, ma la situazione attuale del mondo post-pandemico rischia di danneggiare seriamente, se non di uccidere, gli Autodromi come li abbiamo intesi per generazioni.

La "marea arancione" circonda il trionfo di Verstappen al GP di Olanda 2021
La “marea arancione” circonda il trionfo di Verstappen al GP di Olanda 2021

Le strade che i circuiti possono scegliere sono fondamentalmente due: la prima è quella di adattarsi ai tempi che cambiano, abbracciando queste nuove tendenze, per raggiungere “engagement” anche senza precedenti. È sicuramente il caso di Zandvoort, capace di cogliere l’onda di entusiasmo “Oranje” nei confronti di Max Verstappen, che è riuscita a fare il tutto esaurito in tutte e 3 le giornate realizzando un evento quasi interamente centrato intorno alla figura di “Super-Max”.

Altro esempio di successo, sebbene, l’ultima edizione risalga al 2019, è quello dell’Autodromo Hermanos Rodrigues, che già prima dei vari lockdown, era riuscito con successo ad organizzare una gara-evento, in cui il Gran Premio era il punto centrale di un weekend molto vario e che si sarebbe chiuso, al termine della cerimonia del podio, con un concerto organizzato dal celebre produttore musicale DJ Tiësto.

Lo stesso successo, all’analisi dei freddi dati, non è stato raggiunto dal GP corso a Monza il 12 settembre scorso. Certo, per via del dimezzamento della capienza dell’impianto legata alle normative anti-Covid erano in vendita solamente circa 55.000 biglietti per la giornata di domenica: tuttavia, i circa 16.000 tagliandi staccati per il giorno di gara (quelli venduti per il sabato sono ancora meno) rappresentano, fatte le dovute proporzioni, un disastro senza precedenti per le casse ed il prestigio dello storico Autodromo, una débacle determinata in gran parte da una politica tariffaria che la gente ha reputato non meritevole dello spettacolo offerto. Non l’ha presa bene Stefano Domenicali, AD del Formula One Group, che ha affermato:

Trovo difficile pensare ad una F1 senza Monza, ma gli eventi sono anche Business, e devono essere giustificati da un ritorno economico

La griglia di partenza del GP d'Italia 2021
La griglia di partenza del GP d’Italia 2021

Insomma, forse per la prima volta nella storia del GP d’Italia, la maggior parte dei tifosi ha deciso che non valeva più la pena di andare ad assistere in loco all’evento, nonostante quello italiano, legato in gran parte dalla passione per la Ferrari, sia uno dei popoli più fedeli alla Formula 1 a livello mondiale.

È solo l’inizio di una disastrosa reazione a catena per gli Autodromi che continuano a pensare le gare in vecchio stile, con biglietti esorbitanti per uno spettacolo dal vivo che sempre più soffre il confronto con un’informatizzazione in grado di portare nelle case del pubblico ogni singolo dettaglio?

O meglio, si tratta solo di un incidente di percorso dettato dalle circostanze, oppure è il caso che anche le corse più storiche inizino a ripensarsi in modo più moderno, con costi più accessibili ed un’offerta più varia e completa, al fine di poter competere contro un mondo digitale che corre al doppio della velocità?





Tags : f1gran premio d'italia
Michele Nicolini

The author Michele Nicolini

Nasco in Liguria durante il GP di Spa 1998 e, come era prevedibile, dimostro fin da subito una grande passione per qualsiasi cosa abbia delle ruote e un motore indipendentemente dalla categoria. Su Fuori Traiettoria mi occupo del mondo rallistico ma non solo, occasionalmente trattando altri ambiti.