Quanto può cambiare la vita un bicchiere di benzina in più? Come può cambiare la carriera di un pilota in una manciata di secondi, andando dalle stalle alle stelle e ritorno? A queste domande c’è solo una persona che può rispondere, una persona che in una domenica di maggio di trentasei anni fa è riuscita a diventare Re di un popolo, quello Ferrarista, giusto per il tempo necessario per qualche respiro, di qualche urlo di gioia, di qualche battito all’impazzata del cuore, accelerato all’estremo fino ad essere più veloce del motore che aveva dietro la schiena. Questa è la storia di Stefan Johansson, il pilota svedese che nel Gran Premio di Imola 1985 arrivò ad un passo dal Paradiso.
Domenica 5 maggio 1985. Siamo ad Imola, in Italia, pronti per il quinto Gran Premio di San Marino, terza tappa del Mondiale di Formula 1 1985. Siamo pronti per il via, mancano pochi istanti. La griglia di partenza è un variopinto mosaico composto da ventisei vetture, in ognuna dei quali vi è un casco diverso. Davanti a tutti c’è una Lotus nera, con all’interno un casco giallo: è Ayrton Senna, poleman di giornata proprio in quella pista in cui un anno prima aveva subito l’onta della mancata qualifica, l’unica della sua carriera. Al suo fianco c’è una vettura bianca, blu e gialla, il cui pilota indossa un casco degli stessi colori: è Keke Rosberg sulla sua Williams. Dietro, un’altra vettura nera, questa volta con un casco bianco da una forma particolare, e una rossa, con un casco gialloblù: sono i due italiani Elio De Angelis e Michele Alboreto, rispettivamente al volante dell’altra Lotus e della prima Ferrari. Proprio la Casa del Cavallino qui è padrona di casa, non solo perché siamo in Italia, e il pubblico del Belpaese impazzisce per la macchina rossa, ma anche perché il circuito è intitolato ad Alfredo “Dino” Ferrari, il figlio prematuramente scomparso del Fondatore. Le aspettative sono molto alte: dopo due prime gare convincenti, Alboreto guida la classifica con 12 punti, frutto di due secondi posti in Brasile e Portogallo. Per la prima volta dopo anni sembra che un pilota italiano possa vincere un mondiale sulla Ferrari, un’accoppiata mondiale che manca dal 1953, quando il leggendario Alberto Ascari si impose per la seconda volta al volante della sua 500 F2. La concorrenza però è agguerrita, e molto disposta a vender cara la pelle. Ci sono le Lotus di Senna e De Angelis, già citati. E poi ci sono loro, le regine dell’anno precedente, le due Mclaren biancorosse, condotte egregiamente da Alain Prost, ancora furente per la beffarda fine del mondiale precedente, e Niki Lauda, campione in carica ma partito sottotono, che scattano rispettivamente dalla sesta e dall’ottava casella. E poi via via tutti gli altri, in un turbinio di colori accesi che risaltano nel grigiore di un pomeriggio romagnolo che di primaverile non ha proprio nulla.
E quindi, il pubblico impazza per LA Ferrari, come detto. La, singolare. La folla di casa stravede per la Ferrari numero 27 del milanese, e tanto è l’affetto per lui che quasi passa in secondo piano il fatto che la Ferrari di vetture in quella gara ne schieri due: infatti, sulla piazzola numero 15 c’è un’altra macchia rossa, con il numero 28 bianco sul muso e un casco bianconero che spunta dall’abitacolo. La Ferrari è quella di Stefan Johansson, e questa è la sua storia.
Ma chi è Stefan Johansson? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro. Johansson è un pilota svedese, che al GP di San Marino aveva 28 primavere sulle spalle. Campione della Formula 3 britannica nel 1980, il pilota nordico disputò alcune gare con team di medio-bassa classifica tra il 1980 e il 1984, quali la Shadow, la Spirit e la Tyrrell, lottando e sputando sangue nelle retrovie fino a che non ebbe l’occasione di farsi notare. Occasione che avvenne, manco a farlo a posta, sempre in Italia, ma a Monza, nel 1984, quando ebbe un aiuto dal destino. Aiuto che aveva un nome e un cognome, e che rispondeva al nome di Ayrton Senna. Proprio il giovane asso brasiliano, infatti, si era reso reo di aver firmato con la Lotus per il 1985, e il suo team, la Toleman, forse offesa dal gesto del paulista, decise di lasciarlo a casa per una gara, per punizione. Al suo posto, venne scelto proprio Johansson, che aveva disputato alcuni GP al volante della squalificata Tyrrell. Dopo una qualifica non brillante in diciassettesima posizione, tuttavia, in gara lo svedese fu fenomenale: sopperendo alle carenze di una macchina non eccellente, Stefan rimontò in maniera leggendaria fino alla terza piazza a pochi passaggi dal termine. Però, quando la Toleman stava già per pregustare uno storico podio, doppione di quello di Montecarlo proprio di Senna, il destino decise di dare una mazzata al povero Stefan, che ebbe un problema sul finale e fu costretto ai box. Terminò quarto, ma non passò inosservato. Più di un occhio esperto aveva notato il giovane svedese. E tra questi c’era Enzo Ferrari.
Il Drake però aveva già due piloti sotto contratto per il 1985. Erano Michele Alboreto e René Arnoux, una coppia valida per aspirare al mondiale. Per Johansson non c’era spazio, e il GP del Brasile, primo della stagione, lo corse con la Tyrrell, da comprimario. Anche qui, però, il destino ci mette lo zampino: al termine della gara carioca il francese, giunto quarto, abbandonò la Scuderia per cause mai rese note. Ferrari, alla ricerca di un pilota per il GP del Portogallo, non ci pensò due volte, e tra lo stupore generale ingaggiò lo svedese che tanto gli era piaciuto a Monza. Sembrava un sogno per Stefan, che passò dall’essere sul fondo della griglia all’essere al volante di una delle macchine più forti e affascinanti dello schieramento. La scommessa di Enzo, però, sembrava non pagare: in terra lusitana Johansson faticò tantissimo sotto la pioggia, chiudendo ottavo a cinque giri dal compagno di squadra Alboreto, secondo. E anche nelle qualifiche di Imola non andò meglio, non riuscendo a strappare un tempo superiore a quello valevole per la quindicesima posizione. Forse, stavolta il Drake ha preso una cantonata.
E torniamo quindi a quel 5 maggio di trentasei anni fa. Al via Senna mantiene la testa, seguito da De Angelis, Alboreto e Prost. Il quartetto di testa si invola, facendo divertire il pubblico per una ventina di tornate. Il più arrembante è proprio il pilota della Ferrari, che infiamma il pubblico dapprima con una strenua difesa nei confronti di Prost, e poi con un bellissimo sorpasso ai danni del connazionale della Lotus. I tifosi Ferraristi sperano nella vittoria per ventidue tornate, finché un problema all’alternatore non costringe Michele ai box. Si ritirerà poco dopo. Delusi, i tifosi della Ferrari iniziarono a guardarsi intorno. Ed è in quel momento che si resero conto che la Ferrari aveva schierato due macchine.
Johansson, infatti, era partito come una furia. Nel giro di una ventina di tornate era risalito fino alla sesta posizione, l’ultima che assegnava punti iridati, e quando Alboreto fu costretto ad alzare bandiera bianca ereditò la quinta piazza. Forse poteva bastare, ma non per lui, che a testa bassa iniziò a mangiare secondi su chi lo precedeva. A metà corsa riprese di gran carriera il duo composto da De Angelis e Lauda, infilzando con una bella manovra l’austriaco nel corso del trentacinquesimo passaggio. Quarto. Ancora rimonta, e per cinque-sei passaggi ingaggia un bellissimo duello con De Angelis. Il romano è bravissimo a chiudere, ma al cinquantesimo giro si trova la strada sbarrata alla Villeneuve da Piquet e Boutsen, doppiati e in lotta tra di loro. Il pilota della Lotus ha un’esitazione, e ad approfittarne è la Ferrari, che schiva l’avversario come un birillo. Terzo. La folla è in visibilio. E non è finita qui. Sotto gli occhi increduli dei tifosi Ferrari, lo speaker annuncia che Johansson sta recuperando su Prost. A undici giri dalla fine, Johansson va come un missile, e potrebbe realizzare il miracolo. Al ritmo di due secondi al giro, alla cinquantaseiesima tornata lo svedese arriva negli scarichi della Mclaren, infilandola subito. Secondo, e Senna ha poco vantaggio. Forse…
Ma non è finita. In uno dei più pazzi finali della storia dello sport, davanti succede il fattaccio. A tre giri e poco più dalla fine, il motore Renault di Senna si ammutolisce alla Rivazza. Il brasiliano ha finito la benzina, ed è costretto a parcheggiare. Come in una favola, dietro di lui si materializza la sagoma rossa della Ferrari numero 28, che lo sorpassa per involarsi verso il traguardo, sempre più vicino. Contro ogni pronostico, Stefan Johansson è al comando del Gran Premio di San Marino 1985. La folla è in delirio, le bandiere sventolano ovunque. Il brutto anatroccolo, lo sconosciuto pilota proveniente dal nord che è entrato a Maranello poche settimane prima, è appena diventato un cigno. Per un lungo, lunghissimo, eterno minuto, Stefan Johansson assapora la gioia di quella che potrebbe essere la sua prima vittoria in carriera. Per sessanta secondi, lo svedese accarezza il sogno di vincere in Italia al volante della Ferrari, sul circuito intitolato al figlio del Drake, che tanto aveva creduto in lui infischiandosene dei pareri contrari.
Un solo minuto però. Il tempo che ci vuole per andare dalla Rivazza alle Acque Minerali. Perché, come nel peggiore degli incubi, la Ferrari con il casco bianconero improvvisamente rallenta. Nessuno vuole crederci, a cominciare dallo stesso Johansson, che nella disperazione generale è costretto ad accostare e a scendere dalla macchina. Anche lui, come Senna, ha finito la benzina. Concentrato com’era nella disperata rimonta, ha smesso di guardare il computer di bordo, perdendo di vista i consumi, e dai box non gli hanno detto di rallentare alle prime avvisaglie di problemi, nonostante Prost procedesse oramai a passo d’uomo e Senna fosse fuori gioco. Sul tracciato imolese cala il gelo: l’aria fino a pochi secondi prima festosa viene sostituita dalla rabbia e dallo sconforto. A vincere è Alain Prost, ma viene squalificato e quindi la vittoria viene data a De Angelis, che sale in testa alla classifica. Ma questo non c’interessa. E non interessa neanche al pubblico, che osanna il nuovo pilota, le cui gesta ricordano quelle del compianto e ancora amatissimo Gilles Villeneuve. Quello che c’interessa è ciò che avrà pensato in quei sessanta secondi Stefan Johansson, uno sconosciuto pilota svedese che stava per realizzare il colpo della vita, ma che è stato costretto ad arrendersi ad una manciata di giri dal termine per un bicchiere di benzina. E, soprattutto, quel che c’interessa è ciò che avrà pensato immediatamente dopo quei sessanta secondi, quando ha capito che il suo sogno era sfumato. Lo svedese non vincerà mai un Gran Premio nella sua carriera. Ma chissà come sarebbe cambiata la sua carriera se il sogno di una vita non fosse durata un solo minuto. Questa non è una storia a lieto fine. Questa è la storia di Stefan Johansson, Re per un minuto.