Durante le prove libere del GP di Abu Dhabi dello scorso anno Hamilton ha deciso di passare dal numero 44 al numero 1, che mancava da esattamente quattro anni. Approfittiamone per fare un viaggio attraverso ciò che da decenni rappresenta più un pilota insieme al suo casco.
Il numero. Ogni pilota ne ha uno, che lo rappresenta e lo caratterizza rispetto agli altri. Specialmente da quando è arrivato l’Halo a rendere nascosti i caschi, è l’elemento che meglio ci permette di distinguere questo o quel pilota della stessa squadra al volo, semplicemente guardando il muso o la pinna. Questo perché dal 2014 ogni pilota ne ha uno personalizzato sul modello MotoGP – dove da vent’anni anni il 46 giallo fa associare un solo volto e un solo nome – scegliendo fra il 2 e il 99, escluso il 17 che fu del compianto Bianchi. Alcuni hanno scelto i numeri che avevano ai tempi dei kart, come Hamilton o Alonso. Altri il numero con cui sono diventati campioni del mondo, come Vettel e Button. Altri ancora ne hanno scelto uno per fare dei buffi giochi di parole, come Carlo55ainz e Bo77as. Curiosa (ovviamente) la scelta di Raikkonen, che all’epoca optò per il 7, lo stesso numero usato nel 2013 perché “È stata una stagione positiva, perché cambiarlo?”, mentre Alexander Albon, tifoso di Valentino Rossi, ha optato per il numero 23, sperando di avere almeno la metà del suo successo. Questi lo terranno per tutta la carriera, e se dovessero ritirarsi resterà congelato per due stagioni, nel caso dovesse tornare, poi sarà ancora a disposizione.
Ma prima del 2014 non era così. Tornando agli albori della disciplina, i piloti non avevano un numero fisso. Ad ogni gara gli organizzatori assegnavano i propri numeri al momento dell’iscrizione alla gara, mantenendo solo la convenzione di dare al campione in carica il numero 1, anche se non sempre accadeva. Addirittura, in alcune gare venivano assegnati solo i numeri pari, o ne venivano saltati alcuni come il 13, notoriamente il numero portasfortuna per eccellenza. La svolta avvenne nel 1974 quando, per cercare di dare una sorta di continuità, la Federazione decise che d’ora in avanti i numeri sarebbero stati assegnati in base alla classifica costruttori del 1973, con l’unica eccezione dei numeri 1 e 2, che sarebbero andati al Campione del Mondo al suo compagno, mentre i numeri che aveva prima quella squadra sarebbero andati alla squadra che perdeva il titolo. Inoltre il numero era assegnato alla macchina, non al pilota, quindi in caso di sostituzioni la riserva avrebbe preso il numero del titolare. Ah, ovviamente veniva sempre escluso il 13 per questioni scaramantiche, che sarebbe apparso solo quarant’anni dopo con Maldonado (che effettivamente non ebbe molta fortuna con quel numero). Tutto chiaro quindi? E no, perché già da quell’anno ci fu la prima eccezione. Infatti, il campione del mondo uscente, Stewart, si ritirò sconvolto dalla terribile morte del compagno Cevert, e i primi due numeri andarono alla Lotus campione costruttori. Quando anni dopo alla Williams accadde lo stesso problema però, decise di assegnare lo 0 per due anni consecutivi a Damon Hill, conosciuto per questo come Capitan Zero, come prima di lui l’aveva già portato Jody Scheckter nel 1973. La Tyrrell prese il 3 e il 4, e li mantenne fino al 1995, quando nel frattempo era diventata una scuderia di ultima fascia. Per inciso, il primo numero a vincere il titolo fu il 5 della Mclaren di Fittipaldi, che prese l’1 e diede il suo numero alla Lotus.
La Ferrari, partita con l’11 e il 12, ebbe i numeri più bassi per tre volte, ma soprattutto ebbe, dal 1981 al 1995 (con l’eccezione del 1990, in cui andarono alla McLaren) il 28 e il 27 che, non ce ne voglia Hulkenberg, nella storia dell’automobilismo evoca il nome di Gilles Villeneuve. Quel numero fu talmente legato ai Villeneuve che quando Jacques corse alla 500 Miglia di Indianapolis, ad essere estratto a sorte per la sua macchina fu proprio quel numero, che lui portò alla vittoria, in una sorta di consegna del testimone da padre in figlio.
Con questo sistema capitava che un pilota potesse tenere lo stesso numero per molto tempo. Lafitte, ad esempio, ebbe il 26 per ben 132 GP, il maggior numero di gare con corse da un pilota con lo stesso numero. In quegli anni il numero più alto fu addirittura il 208, portato da Lella Lombardi per questioni di sponsor, per via della frequenza di una radio che la finanziava nelle corse.
Anche se il pilota e il numero non erano fissi, si creavano delle accoppiate destinate a rimanere scolpite negli annali, come la leggenda di Red Five Mansell o la prassi che vedeva gravare sul numero 27, dopo Villeneuve, un’enorme responsabilità nel portare avanti quel numero così carico di significato. Giunti al 1996 però venne constatato il fatto che dal 1973 molte squadre se ne erano andate e molte erano arrivate, creando quindi molti buchi di numerazione. Si decise di cambiare sistema, cambiando i numeri di anno in anno in base alla classifica costruttori, spostando però sempre l’1 verso la macchina del campione del mondo piloti. In quegli anni i numeri, non più simboli di un pilota specifico, diventarono sempre più piccoli, fagocitati da sponsor sempre più grandi. Anche se c’era ancora qualcuno che al numero dava importanza: Schumacher, ad esempio, ogni anno insisteva per avere il numero più basso, e per questo motivo causò anche una piccola polemica con Rosberg negli anni Mercedes dato che, non disputando la Q3 per risparmiare treni di gomme, il Kaiser partiva sempre davanti in virtù proprio del contrassegno minore. Considerando che in sette occasioni ha avuto il più basso possibile, la sua doveva essere una vera e propria fissa. Oppure Kobayashi, che da bravo giapponese ha sempre evitato tutti i numeri contenenti il 4: quel numero infatti, nella sua lingua madre, ha un suono simile a quello della parola morte, ed è per questo che nel 2014 smosse le montagne pur di chiamare la Catheram con cui avrebbe corso CT-05 e non CT-04 come da numerazione progressiva. Questo sistema rimase in vita fino al 2014, quando si passò al metodo attuale fatto di numeri ben visibili su cofano, musetto, casco e tuta e con la possibilità di poter evitare il numero da campione, che infatti non scende in gara dal 2014.
Dando però uno sguardo ai numeri dei campioni del mondo, possiamo ricavare alcuni dati curiosi. Per esempio, il numero più volte campione è stato l’1, per dodici volte. Logico dopotutto aspettarsi che il campione del mondo uscente potesse vincere anche l’anno dopo. Curioso invece come al secondo posto ci sia il 5, attualmente di Vettel, con nove titoli, l’ultimo proprio del tedesco nel 2010, senza effettivamente che ci sia un qualche motivo logico del perché questo numero abbia vinto così tante volte. L’unico pilota a vincere con il numero 2, stranamente, per tre dei suoi quattro titoli, è stato Alain Prost, e questo può trovare una spiegazione nel suo approccio alla guida da Professore: sconfitto l’anno precedente dal compagno di squadra, si metteva sotto ad imparare meticolosamente tutto quello che c’era da sapere sui suoi errori e sui difetti del compagno, rinforzandosi per la stagione seguente e battendolo. Cosa forse scontata, ma non facile se i tuoi compagni sono Niki Lauda o Ayrton Senna. Romantica la storia del numero 6, che ha visto campioni del mondo sia Keke che Nico Rosberg a quarantaquattro anni di distanza, con l’intervallo di Raikkonen nel 2007, andando a premiare quindi solo outsider che a inizio stagione non godevano dei favori dei pronostici. Strana invece la storia del 22, campione per due anni consecutivi nel 2008 e nel 2009 con Hamilton e Button, con la squadra che l’anno prima aveva chiuso all’ultimo posto nel mondiale costruttori, anche se per motivi diversi. Il numero più alto ad aver vinto il titolo, infine, escludendo il 44 dominatore degli ultimi anni, è il 27, che nel 1980 trionfò sul musetto della Williams di Alan Jones, che strappò l’1 alla Ferrari. E fa piacere ricordarlo, perché proprio per questo quel numero passò al Canadese Volante, che tante gare spettacolari ci fece. Tornando al numero 1, questo non appariva dal GP di Abu Dhabi 2014, quando lo portava Vettel sulla sua Red Bull. Purtroppo Lewis non userà il numero 1 quest’anno, rimanendo fedele al suo 44. Sarà sempre quello il numero che guarderanno tutti i piloti, a cominciare dal numero 5. Ma mi raccomando, occhio anche al 16 e al 33, oltre che al 77 e al 10. E adesso giocatevi pure questi numeri, se volete.