Da ormai svariati GP l’argomento cardine di discussione è il plank flessibile. Ma davvero influenza così tanto la performance? E se sì, come?
C’è chi giura che i due team di testa nel campionato riescano a trarre benefici extra passando indenni tutti i controlli statici (vedere alla voce Toto Wolff). C’è chi giura di essere totalmente in regola e accusa i sopracitati di voler cambiare le regole in corso d’opera per plafonare un miglior lavoro dei propri rivali (vedi Mattia Binotto e Christian Horner, antagonisti in campionato che si sono scoperti validi alleati contro un personaggio non di certo ininfluente e tutt’altro che poco scaltro a livello politico).
Insomma, questo benedetto pezzo di legno (che più legno non è, come vi abbiamo spiegato QUI) sembra essere diventato un sentiero spinoso in cui ciascuno nasconde le proprie – piccole o grandi che siano – magagne.
Ma cos’è il plank? Esso è la parte in resina a base vetrosa situata al centro del fondo delle monoposto che è stata inserita dopo il 1994 per questioni di sicurezza. La sua usura è sempre stata limitata: oggi il regolamento impone di rientrare in un campo di usura inferiore o uguale al millimetro su uno spessore totale concesso di 10 millimetri.
Ma come fa a consumarsi così poco un pezzo in resina se è in contatto continuo con l’asfalto causando anche scintille? Semplice: la parte anteriore dal 2014 è in titanio, anche per ragioni prestazionali (veniva usata dai team sottopeso come zavorra, in quanto la posizione proprio sotto il t-tray è vantaggiosa in termini di baricentro) ed è quella a toccare ed emettere le scenografiche scintille.
Il regolamento, oltre a limitare l’usura del plank, limita anche la flessione dello stesso: infatti, come vi abbiamo spiegato sempre QUI, la FIA durante le verifiche tecniche del giovedì misura le flessioni del fondo, che sottoposto a determinati carichi non deve deformarsi oltre una certa soglia (in questo caso specifico 2mm, ma se avete letto l’articolo che ben 2 volte ho linkato già dovreste saperlo????)
Premesse terminate, come fanno i team ad estrarre prestazione dalla flessione del plank?
Con le nuove monoposto ad effetto suolo si è riproposto un problema sottovalutato da tanti, il porpoising.
Il saltellamento che vi abbiamo spiegato qui avviene per via dell’interazione tra l’instabilità aerodinamica delle monoposto quando la vettura si abbassa al di sotto di un certo limite e la rigidezza delle sospensioni. Per risolvere questo problema (senza ricorrere a particolari artifizi aerodinamici che richiedono tempo, sviluppo, ore di galleria e budget) il metodo più immediato è alzare la vettura di qualche millimetro. Così facendo si perde però in prestazione, in quanto si ha meno carico aerodinamico e quindi velocità di percorrenza in curva minori.
Se (e qui il condizionale è d’obbligo) le supposizioni dei team principal più maliziosi dovessero trovare riscontro nella realtà, alcuni team hanno alzato la vettura solamente al posteriore, con un fondo capace di flettere ad alte velocità durante il contatto con il terreno, consentendo di restare più alta la zona del diffusore in modo da non stallare, ricreando una sorta di effetto rake meno accentuato ma funzionale alle curve ad alta velocità di percorrenza.
Così facendo, il gap tra la parte iniziale del condotto Venturi e la strada diminuisce, permettendo di sigillare meglio il fondo, mentre la parte terminale mantiene un’altezza tale da limitare il porpoising che si avrebbe abbassandosi maggiormente.
Questo trova riscontro anche nell’ultimo aggiornamento Ferrari portato in Francia, con l’area d’ingresso del canale Venturi diminuita, mentre l’estrattore è rimasto di uguali dimensioni.
Resta da capire come i team imputati possano riuscire a superare le verifiche tecniche pur attuando questi “trucchetti” in pista, ma forse sarà tutto più chiaro dopo il GP del Belgio, in cui entrerà in vigore la direttiva tecnica 39.