Abbiamo raggiunto ai nostri microfoni, in esclusiva per Fuori Traiettoria, Gianfranco Mazzoni, giornalista RAI e telecronista della Formula 1 dal 1997 al 2018. Con lui abbiamo parlato del presente, del futuro e anche del passato, tra considerazioni personali e aneddoti. Ecco la seconda di tre parti.
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Fuori Traiettoria: Ora però vorrei fare un passo indietro: vorrei chiederle, qual è stata la sua stagione preferita da commentatore?
Gianfranco Mazzoni: Beh, ovviamente quando sei coinvolto ti porti dietro tanti ricordi. Io ho iniziato sul finire degli anni ’80, quindi ho vissuto l’epoca di Senna, tutte quelle di Schumacher, Alonso, Hamilton. I ricordi sono tanti, soprattutto quando le stagioni sono faticose e si tratta di girare, passare da un circuito all’altro, e quindi si ha sempre la soddisfazione quando si arriva alla fine di aver fatto il proprio lavoro, di aver visto un bel campionato. Ogni mondiale per me è stato bello e interessante. Nella memoria sicuramente ho il 2000, quando la Ferrari, dopo una lunga rincorsa durata più di vent’anni, riuscì a vincere il mondiale a Suzuka, così come ricordo la vittoria di Jarno Trulli a Montecarlo nel 2004, che era un mio conterraneo e lo conoscevo da quando era bambino. Purtroppo, ci sono anche ricordi brutti e dolorosi, come la morte di Senna e quella di Ratzenberger in quel terribile weekend di Imola. Poi quando ci fu la tragedia di Bianchi noi non eravamo in Giappone, ma a Milano, quindi sì, è stato anche quello un grande dolore, ma eravamo un po’ lontani, e cercavamo di capire e di avere notizie dal Giappone. Mentre a Imola ci furono momenti di angoscia, di dolore e di terrore vissuti in prima persona nell’hospitality della Williams. Ci sono stati ricordi belli e ricordi dolorosi, c’è stato di tutto in questi ventotto anni in cui sono stato in pista. E adesso seguo, non dico con meno coinvolgimento, ma con meno emozione forse; seguo da lontano, mentre quando sei sul posto e conosci le persone è chiaro che sei maggiormente coinvolto. E poi l’importante è non fermarsi mai, io anche quest’anno mi sono divertito, quindi anche questa è stata una bella stagione. Riaffiorano sempre più ricordi: le polemiche tra Senna e Prost, l’incidente di Jerez tra Villeneuve e Schumacher (1997 ndr), in quella che fu per me la prima stagione in televisione dopo anni di radio. E quella fu una telecronaca difficile perché lì Schumacher commise un errore.
FT: E lei fu il primo in quell’occasione a valutare la portata di quel fatto.
GM: Sì, dissi che fu un’azione poco corretta, e infatti la Federazione gli tolse tutti i punti. Quindi sì, ci sono stati un sacco di episodi anche quest’anno, ma è diverso viverli al microfono, con l’adrenalina e una grande responsabilità, perché se sbagli non hai tempo di correggere. E di sbagli ne ho commessi tanti, ma a Jerez andò in quel modo. Poi ecco, per quanto riguarda le vicende tra Hamilton e Verstappen hai più tempo per ragionarci perché non sei in diretta, devi fare dei pezzi per i vari telegiornali, e quindi hai tempo per valutare e sentire pareri. La diretta invece è come un volteggio al trapezio senza la rete sotto.
FT: Ecco, lei ha citato le morti di Senna, Ratzenberger e Bianchi. Come si gestiscono eventi del genere dal punto di vista televisivo, e come si lavora in questi casi? Anche magari non necessariamente incidenti mortali, ma comunque molto gravi e con lunghe attese, come ad esempio quello di Schumacher a Silverstone nel 1999?
GM: Innanzitutto quel primo maggio ero alla radio, non trasmettevamo in diretta ma facevamo dei collegamenti, quindi c’era tutto il tempo di andare ad informarsi, di avere un momento anche di riflessione. Poi per quanto riguarda Bianchi lui all’epoca fu ricoverato in ospedale in gravi condizioni, e quindi fu una tragedia che si compì a distanza di mesi. È chiaro che ci sono stati momenti complicati, incidenti molto brutti. Bisogna stare molto attenti a ciò che si dice. Io ricordo che Poltronieri (telecronista RAI prima di Mazzoni ndr) mi raccontò di Saarinen e Pasolini a Monza (al Gran Premio delle Nazioni del 1973, classe 500 ndr): non c’erano le telecamere alla Parabolica, e lui non aveva immagini, non aveva riferimenti. E quindi cercava di capire dalle espressioni delle persone che arrivavano sul traguardo, gli altri piloti. Ci sono delle difficoltà oggettive, anche perché ti stanno seguendo i familiari o altre persone coinvolte, e anche i tifosi, quindi bisogna essere molto attenti, però non bisogna neanche nascondere le verità. Poi è utile anche avere un segnale, vedere se c’è stato un gesto del pilota per far capire che non ha perso conoscenza, bisogna cercare degli elementi per meglio comprendere ma bisogna parlare solo se uno è sicuro. Non devi esagerare, magari creando un’attenzione esagerata o dando delle indicazioni non precise. Non è facile. Ovviamente nessuno si augura un esito terribile da un incidente. Però ecco, se ci sono delle responsabilità, se qualcuno ha fatto una scorrettezza, non dico che bisogna dare subito un giudizio sommario, ma non bisogna neanche nascondere la realtà. Bisogna avere molta prudenza, ma anche rispetto del telespettatore ed etica professionale. Poi devi anche azzeccare, perché se sbagli ad attribuire le responsabilità è peggio.
FT: E sempre in merito all’incidente di Bianchi, quel giorno la RAI trasmetteva in differita. Io qui volevo chiedere innanzitutto come venissero commentate le gare in differita, e poi, domanda quasi personale, come mai accadeva che il TG prima della gara in differita, sullo stesso canale, svelava il risultato?
GM: Allora, noi le gare le commentavamo in diretta, per un semplice motivo, cioè che avevamo tutti i monitor con i tempi. Non si può fare una telecronaca dopo quattro ore senza i riferimenti cronometrici. E poi anche per avere il giusto pathos, un conto è fare la cronaca in diretta ed essere coinvolto, e un altro è quando sai cos’è successo. La cronaca perde sicuramente di freschezza, di lealtà e di verità nei confronti di chi ti guarda. E tornando al discorso di Bianchi non abbiamo avuto grandi informazioni, perché non mostravano immagini e non si capiva niente. Ci siamo resi conto solo dopo un po’ di tempo di cosa era successo, perché non avevamo immagini. Il segnale d’allarme l’avemmo quando inquadrarono il box della Marussia e vedemmo i meccanici che piangevano e si tenevano le mani nei capelli, e quindi fu lì che capimmo che era qualcosa di grave. Poi ecco, adesso è anche molto diverso rispetto a prima, ci sono anche interviste in diretta, ti danno un sacco di indicazioni anche con la grafica, ma lì non c’era niente. Per i primi minuti non sapevamo nemmeno noi dell’entità dell’incidente. Per quanto riguarda il telegiornale, non so cosa facessero, bisogna chiederlo a chi se ne occupava.
FT: E quindi come cambiava lo stato d’animo nel commentare una gara in differita, al di là delle differenze di sede? Era diverso o uguale dal commentarne una in diretta?
GM: Quando sei in diretta la telecronaca in realtà inizia il giovedì, perché sei sul posto e inizi a parlare con i meccanici, con i tecnici, ti rendi conto degli assetti, degli umori, ti dai tutta una serie di impressioni e di valutazioni che poi alla domenica servono. Tutte queste cose con la differita non le hai, quindi cercavamo comunque di telefonare, di parlare, di relazionarci. Avevamo comunque delle informazioni sicuramente più consistenti di quelle che poteva avere un telespettatore con internet o seduto in poltrona di fronte alla tv, e arrivavamo certamente preparati. Poi c’era anche una grande professionalità, eravamo io, Ivan (Capelli ndr) e Giancarlo (Bruno ndr), che ci siamo sempre confrontati e preparati prima. Certe volte stavamo insieme anche il venerdì e il sabato prima della gara, anche a pranzo e a cena, ci scambiavamo valutazioni, oppure qualcuno telefonava ad un amico, un tecnico o un giornalista, per avere informazioni. Ma è chiaro che quando sei sul posto hai delle sensazioni, delle nozioni maggiori. E poi c’è una cosa da dire, facendo un paragone con il calcio: quando fai una telecronaca calcistica hai di fronte a te tutta la scena dell’evento, quindi puoi anche non guardare il monitor e guardare il campo; per guardare la Formula 1 invece devi per forza guardare la televisione, perché c’è una pista di 4-5 km e anche se ti affacci dalla finestra hai una porzione minima di pista. Quindi da questo punto di vista la telecronaca la fai sempre davanti al video, sia se sei a Suzuka o a Milano. Alla fine, quindi, la cronaca vera e propria, quelle due ore di gara, era uguale, ma ciò che cambiava era ciò che avveniva nei giorni prima e tutte le sensazioni che avvertivi sul posto.
FT: Lei ha citato i suoi compagni in cabina di commento, Ivan Capelli e Giancarlo Bruno, ma ovviamente c’erano anche altri, il primo anno ad esempio in cabina c’era René Arnoux. Quanto era importante il loro supporto?
GM: Fondamentale, innanzitutto perché loro avevano una competenza diversa dalla mia. Ognuno ha un suo ruolo: persone come Arnoux, Capelli o Pirro (Emanuele, al commento tecnico nel GP d’Italia 2018 ndr) da piloti possono dare una valutazione diversa dalla mia in varie situazioni, mentre esperti come Piola (Giorgio ndr) e Giancarlo hanno una maggiore conoscenza tecnica. Il ruolo del telecronista è quello di disciplinare gli interventi, gestire gli spazi, di usare l’aneddotica, ma soprattutto, parlando, di dare il tempo agli altri di ragionare. La telecronaca, per quanto riguarda la Formula 1, è il complesso del lavoro di tutti.
FT: Volevo poi farle una domanda su un argomento in particolare: lei ha una certa fama, non so se ne è consapevole, sui social, sia per i suoi aneddoti, molto interessanti, con cui spesso riempiva i momenti morti della gara (i leggendari nonni di Barrichello), ma anche per le volte in cui ha “anticipato gli eventi. Volevo chiederle, quindi, com’è nata la sua passione per gli aneddoti? E come si relaziona alla sua fama di “portasfortuna”?
GM: Beh, per quanto riguarda il portare sfortuna, quello è dovuto all’esperienza: infatti, quando hai esperienza e commenti da tanto tempo, sai che una certa cosa può succedere e quindi la dici in cronaca, ma non è che quando succede è colpa tua. Ricordo ad esempio qualche anno fa, a Montecarlo (nel 2017 ndr), quando Hamilton sbagliò il suo primo giro in qualifica e si ritrovò a giocarsi tutto nell’ultimo tentativo: e io dissi “Deve sperare che nessuno davanti a lui vada a sbattere”. Pochi secondi dopo Vandoorne andò a sbattere davanti a lui, uscirono le bandiere gialle e Hamilton non si qualificò. Poi è chiaro che la gente ci ricalca sopra: penso alla partita di Supercoppa Italia, in cui si è parlato più di Bonucci che non è sceso in campo che del risultato in sé, e da lì sono partiti tutti i meme e gli sfottò. Ci sta, così come ci sta che mi dicono che porto sfiga. Ma la sfiga mica la porto io, se la portano i piloti che sbagliano. Alla fine uno può fare una previsione che può avverarsi o meno: poi si può essere bravi e azzeccare o portare sfiga. Con tutti i social poi, e tutte le opportunità di scrivere che ci sono, è normale che la gente dica ciò, e anch’io sorrido su questo. Anzi, magari, se avessi davvero la possibilità di condizionare i risultati andrei a giocarmi i risultati e diventerei ricco.
FT: E per quanto riguarda gli aneddoti?
GM: Quando devi fare una telecronaca di due ore e mezza gli aneddoti, devi anche saper interessare il pubblico, perché magari si addormenta, e quindi devi conoscere la storia e il luogo. E quindi si mettono questi aneddoti. Poi per carità, a volte si possono anche ripetere nel tempo, perché magari da un anno all’altro vanno sempre bene. Ma questo lo facevano anche i miei predecessori. Solo che prima non c’erano tutti questi social, mentre adesso vengono fuori tutte queste battute che ripeto, ci stanno, sono simpatiche, fanno parte del gioco. La cosa che però mi preme dire è che sì, ho parlato dei nonni di Barrichello, però meglio parlare di quello che far vincere un mondiale a Massa, come hanno fatto altri.