Diciamo che lo abbiamo capito tutti: la prima bozza di regolamento per la F1 del 2021, stilata a più mani da Liberty Media e FIA, non è che sia piaciuta proprio a molti. Anzi, a voler essere puntigliosi non è piaciuta quasi a nessuno. E se le parole di Mercedes e Renault, che seppure con toni più accomodanti criticavano le proposte redatte, non hanno avuto – almeno in Italia – una risonanza mostruosa, cosa ben diversa è accaduta non appena a prendere la parola è stato Sergio Marchionne, Presidente della Ferrari.
“La Ferrari è pronta a lasciare la F1”. E’ questa infatti, in soldoni, la notizia che sul web rimbalza con un tambureggiare incessante da una testata all’altra. Ed è una di quelle frasi che lasciano storditi gli appassionati del Circus, nella maggior parte dei casi impreparati a vedere uno schieramento di partenza privo di quelle monoposto rosse che lo hanno accompagnato sin dalla nascita. Oltretutto, è una di quelle frasi che non è nemmeno così distante da quanto realmente detto da Sergio Marchionne: non è una pura invenzione della stampa nel tentativo di fare del facile click-baiting, per intenderci. “So che la F1 è parte del DNA Ferrari dalla sua nascita e che non possiamo definirci in modo diverso” – ha infatti dichiarato il Presidente della Ferrari – “Ma se cambiamo l’ambientazione al punto da renderla irriconoscibile, non voglio più giocarci. Non voglio far parte di una Nascar globale“. Chiaro, conciso e dritto al punto: come già detto da Mercedes prima e da Renault poi, questo cambiamento regolamentare non s’ha da fare. O meglio, s’ha da fare ma in termini diversi. Appurato ciò, e in attesa che i cervelloni della F1 riuniscano di nuovo le meningi per capire come complicare ulteriormente una situazione già di per sé parecchio ingarbugliata – non dimentichiamo infatti che Aston Martin, main sponsor di RedBull a partire dal 2018, si è detta felicissima del nuovo regolamento e che Honda non ha osato proferire parola -, quanto è probabile che la Ferrari lasci davvero la F1? Poco. Molto poco.
Il perché è presto detto: nessuna delle due parti in causa trarrebbe giovamento da un saluto reciproco. Entrambe sopravviverebbero, è vero, ma pesantemente indebolite. Fermatevi un momento a pensare bene a questo scenario: da un lato, la F1 senza Ferrari; dall’altro, la Ferrari senza F1. Non è impossibile da immaginare, giusto? Ma è un qualcosa che vi suona tremendamente strano ed anormale, è altrettanto giusto? Probabilmente sì. Il Circus, è vero, attualmente è composto da 10 scuderie: disputare un campionato avendone al via solamente 9, in termini concreti, non causerebbe chissà quali tragedie. Se non fosse però che nessuna – nessuna – tra le Scuderie in lizza per il Titolo Mondiale di Formula 1 abbia il blasone, la storia, l’importanza, la tradizione, il lignaggio che può mettere in campo la Scuderia Ferrari, una squadra che solamente facendo sventolare un vessillo giallo con su stampato un cavallino rampante nero incute rispetto, ammirazione, timore, venerazione. Ancor prima che a livello di pubblico, di merchandising, di ascolti e di interesse nelle masse, la F1 perderebbe un qualcosa di incommensurabile, perché incommensurabile è il contributo, sportivo e non, che Ferrari ha dato a questo sport. La nuova proprietà a stelle e strisce, per quanto modernista, sa bene di non poter effettuare un taglio così netto e brutale con un passato che è presente ed è anche già futuro: Liberty Media ha bisogno della Scuderia più famosa del mondo, così come ne aveva bisogno Bernie Ecclestone ormai più di 30 anni fa. E ne ha bisogno soprattutto in un momento come questo, in cui la F1 sta cercando pian piano di recuperare credibilità ed appeal di fronte ad un grande pubblico disamorato da anni di scelte impopolari. Quanto interesse potrebbero quindi avere Chase Carey, Ross Brawn e compagni, a perdere la Scuderia Ferrari? Zero.
“Se Atene piange, Sparta non ride” diceva però qualcuno, a sottolineare come in alcuni casi ci siano delle realtà talmente compenetrate da rendere impossibile che le vicende di una non si ripercuotano sull’altra. In un panorama motoristico in cui gloriose serie si svuotano di competitor e di significato, se la Ferrari decidesse all’improvviso di abbandonare la F1, dove andrebbe a finire? In un WEC devastato dagli effetti del DieselGate, in crisi di credibilità ben più grave della F1, pressoché privo di copertura mediatica e brancolante nel buio di fronte ad un futuro tutt’altro che roseo? Poco probabile. In una Formula E ancora alle prime armi, dove a stridere più dei motori elettrici sarebbe la presenza del Cavallino stesso, un marchio che ha dichiarato che la LaFerrari non potesse essere utilizzata in modalità full-electric perché “non siamo interessati a realizzare auto elettriche”? Molto poco probabile. Un impegno ufficiale nei campionati GT? Forse, ma quello è il regno dei privati e comunque del pubblico di nicchia, non di certo qualcosa che sia paragonabile al ritorno di immagine che un campionato di F1 è in grado di garantire. Perché è inutile girarci intorno, alla Ferrari la presenza in F1 fa estremamente comodo. Ha permesso al Cavallino di esplorare mercati nuovi – la presenza dei Ferrari World nei punti più disparati del globo terracqueo ne è la prova -, ha consentito di accumulare know-how da trasporre sulle auto di serie, ha contribuito a rendere il simbolo di battaglia di Francesco Baracca uno dei marchi più riconosciuti ed importanti del mondo. Chi compra una Ferrari, oltre che per una questione di status symbol e di qualità indiscusse del mezzo meccanico, lo fa anche perché sente di stringere tra le mani un pezzo dei 15 Mondiali Piloti e dei 16 Mondiali Costruttori conquistati – e da nessun altro replicati – dal team di Maranello nel corso della storia.
A questo punto, torniamo a noi. A noi e, in particolare, alle dichiarazioni di Sergio Marchionne. Sono frasi che lasciano il tempo che trovano? Assolutamente sì. Sono frasi che era inutile pronunciare? Assolutamente no. Perché le proposte di Liberty Media, oggettivamente, non sono convincenti: si nota come manchi la riflessione di un motorista, di come siano scevre da qualsiasi considerazione sulle difficoltà che lo sviluppo di un motore simile, affiancato a quello del propulsore attuale, potrebbe causare (“Ci ritroveremmo di nuovo a dover lavorare su due motori diversi contemporaneamente, tra il 2018 ed il 2020. Sicuri che sia un bene?”, ha detto ad esempio Toto Wolff). La Scuderia Ferrari, proprio in virtù dell’importanza che riveste, aveva un diritto tremendamente simile ad un dovere di prendere posizione sulle sorti della F1 del futuro. Ora, per bocca del Presidente Marchionne, Liberty Media e la FIA sanno che neppure al Cavallino Rampante piace la Formula 1 del futuro così com’è stata disegnata da loro. Sarà dunque il caso di sedersi nuovamente, e stavolta per bene, al tavolo delle trattative: perché cercare di migliorare qualcosa assieme, ottenendo però come unico risultato un indebolimento reciproco, non fa comodo decisamente a nessuno.