Metà anni ’90, esce di scena una delle vetture più gloriose della storia dei rally. Un mito già in vita, l’ultima grande Lancia. Gli appassionati del marchio – e non solo – da quel momento vivranno un periodo buio, oscuro, cupo. Lancia è un marchio senza età, un tempo significava avventurarsi tra i tornanti a suon di cavalli ruggenti per poi essere davanti ad un bel ristorante di classe senza mai sfigurare, in nessuna delle due occasioni. Un binomio unico che nessun’altra casa era in grado di soddisfare ed un diktat alla base: cavalli eleganti.
Ecco, quando si parla di Lancia ogni appassionato ha un attimo di esitazione. Una storia sfortunata, controversa sin dalle sue origini. Una storia che però non ha intaccato il suo fascino, la sua capacità di costruire auto tra le più belle al mondo. Una storia legata a doppio filo con le competizioni sportive che, a partire dagli anni ’70 con il mondiale Rally, la vide regina, dominatrice quasi incontrastata di quel mondo immerso tra fango, ghiaia, neve, asfalto. Fulvia, Stratos, 037, Delta S4 e Delta Integrale: nomi che incutono timore agli avversari tra le tappe dei rally e che per strada, nelle loro versioni per quasi comuni mortali, lasciano a bocca aperta i passanti. Eccellenza e imperfezioni che coesistono – gli opposti si attraggono in fin dei conti – in quella cosa chiamata unicità. “La perfezione è l’arte dei pretenziosi, l’imperfezione quella dei geni” diceva qualcuno, ed è stato così alla Lancia: auto imperfette, ma geniali. Una geniale imperfezione che si appropria di linee, sensazioni di guida, sound, emozioni. Una geniale imperfezione che caratterizza le auto di quel periodo e che nei miei ricordi da bambino conservo: “Il motorino dei fari elettrici della 944 che non andava su, gli interni Missoni della 424 Biturbo ed il suo stare dal meccanico uno settimana sì e una no…Eppure ogni volta che salivo sorridevo, come nel ricordarlo. C’era qualcosa di più, emozioni”. Vi è una certezza in questo discorso: qualunque appassionato d’auto di qualche generazione fa, ha posseduto o ha sognato di possedere una Lancia.
Oggigiorno funziona un po’ tutto diversamente: il piacere di guida passa in secondo piano, i difetti devono essere anestetizzati, le linee standardizzate, i consumi ridotti, la versatilità come mantra ed il downsizing come ideale. In un mondo che cambia – giustamente oppure no, a seconda delle proprie opinioni – c’è un uomo che ci vuole ricordare chi eravamo ma soprattutto cosa eravamo. All’anagrafe, Eugenio Amos, come ognuno di noi appassionati si innamora di una vettura da bambino. Nel suo caso, il colpo di fulmine è una Lancia Delta Integrale giallo ginestra. “È l’auto che mi ha fatto innamorare dei motori ed apparteneva a mio padre, evoca in me un fiume di ricordi” dice Eugenio, perché se ci riflettete ognuno di noi appassionati parte da qui. Emozioni e ricordi che si fondono e danno origine ad un amore viscerale di cui sappiamo l’origine, che si ripete di volta in volta nel luccichio dei nostri occhi al sol ricordo. Questa prodotta dalla Automobili Amos non è una vettura che bada ai numeri è una vettura che bada alle sensazioni, alle emozioni, uniche come si faceva una volta.
In realtà se siete amanti di numeri e dati ci sono, seppur minimi. Un contentino? No, semplicemente questa volta per chi ha creato la vettura non hanno nessun valore. Gli unici valori che contano sono quelli emozionali, in una sorta di umanesimo del mondo delle auto. 20 esemplari destinati alla vendita su 21 prodotti. Cavalli? 330. Peso? 1250 kg. Prezzo? Circa 300 mila euro. Questi sono i numeri. Poi veniamo al sodo. L’auto prodotta nasce da delle Lancia Delta Integrale, che vengono trasformate ad hoc con materiali e tecnologie moderne. Il restored model della Delta si avvale per la sua realizzazione delle sapienti mani dello studio BorromeodeSilva per il design e per i dettagli tecnici del Podium Advanced Technologies. Le differenze con il modello originale ci sono: non ha 5 porte poiché le portiere posteriori sono saldate alla scocca, molti dei particolari della carrozzeria – portellone posteriore, minigonne, cofano motore, passaruota anteriori e paraurti – sono in fibra di carbonio ed il pannello posteriore in alluminio della vettura viene realizzato a mano. Il telaio gode di rinforzi sviluppati per le vecchie “Gruppo A”, mentre il motore – 2 litri di cilindrata – è stato aggiornato con nuovo turbo, nuovo intercooler, nuova centralina e nuove componenti moderne, come dal resto anche l’impianto frenante. Piccola chicca è l’assetto, che è gestibile attraverso una app grazie alle sospensioni Bilstein a controllo elettronico. Dulcis in fundo per i romantici incalliti, le auto non hanno nessun numero di serie, ma hanno tutte un nome. Perché i grandi amori, alla fine, hanno sempre un nome.