Siamo all’inizio dell’Anno Scolastico 2010/2011, in una piccola scuola media sulla costa ligure: un prefabbricato vicino al centro cittadino, come tanti, contenente circa due centinaia di ragazzini tra gli 11 e i 13 anni, non dissimili da qualunque coetaneo in un qualunque altro istituto dell’immensa provincia italiana.
Chi vi scrive ha appena iniziato la classe seconda, e, anche se le giornate non si stanno ancora accorciando percettibilmente, l’aria che inizia a rinfrescarsi contribuisce a ricordare che l’estate è ormai alle spalle ed è giunto il tempo di distogliere l’attenzione dalla spiaggia per dedicarla a monomi e polinomi. È in questo clima di transizione che, durante l’intervallo di una ventosa mattinata, il più insospettabile tra i compagni di classe decide di mostrarmi un video:
Si tratta della terza Gymkhana di Ken Block: un nome da americano che, complice la mia poca conoscenza del web, non mi dice granché. Già sullo schermo di un cellulare dell’epoca, con la banda ridotta che limita la qualità a 240p, l’esibizione mi lascia completamente a bocca spalancata. Nonostante la mia passione per i motori e per le corse abbia radici che risalgono alla prima infanzia, davanti ai miei occhi c’è qualcosa di mai visto prima, una creazione talmente raffinata che sembra non provenire da questo mondo.
Il secondo elemento che mi stupisce, forse ancora più del primo, è il ragazzino che mi mostra il video, precedentemente definito “insospettabile” per un motivo ben preciso: mai, con lui o comunque con la maggior parte della classe, mi era capitato di parlare di motori o di motorsport. O meglio, probabilmente era capitato nei miei disperati tentativi di trovare qualcuno con cui discutere del GP appena concluso, tentativi quasi sempre fallimentari a causa dello scarso interesse per il tema da parte dei miei coetanei.
Ken Block, però, era diverso: lo fu fin da subito. I suoi video erano liberi da quei concetti a cui erano quasi sempre stati legati i personaggi più famosi del mondo dei motori, come la ricerca dell’ultima briciola di prestazione e la fame insaziabile di vittoria: il suo pane era l’intrattenimento, la ricerca di ciò che non era mai stato fatto prima, spingere l’asticella del “concepibile” sempre un po’ più in là. Facendo un piccolo paragone con la ginnastica, in un mondo in cui Schumacher era un fenomeno agli anelli e Loeb il migliore alle parallele, Block era il saltimbanco che si dondolava sul trapezio con la torcia da mangiafuoco in una mano e una stella ninja nell’altra.
Come dicevamo, è un colpo di fulmine. Nonostante l’informatizzazione procedesse con rapidità, il mondo degli anni ’00 consentiva ancora alla maggior parte dei bambini e dei ragazzi un accesso molto limitato ad internet, motivo per cui la scoperta collettiva arrivò 2 anni in ritardo rispetto alla primissima Gymkhana (datata novembre 2008).
Ciò nonostante, un gruppo classe come il mio, che conosceva Valentino Rossi prevalentemente per patriottismo e che a malapena aveva sentito nominare un Lewis Hamilton, iniziò ben presto a conoscere volto, vita e opere (e oserei quasi dire “miracoli”) del fenomenale manico di Long Beach.
Come ho avuto modo di apprendere successivamente, la questione è ben lungi dall’essere circoscritta alla mia personale esperienza: si tratta di un fenomeno che oserei quasi definire generazionale. Oltre al celebre programma inglese “Top Gear”, i video di Block sono stati l’altra grande porta di ingresso verso un nuovo mondo per milioni di persone: se molti si sono giustamente fermati sulla soglia, tanti altri l’hanno altrettanto giustamente attraversata, andando ad incanalare il nuovo interesse in una passione per le competizioni del Motorsport. Sicuramente azzardo, ma credo di non essere troppo lontano dalla verità affermando che, senza questi importantissimi vettori, molti tra gli appartenenti alla mia generazione sarebbero rimasti molto più lontani dal rombo dei motori rispetto quanto non siano oggi.
Probabilmente è anche per questo che, non molte sere fa, mi sono inaspettatamente ritrovato con un groppo in gola mentre ammiravo la storica “Gymkhana Three”, ad anni di distanza dall’ultima volta. Nella mia visione, il dramma avvenuto lo scorso 2 gennaio rappresenta la rottura di uno degli ultimi pezzi della mia infanzia, l’ennesima dimostrazione, come se il caso di Schumacher non bastasse, che anche i miti sono vulnerabili quanto noi e che nessuno è purtroppo intoccabile.
Perché Ken Block non è stato solamente un manico del volante, un pilota di passaggio che ha ottenuto qualche punto nel WRC e qualche podio nel Rallycross. Ken Block è stato un idolo generazionale, il ragazzino che ha deciso di non smettere mai di giocare ma di aumentare semplicemente la dimensione dei propri giocattoli per renderli adatti alle proprie ambizioni, quel bambino che ognuno vorrebbe avere dentro di sé quando si accorge di star prendendo la vita troppo sul serio.