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Quando, se e come Red Bull Racing e Max Verstappen hanno sbagliato in Ungheria





Urge partire da un importante presupposto prima di immergersi nella lettura di questo articolo. Il pezzo, dalla sua introduzione fino all’ultimo punto fermo, non intende in alcun modo giustificare il comportamento avuto da Max Verstappen nei confronti degli uomini della sua squadra.

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© Mark Thompson / Getty Images

L’olandese di Oracle Red Bull Racing, che nella domenica del Gran Premio d’Ungheria ha lasciato che un’emotività rabbiosa prendesse il sopravvento, ha oggettivamente esagerato nell’apostrofare nella maniera in cui abbiamo sentito tutte le persone che compongono il suo team. Gli uomini e le donne di Milton Keynes, proprio come lui, ogni fine settimana lavorano e si impegnano per portare le monoposto del team davanti a tutti e, trattandosi di esseri umani, come lo stesso Verstappen anche loro sono fallibili. Persino a loro, spesso e volentieri perfetti, accade di prendere delle decisioni destinate a rivelarsi… non ottimali, e l’olandese a questo concetto dovrebbe trovare uno spazio persino nella sua ossessiva e maniacale ricerca della perfezione.

A parere di chi vi scrive, infatti, la strategia ideata per Max Verstappen dal muretto box di Oracle Red Bull Racing non è stata la migliore che potesse pensarsi. L’Hungaroring, pur non essendo Monte Carlo come giustamente sottolineato da moltissimi utenti sul web, non è comunque un circuito sul quale è facile superare. Con le attuali vetture, che hanno un dislocamento pari a quello del Titanic, i punti di sorpasso si riducono essenzialmente a due: la staccata di Curva 1 e quella di Curva 2, al termine delle uniche zone DRS presenti lungo il tracciato. L’efficacia di queste ultime, oltretutto, su un circuito di questo tipo è da ricalibrare sulla base del diverso utilizzo dell’ibrido da parte delle varie monoposto. In passato – e persino su piste più favorevoli ai sorpassi – non è stato impossibile vedere delle auto prive di DRS resistere a oltranza agli attacchi di inseguitori muniti dell’ala mobile solo grazie a una differente gestione della potenza derivante dalla parte elettrica delle Power Unit. All’Hungaroring, privo com’è di allunghi esagerati e di ripartenze dalle bassissime velocità, conservare una buona parte di energia per poi sfruttarla in fase di difesa negli unici due punti in cui si è esposti agli attacchi altrui è impresa tutt’altro che impensabile. Va da sé, dunque, che fallire nella manovra nella parte iniziale del circuito costringa chi insegue a percorrere tutto il resto del giro al ritmo – tendenzialmente sempre più lento – di chi scappa.

Come appare una delle attuali monoposto di F1 mentre affronta un qualsiasi settore dell’Hungaroring

Il fatto che team e piloti abbiano riservato una certa attenzione alla qualifica non appare dunque un caso. Ottenere una migliore “track position”, poter guidare con aria pulita davanti – in una domenica peraltro caratterizzata da temperature in grado di acuire eventuali problemi di raffreddamento a freni e Power Unit – è stato considerato, da molti e a ragione, un aspetto prioritario. A destare preoccupazione era inoltre anche il degrado degli pneumatici: le coperture Pirelli, già messe sotto stress sia dalla conformazione della pista che dalle condizioni atmosferiche, avrebbero potuto surriscaldarsi ulteriormente (e dunque consumarsi in modo anomalo ed eccessivo) proprio a causa delle maggiori temperature connesse tanto all’inseguire da vicino la monoposto che precede quanto alle manovre e alle traiettorie più estreme spesso utilizzate per compiere un sorpasso. All’Hungaroring, in sostanza, il compito più difficile spesso lo ha l’inseguitore e non la lepre. E domenica, a conferma di ciò, di sorpassi non è che ne siano stati portati a termine chissà quanti.

Molti di voi, giustamente, a questo punto potrebbero sostenere che la differenza di passo avuta da Max Verstappen nella fasi del GP in cui la sua RB20 era munita di gomme più fresche rispetto a quelle dei suoi diretti avversari avrebbero dovuto consentire all’olandese di fare un sol boccone delle monoposto che lo precedevano. Per le motivazioni spiegate poco più sopra, in realtà, all’Hungaroring neppure un importante delta cronometrico a favore di chi insegue è automaticamente garanzia di un sorpasso rapido e indolore. Osservando il grafico sottostante, per esempio, si può facilmente notare come George Russell e Sergio Perez – in possesso di un ritmo di gran lunga migliore rispetto a quello di Valtteri Bottas, come evidenziato dal secondo e dal terzo stint di gara – per tutta la durata del primo stint non siano minimamente riusciti ad attaccare il pilota della Sauber: l’inglese e il messicano sono stati costretti ad adattare i loro tempi a quelli del #77, ritrovandosi a perdere uno sproposito di secondi rispetto al gruppetto dei primi.

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Il confronto tra i passi gara di Bottas, Russell e Perez | © ftdatavisualization

Dato che persino una simile differenza in termini di passo non consente di superare agevolmente all’Hungaroring, e dato che soprattutto la RB20 non ha in alcun modo lo stesso spaventoso vantaggio che la RB19 vantava su tutto il resto dello schieramento, piazzare per ben due volte Max Verstappen alle spalle di due diretti avversari non pare essere stata la scelta migliore compiuta dal muretto Red Bull. L’olandese, che nelle fumanti interviste post gara ha ammesso come subire un undercut sia una cosa “che può capitare”, a onore del vero (e come vedremo anche in seguito) ha complicato la domenica ungherese sua e del team con una condotta di gara non perfetta. Il primo esempio di ciò è dato dal tentativo di sorpasso effettuato nei confronti di Hamilton nello stint centrale della corsa. Dire che il sorpasso del #1 fosse già completato prima di Curva 2 è irrispettoso nei confronti del #44 che, consapevole di potersi giocare il podio ad armi quasi pari in quella circostanza tutto ha fatto tranne che rendere le cose semplici all’olandese, ma è oggettivo che Verstappen abbia calibrato male la staccata finendo per girare nei sobborghi di Budapest. Il fatto però che il #1 abbia dovuto tentare un sorpasso all’esterno, tirando la staccata all’inverosimile fino a sbagliarla, è indice di come per la Red Bull RB20 superare all’Hungaroring fosse tutt’altro che facile. Perché allora non prevedere un secondo undercut da parte di Mercedes e Ferrari ed evitare quindi di rimettere il proprio pilota di punta nella stessa situazione che l’ha visto andare in difficoltà? Non nascondiamoci dietro a un dito: se questa strategia fosse stata adottata dal Cavallino Rampante il web sarebbe ora stracolmo di meme sull’incompetenza delle persone sedute al muretto box di rosso colorato. Dato che determinate scelte sono state invece fatte per Verstappen, villain per eccellenza, è responsabilità esclusiva dell’olandese non essere riuscito a concretizzare il risultato. Un modo vagamente parziale di osservare la questione, non trovate?

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© Pirelli F1 Press Area

Come scritto poco più sopra e come evidenziato dallo stesso Verstappen, la RB20 non è neanche lontanamente vicina ad avere lo stesso strapotere velocistico della RB19. Fossimo stati nel 2023, probabilmente, staremmo ora parlando dell’ennesimo capolavoro strategico da parte del muretto Red Bull, incuranti forse del fatto che – come sottolineato dal nostro Fabio Catalano“avere una macchina forte aiuta a far passare per geniale qualsiasi strategia”. Lo scorso anno Verstappen si sarebbe sbarazzato di Leclerc e Hamilton in un paio di giri, per poi imporre alla gara un ritmo insostenibile, raggiungere in pochi km le McLaren, fare di entrambe un sol boccone e involarsi indisturbato verso la vittoria. Il 2024 della Formula 1 sta però raccontando una storia diversa, e la squadra di Milton Keynes nel weekend ungherese avrebbe dovuto tenere in debita considerazione il fatto di non avere più a disposizione la debordante supremazia dello scorso anno. Seppure pesantemente riveduta e corretta la RB20 non solo non era in grado di reggere il confronto diretto con la MCL38, ma faticava a mostrare la propria superiorità anche rispetto alla W15 e alla tanto bistrattata SF-24.

La mosca al naso, a Verstappen, è verosimilmente saltata proprio per questo motivo. Perché, si sarà domandato l’olandese, la mia stessa squadra mi ha rimesso nelle stesse identiche condizioni che ci hanno fatto perdere tempo nel secondo stint? Non c’era un modo, si sarà chiesto il #1, per evitare che non solo Hamilton ma anche Leclerc ci superassero in pista costringendoci a fare i funamboli? Dato che pure con gomme più fresche si è faticato per tentare un sorpasso peraltro non riuscito, perché sono stato costretto a doverne effettuare addirittura due? Tutto questo, sia chiaro, al netto del fatto che se Verstappen fosse riuscito a sbarazzarsi del #44 nel bel mezzo del secondo stint probabilmente la strategia avrebbe funzionato in maniera diversa e migliore.

Ammesso dunque che le scelte prese dal muretto di Oracle Red Bull Racing avrebbero forse potuto essere diverse alla luce di quanto emerso nei primi 3/4 di gara, considerare gli uomini e le donne di Milton Keynes gli unici responsabili del 5° posto finale ottenuto da Verstappen in Ungheria sarebbe non poco sbagliato. Anche l’olandese, infatti, ha la sua discreta parte di responsabilità in quanto accaduto.

Come si evince dal grafico che mostra il passo gara avuto durante il GP da Hamilton, Leclerc e Verstappen, in nessuna fase l’olandese della Red Bull ha avuto un vantaggio cronometrico abissale nei confronti dei suoi diretti avversari. Certo, nel terzo e ultimo stint il picco in basso dimostra come la RB20 tra le sue mani fosse tutt’altro che lenta, ma quei tre giri sparati in rapida sequenza su tempi molto bassi – 1’20”908 il primo, 1’21”171 il secondo e 1’22”092 il terzo – erano irripetibili sul lungo periodo. Lambiase, non a caso, ha rimproverato via radio a Verstappen di non essere stato in alcun modo gentile su quegli pneumatici che avrebbero dovuto condurlo fino al traguardo.

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Il confronto tra i passi gara di Hamilton, Leclerc e Verstappen | © ftdatavisualization

Tra il 40° giro, momento in cui Hamilton e Leclerc effettuano la loro seconda sosta, e il 49° passaggio in cui è invece l’olandese a rientrare, il #1 perde da un minimo di 8 decimi fino a un massimo di 1”1 al giro nei confronti del #44. Rientrando in pista con un ritardo di 4”9 nei confronti di Leclerc, che prima del secondo pit aveva approfittato della lotta tra Hamilton e l’olandese pur limitandosi a finirgli alle spalle di 1”1, a Verstappen si è completamente chiusa la vena. Incurante del fatto che alla bandiera a scacchi mancassero ancora 21 passaggi, l’olandese ha colpevolmente deciso che fosse preferibile lanciare la macchina in tribuna piuttosto che puntare a un terzo posto che – seppure in modo non particolarmente agevole – era alla portata sua e del team. Verstappen gira 1” più veloce sin dall’out lap e, grazie a quei tre giri insensati di cui poco più sopra, ricuce il gap nei confronti di Leclerc nell’arco di quattro passaggi, entrando in zona DRS nei confronti del #16 al giro 53. A quel punto, per tutti i motivi di cui abbiamo parlato in questo articolo, la foga dell’olandese è costretta ad arrestarsi alle spalle dell’ala posteriore del monegasco: il ritmo di Verstappen si allinea per tre giri a quello della coppia Hamilton – Leclerc. Quest’ultimo viene superato nel corso del 56° passaggio, ma a quel punto parte del vantaggio derivante dalla maggior freschezza delle gomme di Verstappen è già andato a farsi benedire per via della combo formata dal degrado “abituale”, dalle manovre in fase di duello, dal surriscaldamento dovuto alla vicinanza con la SF-24 e – soprattutto – da quei tre giri brutali di inizio stint. 

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Il confronto tra i passi gara di Piastri, Norris e Verstappen | © ftdatavisualization

Una volta liberatosi di Leclerc, l’olandese torna a far segnare tempi più rapidi di Hamilton: recupera 2 decimi nel giro 57, mezzo decimo nel giro 58, 5 decimi nel giro 59, 4 decimi nel giro 60 e infine altri 4 decimi nel giro 61, quello in cui ritorna in zona DRS nei confronti di Hamilton. I 2” netti guadagnati nel corso del rabbioso giro in 1’20”908, come vedete, sono a quel punto già un lontanissimo ricordo. Ciò che accade nei due passaggi successivi è cosa ben nota a tutti: Verstappen, ormai completamente accecato dal suo furore agonistico, commette un altro grave errore di valutazione. Pur consapevole – per sua stessa ammissione! – del fatto di non averne per raggiungere le due McLaren, il #1 decide che non sia una buona idea prendersi del tempo per attaccare Hamilton con calma e lucidità ma che sia invece una geniale intuizione lanciarsi a vita persa all’interno di Curva 1 dopo avere frenato drammaticamente in ritardo. La bontà della scelta presa dall’olandese si è vista nei secondi successivi al Conclave compiuto dalle sue ruote anteriori spiattellate, quando la RB20 si è incocciata con la W15 effettuando un volo radente non autorizzato dalla torre per poi atterrare poco più in là e riprendere la corsa in 5ª posizione.

Gianpiero Lambiase subito dopo avere visto Verstappen effettuare il suo volo radente non autorizzato

A creare le condizioni per cui Max Verstappen e Red Bull Racing non siano riusciti a fare meglio di un semplice 5° posto è stato un insieme di elementi. Insieme di elementi che, a propria volta, è generato da una causa ulteriore: il fatto che la RB20 in Ungheria non fosse la macchina più veloce del lotto e che quindi, nonostante il corposo pacchetto di aggiornamenti introdotto all’Hungaroring, a Milton Keynes siano stati costretti a cercare degli escamotage per inseguire chi per tutto il weekend è stato in fuga. La pressione, a volte, può generare brutti scherzi e indurre in sbavature persino i migliori: Oracle Red Bull Racing e Max Verstappen, loro malgrado, si sono ricordati di ciò in una afosa e nervosa domenica ungherese. 





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Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow