Il weekend del GP di Spagna potrebbe essere ricordato, con il senno di poi, come uno dei più importanti della stagione 2020 – e non solo – di Formula 1. Una simile definizione, per un fine settimana di gara che ha finora visto le Mercedes recitare come spesso accade il ruolo di incontrastate dominatrici, non deriva tanto da ciò che finora è accaduto in pista quanto da ciò che è successo al di fuori dei cordoli del Montmelò.
E’ stato infatti nel paddock del Circuit di Catalunya che è stata decretata l’abolizione, a partire sin dal Gran Premio successivo, dell’ormai famigerato “Party Mode”, la mappatura da qualifica che tutti hanno ma che solamente alcuni riescono a far funzionare in maniera davvero efficace. Il GP di Spagna sarà l’ultima gara in cui – almeno ufficialmente – sarà consentito sfruttare una simile modalità della Power Unit nelle fasi cruciali delle prove ufficiali: a partire dal fine settimana di Spa, nessuna scuderia potrà fare affidamento su una mappatura più aggressiva del proprio propulsore per cercare di spremere decimi di prestazione in più rispetto alla diretta concorrenza. E non è tutto. Sempre nel corso del weekend catalano, infatti, la FIA ha emanato un’altra direttiva tecnica pensata per fare chiarezza sull’utilizzo dell’ERS, vale a dire la parte elettrica delle Power Unit attuali.
La Federazione avrebbe infatti puntato il dito sugli schemi che collegano MGU-H ed MGU-K, perché – a detta e per bocca di Nikolas Tombazis – sarebbe sorto il sospetto che ci siano alcuni team in grado di aumentare la portata elettrica della Power Unit senza che di ciò se ne trovi traccia. Se l’abolizione della mappatura da qualifica sfiora tutti per colpire in maniera particolare i motorizzati Mercedes, la TD36 emanata dalla FIA parrebbe indirizzata nello specifico alle scuderie che sfruttano la Power Unit Honda, quella che avrebbe appunto trovato un escamotage per farsi beffe dei controlli annunciati dalla FIA ad inizio anno. Ma come mai la Federazione, dopo stagioni in cui è parsa brancolare del tutto nel buio sul fronte Power Unit, all’improvviso sembra diventata capace di individuare con relativa celerità le aree in cui i vari motoristi operano aggirando ciò che il regolamento tecnico impone?
Per provare a dare una spiegazione a questa inversione di tendenza occorre riportare le lancette dei nostri orologi fino ad un tramonto di fine febbraio, quando mancavano solamente pochi minuti allo sventolare della bandiera a scacchi sulla terza ed ultima giornata della seconda sessione di test pre-stagionali della Formula 1. Sì, avete avuto la giusta intuizione: vi sto chiedendo di tornare con me nel tempo sino al momento in cui la FIA ha dato notizia di aver concluso un accordo segreto con la Scuderia Ferrari al termine delle verifiche effettuate sulla clamorosamente performante Power Unit 2019 del Cavallino Rampante. Di quel comunicato che scatenò una sequela inenarrabile di chiacchiere e polemiche si tende, in questi giorni, a dimenticare una parte che reputo essere invece fondamentale. Mi schiarisco la voce e cito letteralmente:
“La Federazione e la Scuderia Ferrari hanno concordato una serie di impegni tecnici che consentiranno di migliorare il controllo di tutte le Power Unit di Formula 1 nel corso delle prossime stagioni”
Soppesate per bene ogni parole contenuta in questa frase, perché potrebbe essere un’attività piuttosto utile per comprendere meglio il momento sportivo che stiamo vivendo. Che la Scuderia Ferrari abbia dovuto rivelare i più profondi ed oscuri segreti propulsivi alla Federazione è cosa che, pur non essendo stata detta o scritta, è stata più volte e da più parti lasciata intendere. Il Cavallino Rampante, le cui mani evidentemente erano più vicine al barattolo di marmellata rispetto a quelle dei suoi diretti avversari, ha dovuto acconsentire verosimilmente ad un controllo particolarmente approfondito dei suoi progetti, dei suoi disegni, delle sue idee. Costretta ad aprire il proprio Sancta Sanctorum motoristico alle indagini della Federazione e fornendo a quest’ultima un punto di vista diverso – da scuderia e non da organo istituzionale – sul regolamento tecnico attualmente in vigore, la Ferrari potrebbe però aver aperto gli occhi socchiusi di una FIA che, fino a quel momento, pareva navigare piuttosto alla cieca.
Non si trattava più di teorizzare norme: si trattava di toccare con mano, con dati ed informazioni certe, come e dove quelle norme venivano aggirate. Ritrovandosi alle prese con dei progetti appartenuti ad uno dei team che meglio avevano eluso i vari sistemi di controllo, la Federazione potrebbe aver improvvisamente iniziato ad intuire anche soluzioni tecniche altrui: se Ferrari era riuscita a trovare questa soluzione, qualcuno si sarà domandato, chi dice che anche gli altri non abbiano pensato ad un qualcosa di simile? Da qui l’emanazione di direttive tecniche che, dopo anni di impotente laissez faire, hanno pian piano iniziato a restringere sempre di più il margine di manovra rimasto in mano ai motoristi, costretti ad agire in zone d’ombra destinate a ridursi ulteriormente con il passare del tempo.
Pare quasi che la Federazione sia ora in grado di tappare le falle regolamentari che si trovano al di sotto della linea di galleggiamento. Ed il merito di ciò, quasi per assurdo, potrebbe andare a quella scuderia che per prima ha dovuto sacrificare la propria potenza sull’altare della regolarità tecnica e che ora, dopo mesi di inevitabile sofferenza, potrebbe aver sentito un cambiamento di direzione nello spirare del vento.