L’annuncio del ritorno in pianta quasi stabile nel Mondiale rally con Hyundai Motorsport del marziano Seb Loeb, oltre a stupire tifosi, appassionati e numerosi addetti ai lavori, fa venire in mente un solo pensiero: è una bella notizia per questo sport. Ma cosa rappresenta Loeb in questo 2019?
Senza nulla togliere agli Ostberg, Breen, Tidemand e soprattutto Paddon, personaggi come l’alsaziano – carismatici, vincenti, affamati – stanno bene ovunque e accrescerebbero il valore di qualsiasi cosa, anche del museo della filatelia o della fiera degli oli da barba: il ritorno del Campione nella competizione che lo ha consacrato, dunque, è una boccata di aria fresca. Certo, considerare aria fresca un classe 1974 sembra ossimorico, ma tant’è.
In questo senso, la reinterpretazione del titolo del capolavoro dei fratelli Cohen, vezzo stilistico abbastanza inflazionato, corrisponde a definire una riflessione trasversale e contestualizzata del momento rallystico internazionale legato al ritorno di sua Maestà Seb: i rally non sono uno sport per giovani. Non è un giudizio a priori, ma una constatazione: quanti anni ha il Campione Italiano rally? Quanti ne ha il vincitore del WRC-2 2018? E quello del WRC-3? Chi ha interpellato Citroen Racing quando è andata in crisi di risultati e di identità? E chi sta chiamando, ora, Hyundai Motorsport per aiutarsi a vincere un mondiale che non arriva malgrado il budget speso negli ultimi anni? Per dire. Anzi, a questo punto verrebbe da dire che i rally non sono uno sport per giovani e per chiunque non si chiami Sebastien e mangi la baguette (FFSA docet). Ma ovviamente c’è molto di più.
Situazioni fattuali e mezze provocazioni a parte, la verità è che per vincere nei rally di oggi (come sempre), in un periodo in cui le opportunità di crescita sportivo-professionali per chiunque diminuiscono, bisogna avere due palle così e per averle così una componente fondamentale, oltre al talento velocistico e ad un istinto di conservazione vicino allo zero, è l’esperienza. Saper prevedere, gestire, reagire, superare centinaia di imprevisti a 200 km/h in una stradina di montagna o in uno sterrato tra i boschi non è roba che si trova nel biscotto della fortuna. E come si fa? Si costruisce col tempo sì, con la velocità e gli errori, con i chilometri. E quindi con le possibilità di correre, e farlo in modo continuativo. Perchè un’altra componente fondamentale, sembra banale ma non lo è, è che per ogni singolo pilota è necessario ci sia dietro, attorno, davanti, sopra, sotto, una struttura che consenta di correrle, queste gare. E se si è piloti privati con grandi ambizioni, molto spesso questa struttura assomiglia più a una politica industriale che a un semplice hobby (motorsport is dangerous and expensive). Quando la politica non la fa il pubblico la fa il privato.
A questo proposito, mentre nel Mondiale si sta affacciando la “generazione Kalle Rovanpera”, è impossibile non volgere lo sguardo al nostro rallysmo nazionale. Il mix di talento, budget, esperienza, programmi sportivi di crescita necessari per essere competitivi nel WRC è un tema complesso, di infinita discussione. Sembra lo sia nei social network più che nelle stanze dell’Automobile Club Italia.
E’ evidente che non ci sia paragone tra i programmi di Rovanpera e del nostro Fabio Andolfi: Aci Team Italia, unico progetto pubblico esistente, non ha niente a che fare con l’organizzazione finlandese o il vivaio francese perchè in sostanza il regolamento interno cambia ogni anno. Come si fa a pianificare un progetto di almeno 3 anni con questo metodo? In più non si capiscono le dichiarazioni estemporanee degli alti dirigenti della Federazione, che prima dicono che il vivaio è già competitivo (e quindi è necessario continuare ad investire) e poi sostengono che il campione debba essere trovato tra i 16enni. Sintomi di totale confusione. Andolfi è riuscito a tenersi a galla in questi 4 anni di Team Italia, ma senza un salto di qualità in primis della sua struttura non farà il salto di qualità di prestazioni. E gli altri giovani piloti passati sotto l’ala della Federazione? Damiano De Tommaso, per fare un esempio, è dovuto tornare in patria e vincere il CIR Junior 2018, ma come tanti suoi illustri colleghi non ha ancora un programma per il 2019. Giuseppe Testa l’anno scorso è tornato nel CIR assoluto dove domina Paolo Andreucci. Il toscano è stato il mattatore dell’ultimo decennio a parte le parentesi Scandola e Basso, ha una forza strutturale di esperienza, velocità, budget a disposizione inarrivabile. Ed è di questi giorni la conferma di Luca Rossetti come primo avversario del toscano, con la Citroen ufficiale. La compagine verde dovrebbe essere rappresentata da Crugnola e Campedelli. In sintesi, i giovanissimi tentano l’avventura all’estero mentre i giovani si giocano le loro poche fiches contro i vecchi leoni nelle strade nostrane.
Il contesto del ricambio generazionale è complesso, dunque: nulla di nuovo dal fronte occidentale. Ma nel frattempo Loeb non solo si può permettere il lusso di smettere e riprendere di correre senza però smettere di vincere (vedere Catalunya 2018), ma si è potuto permettere di puntare al double Dakar – Rally di Montecarlo nello stesso mese, qualcosa che solamente pochi nella Storia del Motorsport sono riusciti a tentare. I Rally sembrano davvero non essere più degli sport per giovani.