Dopo tre anni di digiuno, oggi ho guardato il Gran premio d’Australia. Non l’ho visto con molta attenzione. Pensavo ad altro.

Pensavo al sugo di mia nonna Maria, durante quegli inopportuni pranzi domenicali che mi rendevano quasi impossibile seguire la corsa. Mio nonno Consiglio guardava la gara per allontanarsi un po’ dalla conversazione del tavolo, e dopo mangiato ci spiaggiavamo tutti sui divani verdi di un salotto che non c’è più. Il caffè nero, della Moka, arrivava a tre quarti di corsa, dentro tazzine pittoresche. Altre volte il Gran premio cominciava all’alba, con il volume della tivvù a 5 o a 10, con il rombo dei motori che sbuffava da lontano nel grande silenzio delle domeniche di marzo o di ottobre. Chiudevo la porta del corridoio e del salone per non svegliare nessuno. A un certo punto si affacciava mio padre, che si faceva strada verso la cucina, e mi chiedeva come stesse andando, come sempre divertito dalle sciocchezze che mi interessavano.
Alle medie e al ginnasio trascorrevo tante ore su alcuni siti italiani che raccoglievano notizie di motori, seduto sulla spelacchiata sedia di vimini dello studio di mio padre, affogato nelle carte che stavano dappertutto, respirando l’aria umida dello stendino dei panni. I social media non avevano avvinto tutto: c’erano ancora i forum online, dove si commentavano i GP dietro nickname simpatici e avatar colorati. Era così che scoprivi la differenza tra i vari tipi di pneumatici e di motori, i nuovi aggiornamenti delle vetture, i retroscena dei GP. Ricordo quanto mi piaceva leggere i corsivi di Leo Turrini, pubblicati sul suo blog quasi a getto continuo, che sembravano così originali rispetto agli articoli di Marco Mensurati su Repubblica o ai commenti borbottati da Pino Allievi sulla RAI. All’epoca conoscevo i nomi dei vari giornalisti e li confrontavo tra loro. “Ci fosse una pagella di Terruzzi con cui sono d’accordo!” mi capitava di pensare, soprattutto quando si accaniva con Kimi Raikkonen, pilota algido e schietto, il mio preferito.
Ogni martedì, uscito da scuola, mi fermavo all’edicola per comprare Autosprint. Su Autosprint stampavano gli squisiti editoriali di Alberto Antonini, giornalista intelligente e brava persona, morto troppo presto. Subito dopo ci fermavamo con gli amici al self-bar: compravamo una Coca Cola in lattina. Costava solo un euro e ce la bevevamo scendendo alla chiesa di S. Anna. Alla stessa edicola, qualche giorno dopo, ogni settimana compravo i fumetti di Michel Vaillant, l’unica serie comics dedicata al mondo delle corse. Una volta me ne strapparono una copia e la gettarono in una fontana di viale Dante. L’edicolante, comprensivo, me ne ordinò una seconda copia per la settimana successiva.
Mia nonna Angela guardava con sconcerto le corse che guardavo io: quando eravamo a Baia Domizia, se c’era il Gran premio, si ritirava in camera sua a riposare con maggiore, soddisfatta convinzione. Oltre alla Formula Uno, impazzivo a seguire le altre categorie: le corse notturne e pazze della IndyCar sui circuiti americani, dove si sorpassavano di continuo; le gare di Formula 2 e Formula 3, che seguivo la domenica mattina in pigiama, sul divano di casa.
Quando dovevo scrivere qualche articolo sconclusionato per Fuori Traiettoria, passavo la corsa a prendere appunti su distacchi e sorpassi, che poi ricomponevo a fatica nella mia nuova cameretta dalle pareti verde acqua. Dopo ogni GP adattavo a commento una dichiarazione politica di attualità, con esiti paradossali. E ricordo i commenti di qualche compagno di partito che l’aveva letta. Oggi che questo mondo non esiste più, guardare un GP non è la stessa cosa.