Battere Ferrari? Una sfida impossibile per chiunque, in quegli anni. Già, ma Henry Ford II non ne vuole sapere, ed in pieno stile yankee mette in piedi in pochi anni il più grande investimento che la storia del Motorsport ricordi. La forza e l’ostinazione messi in campo, insieme alla ricerca delle migliori tecnologie, cambieranno per sempre l’automobilismo. Dove può andare in scena il più grande spettacolo per chi, come gli americani, ha il cinema nel sangue? E’ ovvio, nella gara più importante al mondo.
Sconfiggere Ferrari da zero a Le Mans non è assolutamente impresa facile, anzi. Ford però ha una cosa di cui Ferrari non dispone: ingenti capitali per creare e sviluppare una vettura di prim’ordine. I primi soldi infatti vengono investiti su un progetto di una vettura inglese, che l’anno precedente aveva destato particolare interesse nel mondo dei motori, con cui Ford già aveva avuto modo di collaborare: il progetto è quello della Lola GT, partorita dall’estro dell’ingegnere Eric Broadly, rinominato GT40 per via dell’altezza di circa 40 pollici. L’auto infatti ha una particolarità davvero unica per quegli anni: oltre a riprendere per alcune specifiche della Lotus 25, infatti, è praticamente alta un metro, ed era proprio con caratteristiche congenite molto particolari che si poteva sperare di battere la Ferrari. Il motore scelto per far muovere questo primo progetto? Un 4.7 litri V8 ad aste e bilancieri. Il primo approccio a Le Mans? Un disastro. Tutte e 3 le vetture soffrirono tra problemi di affidabilità e di aerodinamica – la GT40 riusciva sì a raggiungere una velocità di oltre 300 km/h, ma al di sopra dei 200 all’ora diventava terribilmente instabile -, che costrinsero l’armata dell’Ovale Blu a sventolare bandiera bianca ben prima del tempo. E chi vinse in quella Le Mans, quella del 1964? Ferrari ovviamente, che si prese i primi tre posti della classifica generale con le sue 275 P e 330 P.
In questo 1964 c’è però un vincitore che ha la bandiera a stella e strisce nel cuore. Un cuore che vive grazie ad iniezioni di nitroglicerina. Il suo nome? Carroll Shelby. Pilota prima e costruttore poi, con la sua Shelby Cobra sta attirando tutta l’attenzione su di sé e le sue creazioni. Henry Ford II, con cui Shelby già vantava dei rapporti di collaborazione anche nel progetto GT40, dopo la cocente sconfitta gli affida le chiavi del progetto. Sarà la chiave del miglioramento e delle successive vittorie della scuderia dell’Ovale Blu. Come per i più classici esempi di amicizia – o semplicemente nella ripartizione tra braccio e mente – anche Carroll lega i suoi successi ad un personaggio unico: Ken Miles. Ex comandante di carri armati durante la seconda guerra mondiale, finito il conflitto bellico torna a dedicarsi alle corse – stavolta a 4 ruote e non a 2 – dapprima in Europa e poi in America: un uomo dal carattere naif a voler essere teneri, ma dal cuore unico. Nonostante i risultati sportivi egregi, Miles si fa notare per la capacità di messa a punto delle vetture. Una capacità unica che balza agli occhi di Carroll Shelby e del suo progetto Cobra. Ecco, ricordate la storia di poc’anzi sul braccio e la mente? Già, il Texano vuole il suo braccio, il suo naturale prolungamento accanto a sé, ed ingaggia Ken Miles – artefice dei successi con la Cobra – per lo sviluppo della vettura: è lui l’unico che può tramutare le sensazioni che la vettura dà in qualcosa di concreto.
La Mk2 è pronta a fare il debutto nel mondiale Endurance del 1965. Il binomio Shelby – Miles inizia a dare i primi frutti. L’auto è notevolmente migliorata dal punto di vista dei freni, da quello della stabilità e persino da quello dell’affidabilità, con il motore che è diventato un 7 litri con 435 CV di potenza. Sebring è a stelle e strisce: finalmente al secondo tentativo la Ford è diventata competitiva. A Le Mans, tuttavia, non c’è storia neppure stavolta: Ferrari continua a dominare, e lo fa anche compiendo una “Mandrakata” i cui contorni storici sfumano quasi in quelli della leggenda. Ferrari vince ancora, e lo fa a Le Mans, la corsa più importante del mondo, per la sesta volta consecutiva: mai nessuno era riuscito in un’impresa simile.
Arriviamo così al 1966. Al fatidico, indimenticato, indimenticabile, 1966. Per Ferrari questi anni di successi sono stati anni complicati dal punto di vista finanziario: solo l’estro ed il genio di Enzo e dei suoi uomini migliori – Forghieri su tutti -, hanno tenuto in piedi l’azienda ed inanellato successi. Tutte le forze sono state concentrate nella classe regina (la F1) a discapito talvolta delle altre classi. Ferrari però confida nel genio e nell’estro dei suoi tecnici, e nonostante le esigue capacità economiche raccoglie nuovamente la sfida del colosso americano. La 330 P3 che prende parte alla 24 Ore di Le Mans del 1966 è una vettura innovativa dal punto di vista aerodinamico, che sfrutta l’ormai collaudato motore 4.4 litri viene dotato per l’occasione di iniezione in modo tale da permettergli di erogare 420 CV. Mentre Ford a Daytona e Sebring dà un assaggio della forza e delle potenzialità della Mk3 con la vittoria di Miles – Ruby in entrambe le tappe, in Italia Ferrari – complici gli scioperi che porteranno poi alla riforma del diritto del lavoro del 1966 -, riesce a preparare solamente due vetture, più una terza della scuderia NART affidata all’onnipresente team di Luigi Chinetti. Ford, al contrario, porta 8 vetture (in realtà ne furono addirittura 15, ma solo 8 vennero iscritte e tra queste 8 ve n’erano 6 direttamente preparate da Shelby). Lo sforzo profuso dalla Casa di Dearborn è spaventoso: per quantità di soldi spesi, rispetto a tutti i suoi avversari la Ford sembra la NASA. E’ il primo marchio che introduce una simulazione computerizzata per migliorare la propria vettura, fino a trovare la quadra della gara in termini di affidabilità a Le Mans. Inoltre, la Mk 3 è dotata non più del cambio ZF ma di un cambio automatico per gestire al meglio l’enorme potenza. Ford, oltretutto, per contrastare Ferrari non ha solo la vettura più performante del mondiale endurance 1966, ma anche un team di piloti di rilievo: Miles – Hume sulla vettura #1, Mclaren – Amon sulla #2 e Gurney – Grant sulla #3 sono i piloti a cui l’Ovale Blu ha affidato il compito di domare il Cavallino Rampante. Impresa non semplice però, dato che anche i piloti di Maranello sono eccezionali al pari di quelli messi in campo da Ford: Bandini – Guichet, Rodiguez – Ginther e, soprattutto, Surtees – Scarfiotti, con l’inglese che è la punta di diamante di una squadra piccola ma competitiva. Il pilota iridato sia nel motomondiale che nella F1, tuttavia, non prenderà mai parte alla 24 Ore di Le Mans del 1966: complice un ordine del Drake che voleva Scarfiotti come partente al via, infatti, Surtees dopo le prove decide di andarsene e di lasciare il proprio posto a Parkes.
E’ arrivato il giorno fatidico, la resa dei conti. In Europa tutti, tra gli addetti ai lavori, per due anni hanno bollato Ford con un’unica, caustica frase: “I soldi non possono comprare l’esperienza”. Dopo due anni ed investimenti che ancora ad oggi si fatica a quantificare – alcuni parlano di circa 2 miliardi di dollari attuali – Ford è però ormai pronta, complici anche le condizioni favorevoli. Ci sono due filosofie differenti, per approcciare una gara di durata: c’è chi punta sulle pure prestazioni e chi, invece, si gioca il tutto per tutto con strategia e gestione del ritmo. Ford è la più veloce, ma il motore ha bisogno di una quantità mostruosa di carburante – fa poco più di 2 km con 1 litro. Ferrari invece, a fronte di prestazioni inferiori, consuma meno grazie ad un motore di ridotte dimensioni ed inoltre vanta una maggiore velocità nel misto, puntando dunque a recuperare con un minor numero di soste il tempo perso in pista rispetto alla diretta rivale americana. Il via, alla 24 Ore di Le Mans del 1966, lo dà proprio Henry Ford II in persona, con le sue vetture che vanno subito in testa. Miles è una belva: nel corso della prima parte di gara inanella giri veloci in sequenza, mantenendo saldamente il comando della gara. Nella parte finale della giornata, tuttavia, a complicare le cose per Ford arriva la pioggia: le Ferrari balzano in testa, tallonate dalle Ford, con tutte le altre vetture che sono invece doppiate. Con la stessa rapidità con cui è arrivata, la pioggia smette al calar della notte, e le Ford tornano a riprendersi la vetta della classifica. L’oscurità porta guai per la casa di Maranello, che nella notte perde le vetture di Scarfiotti e Rodriguez. A portare avanti il tricolore oramai c’è solo Bandini, ma il fato stavolta non è dalla parte del Drake: a poche ore dallo sventolare della bandiera a scacchi, infatti, una rottura del motore costringe anche la terza Ferrari a ritirarsi dalla corsa. E’ un trionfo della casa dall’Ovale Blu – che, ad onor di cronaca, taglia il traguardo solamente con tre delle otto vetture partenti -, e per Ford ora c’è solo l’imbarazzo della scelta su quale auto far transitare per prima sulla linea del traguardo.
I vertici Ford vogliono un arrivo trionfale in parata, ed ordinano a Miles di rallentare: il pilota britannico obbedisce all’ordine di scuderia. Le vetture arrivano appaiate sul traguardo, lo tagliano. E’ successo: Ford è riuscita ad imporsi sulla corsa più importante al mondo. Miles festeggia, ma non è lui il vincitore. Già, in un epilogo incredibile il destino – rectius, la poca (o forse troppa…) conoscenza del regolamento – priva della vittoria il malcapitato Ken. Sì, perché il regolamento prevede infatti che sia l’auto ad aver percorso più metri a dover essere dichiarata vincitrice. Miles, partendo in testa, ha percorso una distanza minore rispetto alla vettura di Amon – McLaren. Quanto minore? Circa 8 metri. 8 metri che hanno separato Miles dal trionfo di una vita, 8 metri che lo hanno privato dei suoi sogni di gloria, quegli stessi sogni di gloria che probabilmente il pilota texano stava ancora inseguendo quando, durante un test della nuova versione della GT40, un incidente gli tolse brutalmente la vita. Un epilogo amaro, ma un epilogo che non può far altro che alimentare il fuoco della leggenda che si staglia dietro di lui e dietro quel Carrol Shelby, alle spalle dei due uomini che riuscirono a battere Ferrari. Perché si, i capitali furono ingenti, ma senza queste due figure probabilmente non ci sarebbe mai stata storia nemmeno per un gigante come Ford in una storia che, vissuta come una guerra tra sogni, visioni ed uomini, ha consegnato all’eternità una delle più belle e grandi rivalità nella storia del Motorsport.