#3589 GT. Vi starete domandando cosa possa significare questa sigla. Semplicemente, un numero di telaio di una delle auto più incredibili che abbia mai messo le gomme su strada: la Ferrari 250 GTO. Questo numero per me ha un significato particolare, perché corrisponde a quella che ho avuto la fortuna di vedere dal vivo al museo Ferrari qualche anno or sono. Vederla dal vivo, averla ad un palmo dalla propria mano – con la consapevolezza di non poterla toccare – è stato come far parte di un ossimoro. Una delle 5 auto che ho sempre sognato di possedere, un sogno nel cassetto che prende vita a metà. Quando si è amanti dei motori, e nello specifico delle auto, ogni qualvolta entriamo a contatto con loro si stabilisce qualcosa, un legame, che ci trasporta in un mondo incredibile. Si dice che sia questione di chimica in amore o, per i meno romantici, molto più semplicemente si parla di passione. Però perchè la 250 GTO è così speciale?
A cavallo tra il 1960 ed il 1961 Enzo Ferrari commissionò al leggendario Giotto Bizzarrini, in qualità di ingegnere capo, la costruzione di una nuova GT, viste le modifiche al regolamento del Mondiale Marche – a decorrere dall’anno 1962 – e l’ascesa della Jaguar E-Type. Il progetto, nonostante sulla carta potesse risultare colmo di incognite, prese subito delle linee guida ben precise. Bizzarrini, basandosi sullo chassis n. 1791 GT appartenente ad una 250 GT “passo corto”, realizzò il primo prototipo. Esiste un’interessante storia a tal proposito: Bizzarrini infatti, in svariate interviste postume, affermò che il telaio di partenza fu quello di una 250 Boano, anche se dagli archivi questa versione dei fatti non risulta. Il prototipo godeva rispetto all’originale di una posizione arretrata del motore, per via del differente posizionamento dei supporti a cui seguì poi la modifica degli attacchi delle sospensioni ed un rinforzo della struttura centrale attraverso delle traverse metalliche. La carrozzeria venne affidata ai team di Bizzarrini e Scaglietti, che modellarono il telaio tubolare pendendo più a favore delle soluzioni tecniche aerodinamiche che di quelle estetiche. Ciononostante, il risultato fu straordinario. Il motore rimase quello sostanzialmente invariato che equipaggiava la 250 Testa Rossa. Questa versione -terminata in tempi inumani e conosciuta come 539/62 Comp., poi 539/64 Comp. – venne testata al Gp di Monza del 1961 e con l’aiuto di Stirling Moss riuscì a staccare il tempo incredibile di 1:45:4, che portò il Drake a commentare che “Non si era mai vista una GT davanti alle monoposto”. E pensate che quel crono venne ottenuto nonostante alcuni problemi di lubrificazione avuti durante la percorrenza delle sopraelevate, un inconveniente che venne prontamente risolto con una modifica del propulsore, sul quale si decise di utilizzare un carter secco.
Il 1961 a Maranello si rivelò una stagione di epurazioni, e durante la cosiddetta “Rivoluzione di palazzo” vennero cacciate illustri personalità tra cui Bizzarrini – il padre spirituale della 250 GTO – ed anche altri esponenti di spicco come Carlo Chiti – che farà poi le fortune dell’Alfa Romeo. Il progetto della 250 GTO venne così affidato alle mani di Scaglietti e di un giovanissimo ingegnere che rispondeva al nome di Mauro Forghieri. Il 24 febbraio del 1962, nella tradizionale conferenza pre-stagionale, venne presentata la versione definitiva con telaio n. 3223, ancora priva dello spoiler posteriore che verrà aggiunto successivamente.
La sigla GTO sta per Gran Turismo Omologata – nel senso di omologata per l’uso stradale -, e fece la sua prima apparizione nella scena del mondo delle corse alla 12 Ore di Sebring, dove vinse tra le mani di Hill e Gendebien. La versione in questione montava un motore progettato da Colombo per la 250 TR: V 12 da tre litri con singolo albero a camme in testa per bancata di cilindri, lubrificazione a carter secco, con alesaggio e corsa di 73 mm x 58,8 mm ed una batteria di sei carburatori doppio corpo Weber 38 DCN. Il tutto per poter erogare una potenza di circa 300 CV – con una potenza specifica di 100 CV/litro – e per raggiungere la velocità massima di 280 km/h. Al propulsore venne poi abbinato un cambio a 5 rapporti sincronizzato progettato da Ferrari ed un differenziale autobloccante su licenza della ZF. L’auto montava 4 freni a disco, mentre le sospensioni adottavano lo stesso schema della genitrice 250 SWB ma con notevoli migliorie, specialmente nell’assale posteriore dove venne inserito il parallelogramma di Watt che risolse, assieme all’inserimento dello spoiler, i problemi di aderenza al posteriore. La carrozzeria a coda tronca, rispetto alla SWB, era stata allungata all’anteriore per aumentare la stabilità alle alte velocità e, inoltre, nel muso vennero inserite delle feritoie azionabili a forma di “D” che servivano per gestire il raffreddamento del motore. Come ogni auto progettata per correre, aveva degli interni scarni, essenziali, con due sedili, un cambio, tre pedali ed un volante, volgarmente parlando. Ma la sua essenzialità era ed è tuttora straordinaria.
Con le modifiche occorse al regolamento nel 1962, la FIA prevedeva la costruzione di almeno 100 esemplari per poter partecipare ai campionati. La Ferrari però ne produsse solamente 39 – 36 con motore di 3 litri e 3 con motore di 4.000 cc, erroneamente chiamate anche 330 GTO. Ora vi starete chiedendo: “Ma allora come fece la Ferrari a farle correre nonostante mancavano 61 esemplari alla quota minima?”. Beh, “fatta la legge trovato l’inganno” si dice, ed infatti la Ferrari adottando un sofisticato escamotage riuscì ad eludere tale regola. A Maranello adottarono una numerazione non consequenziale dei telai ed in tal modo elusero la regola. Nel 1964, per contrastare la creazione di un altro mito delle corse, la Cobra di Carroll Shelby, venne modificata la carrozzeria della 250 GTO. 3 esemplari vennero costruiti con le specifiche nuove, mentre 4 vetture della precedente serie vennero ricarrozzate. La 250 GTO, nel periodo tra il ’62 ed il ’64, vinse in lungo e in largo le maggiori competizioni dell’epoca, tra cui la 24 Ore di Le Mans, la 1000 Km del Nurburgring, la 500 Km di Spa-Francochamps, il Tour de France, la 12 Ore di Sebring, la Targa Florio e tante altre. Nel panorama delle Ferrari rimane la più iconica e le recenti aste, dove sono stati infranti tutti i record , lo hanno dimostrato con offerte che rendevano giustizia a questo straordinario capolavoro. Per darvi un idea, la 250 GTO s/n 3851 GT venne venduta per 38.115.000 $ nell’agosto del 2014, mentre in una vendita privata qualche tempo fa ne è stata venduta una per circa 52 milioni di Dollari. Tra i fortunati proprietari di alcuni esemplari di GTO abbiamo Ralph Lauren con la sua telaio n. 3987 e Nick Mason – batterista dei Pink Floyd – con la sua telaio n. 3757. Avrei voluto scrivere una conclusione degna di questo capolavoro ma, visto che tra i fortunati proprietari abbiamo anche il compianto Fabrizio Violati – uno dei più grandi collezionisti Ferrari al mondo e creatore di Maranello Rosso – che più di 10 anni fa scriveva di proprio pugno su La Repubblica cosa significasse la 250 GTO, ho preferito lasciare la parola a lui e alle sue emozioni:
“Oggi guidare è semplicemente un dovere. Impegni, tempi stretti, ostacoli spesso insormontabili quali i punti della patente, un traffico crescente e ammorbante così come (è giusto dirlo) il costo del carburante, sono imperativi quotidiani ed impongono di scegliere sempre il male minore.
La scelta dell’auto risulta quindi subordinata ad una serie di esigenze che guidano gli stessi costruttori nella progettazione e realizzazione dei loro prodotti: per noi fruitori l’aspettativa è quella di una vettura che possa essere sempre pronta, efficiente, d’immagine e ‘strabordante’ di ogni tipo di optional che la renda, in una parola ‘rassicurante’ per le nostre esigenze.
Tutto questo per dire che guidare, guidare veramente, è forse qualcos’altro. Si tratta di interpretare il mezzo meccanico, renderlo una naturale estensione della propria persona ed esternare tutto questo attraverso il proprio carattere di guida, quasi come un pittore sulla tela. E se parliamo di un Ferrari a 12 cilindri, posteriore o anteriore che sia, berlinetta o prototipo, allora forse la tela è una tela… Impressionista.
La Ferrari 250 GTO del 1962 è semplice, quanto mai datata, certamente sulla carta (dimentichiamo il nome Ferrari, il palmares sportivo, ed il valore economico) meno appetibile di un moderno prodotto seriale della futuribile industria automobilistica moderna ma…
E’ semplicemente un perfetto equilibrio di masse volumi e superfici, è talento fatto vettura nella più perfetta intesa tra peso e potenza ed è magicamente performante e nello stesso tempo estremamente piacevole.
Il sedile abbraccia strettamente i fianchi ed il volante Nardi sembra impossibile nella sua straordinaria bellezza su un cruscotto essenziale e spartano. Sulla destra tra i due sedili spunta la torretta del cambio, giri la chiave, alzi la leva della pompa del carburante e senti provenire da dietro un rumoroso martellio. Al momento opportuno piede sull’acceleratore e giro di chiave.
Dopo un paio di vibrazioni i carburatori sputano fuoco e lo scarico esplode in un turbolento scoppio, diventa un rabbioso ruggito fino a raggiungere a 10.000 giri quella melodia che solo il 12 cilindri Ferrari procura con inebriante armonia.
I 900 kg di peso totale spinti dal 3000 cc e dai 320 cavalli rampanti del Signor Ferrari, qui in ottima collaborazione e sintonia con l’ingegnere Giotto Bizzarini padre della GTO, restituiscono non certo quella sensazione di velocità affrontata “su due binari” ma esattamente la più sfacciata delle sensazioni, quella di una sorta di facile maneggio progressivo all’interno del quale appare quasi semplice destreggiarsi.
La vettura è del 62′, si tratta di un motore, un sedile ed una sinuosa carrozzeria che accarezza l’aria, niente di più! Ma interpreta esattamente quello che la mente di un pilota immagina nel momento in cui ricrea mentalmente le traiettorie ideali. Ecco queste traiettorie diventano possibili, la GTO le rende reali.
Ricordo ancora in una delle ultime uscite con la GTO di essermi trovato sui tornanti delle colline tra la Toscana e la Romagna ed ero a capo di una fila di Ferrari di ultima generazione: io, a motore spento, con lievi tocchi di freno accarezzavo l’asfalto. Ma, inconsciamente, continuavo a staccare le vetture che mi seguivano“.