Con questo articolo andremo alla riscoperta di tutte le occasioni in cui il pilota classificatosi in pole position al sabato non è potuto partire, per un motivo o per un altro, nella gara della domenica.
All’indomani del GP di Monaco 2021 sono due i principali punti di riflessione che la corsa monegasca c’ha lasciato: la vittoria di Max Verstappen, che lo ha proiettato al comando della classifica iridata per la prima volta in carriera, e il forfait di Charles Leclerc, costretto al ritiro a pochi minuti dalla partenza per un problema probabilmente legato ad un incidente avuto al sabato nella sessione di qualifiche. Il pilota della Ferrari era stato il primo driver di casa ad ottenere una pole position sul toboga monegasco da quando la gara è valida per il Mondiale di F1 (prima di lui solo Louis Chiron nel 1931, che vinse anche la gara), ma si è visto privato della gioia di provare a cogliere una vittoria che sarebbe potuta essere molto probabile, vista la tipica difficoltà nei sorpassi del tracciato cittadino di Monte Carlo. Però, se è vero il detto “Mal comune, mezzo gaudio”, Leclerc può in parte consolarsi: infatti, il pilota del Principato è in buona compagnia in questa sfortuna, perché è il quinto della storia a non poter iniziare la gara dopo aver conquistato la partenza al palo. Volete sapere chi sono gli altri quattro? Beh, non vi resta che continuare a leggere.
NB: Questa classifica riguarda solo i piloti che hanno conquistato la pole position ma non sono potuti partire per problemi di vario genere. Non include assolutamente piloti che, pur avendo realizzato il miglior tempo al sabato, siano stati penalizzati in griglia (es. Schumacher a Monaco nel 2012) o addirittura squalificati dalla qualifica (es. Hamilton a Barcellona, sempre nel 2012). Questo perché, in tali casi, la pole non vale a livello statistico.
1. Jean Pierre Jarier, GP del Brasile 1975.
Il primo di questa lista di piloti sfortunati è Jean Pierre Jarier, pilota poco noto ai più, ma con una discreta carriera in F1. Jarier esordisce in F1 nel 1971 a Monza con una March privata, senza però riuscire a qualificarsi. Tornerà nella classe regina nel 1973, correndo tutta la stagione con la March ufficiale, per poi passare nel 1974 alla Shadow, scuderia americana in forte crescita, con cui conquista un ottimo terzo posto a Monaco. La stagione successiva resta nel team statunitense, e alla prima gara stagionale in Argentina può guidare la nuova vettura, la DN5: fatto non scontato, poiché nelle prime gare extraeuropee molti team correvano con vetture dell’anno precedente, magari aggiornate, e così accadde anche quell’anno, ad esempio con la Ferrari, che schierò le vecchie B3/4, o la stessa Shadow, che portò una sola DN5, mentre il compagno di squadra, Tom Pryce, dovette accontentarsi di una versione aggiornata della vecchia DN3. Sfruttando la vettura nuova, il pilota transalpino in qualifica fu un fulmine, riuscendo a conquistare un’incredibile e inaspettata pole position sul circuito di Buenos Aires, la prima sia per lui che per il team, rifilando quattro decimi alla Brabham di Carlos Pace e sei al padrone di casa Carlos Reutemann. Sembrava un sogno, ma sfortunatamente si interruppe proprio sul più bello: anzi, ancora prima di cominciare, perché durante il giro di ricognizione, pochi metri dopo la partenza, Jarier si ritrovò con il cambio in panne, dovendo accostare per ritirarsi e lasciando campo libero alle due Brabham che lo seguivano. La gara fu vinta, per la cronaca, da Emerson Fittipaldi. Il pilota francese nella sua carriera conquisterà altre due pole position, una nella gara immediatamente successiva, in Brasile, e una nel GP del Canada 1978, quando fu chiamato dalla Lotus in sostituzione dello scomparso Peterson: tuttavia, in entrambe le occasioni si fece sfuggire la vittoria per un guasto meccanico, liberando la strada ai padroni di casa Carlos Pace e Gilles Villeneuve, per i loro primi successi in carriera, e Jarier non fu mai in grado di ottenere un successo in F1.
2. Didier Pironi, GP di Germania 1982.
Quella di Pironi è decisamente una storia più tragica delle altre che raccontiamo in quest’articolo. Nel 1982 i motori turbo, dopo alcune stagioni a rincorrere gli aspirati, raggiunsero definitivamente il grado di competitività necessario per poter puntare al titolo. Dopo i primi due GP in cui a vincere fu la Renault con Alain Prost, ci si rese però conto che la macchina migliore era la Ferrari 126 C2, che poteva contare anche sull’ottima coppia composta da Gilles Villeneuve e Didier Pironi. Coppia che, però, si sfaldò al quarto appuntamento iridato a Imola, quando ordini di scuderia non chiari portarono alla rottura dei rapporti tra il francese (primo al traguardo) e il canadese (giunto secondo). Sembrava l’inizio di una bellissima rivalità iridata, ma il terribile incidente nelle qualifiche di Zolder di due settimane dopo che si portò via Villeneuve pose fine, ahimè, a qualunque ostilità. Ma non alle speranze iridate del Cavallino, che erano riposte nel solo Pironi: e il francese non si fece pregare, conquistando nelle successive sei gare una vittoria a Zandvoort, due secondi posti a Monaco e Brands Hatch e due terzi a Detroit e Le Castellet, e portandosi alla vigilia del GP di Germania, dodicesima di sedici gare della stagione, con un largo margine sul secondo in classifica, Watson. Sui lunghi rettilinei dell’Hockenheimring il turbo della Ferrari si trovò a suo agio, e nelle qualifiche del venerdì il pilota francese ottenne la pole position, precedendo le Renault di Prost e Arnoux. Il sabato piovve, lasciando di fatto immutata la classifica, ma nelle prove libere della mattina accadde il fattaccio: il pilota francese ebbe un incomprensione con Derek Daly prima del Motodrome, che scartò a sinistra. Pironi lo superò, pensando volesse dargli strada, ma in realtà l’irlandese stava cercando di evitare Prost, che procedeva lentamente nascosto da una nuvola d’acqua. L’impatto fu inevitabile, e la Ferrari colpì in pieno il retrotreno della Renault, spezzandosi sull’anteriore e distruggendo le gambe del povero Didier. Il pilota francese venne trasportato ancora lucido, ma in fin di vita (dopo aver visto le sue gambe maciullate Piquet, giunto sul posto, vomitò), all’ospedale di Heidelberg, in cui i medici riuscirono a salvargli la vita ed evitargli l’amputazione delle gambe. Purtroppo però, Pironi non fu poté mai più tornare a correre, salvo alcuni test all’AGS e alla Ligier, decidendo così di dedicarsi all’offshore, disciplina con cui trovò la morte nel 1987. Tornando ad Hockenheim, nessun pilota riuscì a migliorarsi, e la Ferrari non dichiarò ufficialmente la non partecipazione, lasciando così la prima casella vuota. A vincere fu, per la cronaca, l’altra vettura del Cavallino di Patrick Tambay, nel giorno della famosa rissa tra Nelson Piquet ed Eliseo Salazar.
3. Michael Schumacher, GP di Francia 1996
Questo è decisamente l’episodio più famoso di poleman che non ha potuto iniziare la gara. Nel 1996 il pilota tedesco, giunto da campione in carica dalla Benetton, era alla sua prima stagione in Rosso, al volante della F310. La vettura, se da un lato era più o meno discreta sul fronte delle prestazioni, era decisamente carente sul lato affidabilità, e giunti al GP di Francia a Magny Cours, nona prova del mondiale, aveva sì conquistato due pole e una vittoria, ma anche tre ritiri per problemi meccanici. Sul tracciato francese, comunque, Schumacher fu fenomenale al sabato, conquistando una fantastica pole position ai danni di Damon Hill, beffato per soli 69 millesimi di secondo. In un circuito in cui il sorpasso è difficile sembrava fatta, ma nel warmup la Ferrari numero 1 iniziò ad emettere qualche sbuffo di fumo. Se il team di Maranello se ne fosse accorto, nonostante la segnalazione di qualche fotografo, avrebbe avuto tutto il tempo, se non di sostituire il motore, quanto meno di approntare il muletto. Tuttavia, i meccanici non riscontrarono nessun problema, e il tedesco si schierò in griglia con la prima macchina. Il danno era fatto. A metà del giro di ricognizione la Rossa iniziò a spruzzare fumo bianco per tutta la pista, costringendo Schumacher ad accostare mestamente, in quello che probabilmente è il ritiro più imbarazzante della sua lunga carriera. Con il tedesco fuori dai giochi, la gara divenne un monologo Williams, con Hill che precedette Jacques Villeneuve al traguardo. Forse, almeno questo si sarebbe potuto evitare.
4. Jarno Trulli, GP degli USA 2005.
Chiunque, pensando a quella gara, ha ben chiara davanti agli occhi l’immagine della griglia semivuota, con solo le Ferrari, le Jordan e le Minardi in ordine sparso. Tuttavia, pochi ricordano chi sarebbe dovuto partire davanti a tutti. Comunque, procediamo con ordine, nonostante la difficoltà di cercare di riassumere quel weekend in poche righe. Al termine della stagione 2004, per cercare di rallentare l’armata Ferrari-Schumacher, la FIA decise di introdurre alcuni cambi regolamentari, tra cui il divieto di poter cambiare gomme durante la corsa se non per problemi; l’intento era quello di togliere dall’arco del team di Maranello una delle sue frecce migliori, la capacità delle gomme Bridgestone di essere spremute fino in fondo, adattandosi pienamente allo stile di guida di Schumacher e alle strategie di Ross Brawn. Con delle Michelin molto migliori nella resistenza, la stagione visse del dualismo tra la Renault di Alonso e la Mclaren di Raikkonen, con i campioni in carica capaci solo di essere comprimari. Si giunse così al GP degli Stati Uniti, ad Indianapolis, per la nona prova del mondiale. Qui, durante le prove, diversi piloti iniziano ad avere strani incidenti, il più grave che coinvolge la Toyota di Ralf Schumacher. Nella serata tra venerdì e sabato, arriva la drammatica scoperta: le gomme Michelin si deformano per le sollecitazioni causate dall’ultima curva, la sopraelevata, causando gravi problemi per la sicurezza. Inizia così una due giorni che culminerà nella gara più strana della storia della F1. Dapprima, la Michelin propose di portare la tipologia di gomme usata al Nurburgring, ma, anche se fossero state efficaci, la cosa fu bloccata dalla Ferrari, che aveva ancora il dente avvelenato per il cambio regolamentare sfavorevole. Si propose quindi di piazzare una chicane provvisoria, rendendo la gara non valida per il campionato, ma anche qui il team di Maranello si oppose. La terza proposta fu quella di permettere ai gommati francesi di effettuare dei cambi gomme, con annesse penalità, ma la Michelin garantiva la durata per soli dieci giri, che avrebbero significato sette/otto cambi gomme a fronte di 73 giri, e non c’erano abbastanza set a disposizione. In un clima surreale, si disputarono le qualifiche, allora con il giro secco, e a prevalere fu Jarno Trulli, che conquistò la prima pole della storia della Toyota, davanti a Raikkonen e Button. Alla domenica mattina nessuno sapeva ancora cosa fare, e le venti vetture si schierarono in griglia di partenza. Negli ultimi minuti si cercò di raggiungere un accordo, ma alle 14 ora locale le vetture partirono per il giro di ricognizione. Sembrava che stesse per svolgersi tutto regolarmente, ma all’ultima curva il pilota pescarese imboccò la corsia dei box, seguito dalle altre tredici vetture Michelin e lasciando in pista solo Schumacher, Barrichello, Monteiro, Albers, Karthikeyan e Friesacher. In mezzo ad un pubblico fischiante che invocava il rimborso dei biglietti, la gara partì quindi con soli sei partecipanti, il più basso numero della storia. Alla fine fu doppietta Ferrari con Schumacher davanti a Barrichello, mentre Tiago Monteiro conquistò il primo e unico podio della carriera. La gara ebbe risvolti che cambiarono definitivamente la storia dello sport: il costruttore francese fu costretto a rimborsare tutti i biglietti, ma il pubblico statunitense, schifato, disertò le edizioni 2006 e 2007, portando all’uscita dal calendario della pista d’Indianapolis e all’assenza di una gara americana fino al 2012. Nel 2006 si tornò a poter cambiare le gomme, ma la Michelin, per la figuraccia, si ritirò a fine stagione, e da allora venne introdotto il regime di monogomma, prima Bridgestone, poi Pirelli. In tutto questo, passò in secondo piano la pole di Trulli, autore di un ottimo finesettimana, pur sapendo perfettamente che la sua sarebbe stata una prestazione inutile, per quella che forse è la pole position, col senno di poi, più insignificante della storia.