Negli ultimi giorni Zak Brown si è espresso in merito alla possibilità di penalizzare i piloti che causino un’interruzione delle qualifiche, con una bandiera gialla o rossa, tramite la cancellazione dei tempi. Dell’introduzione di questa regola, di derivazione Indycar, se ne parla da circa un anno, ma l’argomento è di recente tornato alla ribalta a causa di quanto avvenuto in Brasile tra i due piloti della Red Bull, quando Verstappen si è rifiutato di cedere la posizione a Perez per il presunto incidente volontario di quest’ultimo a Monaco. Ma l’introduzione di questa regola è giusta? Parliamone.
Partiamo dal principio: come funziona questa regola? In Indycar, qualora un pilota causi una bandiera rossa, questo viene punito con la cancellazione dei due migliori tempi, e con la retrocessione (eventuale) all’ultimo posto della sessione. Ovviamente, questo non vuol dire necessariamente finire all’ultimo posto, poiché se il fatto avviene, ad esempio, nella Fast 6, l’ultima sessione in cui i primi sei si giocano la pole, il colpevole viene retrocesso al sesto posto. Nel caso invece ad essere provocata è una bandiera gialla, a venire cancellato è solo il miglior tempo. Questa regola non è presente solo in Indycar, ma anche in altri campionati, come lMSA o il Supercars Championship australiano, anche se in quest’ultimo caso è leggermente diversa: qui, infatti, il pilota perde il tempo fatto registrare fino a quel momento, ma, se dopo la bandiera rossa riesce a tornare in pista e riesce a migliorarsi ulteriormente, il nuovo tempo può essere registrato. La ratio è che questa norma serve per evitare che un pilota rischi troppo, consapevole del fatto di essere comunque in pole nel caso vada a sbattere, rovinando il giro ad altri piloti.
La cosa veramente interessante di questa regola è, però, che non differenzia i casi in cui un pilota volutamente decida di causare una neutralizzazione della sessione da quelli in cui semplicemente perde il controllo della macchina. Ogni qualvolta che un pilota esca fuori di pista provocando una bandiera, automaticamente questo viene penalizzato e costretto a partire dalle retrovie, cancellando quanto fatto di buono in precedenza.
Nel corso degli ultimi due anni si è parlato molto della possibilità di introdurre questa regola in F1: nel 2021 capitò in due occasioni consecutive, Monaco e Baku, che la Q3 venisse interrotta anzitempo per via di un incidente nel corso del secondo run. Nel Principato, fu proprio il poleman momentaneo Leclerc ad andare a sbattere alle Piscine, fermando in quel momento Verstappen e Sainz che si stavano migliorando; in Azerbaijan, invece, Tsunoda è uscito di pista, e dietro di lui Sainz, per evitarlo, è andato lungo, anche in questo caso favorendo Leclerc. In quell’occasione, Toto Wolff si espresse favorevolmente all’idea di introdurre una regola che vada a penalizzare chi interrompa la qualifica, diventando d’intralcio per gli altri.
Come detto, la discussione è ripresa alla vigilia del GP di Abu Dhabi, quando hanno iniziato a circolare alcune voci su un possibile testacoda volontario di Sergio Perez a Monaco, quando il messicano si girò al Portier coinvolgendo successivamente Sainz e Verstappen, mantenendo la terza posizione in griglia davanti al compagno di squadra e consegnando, di fatto, la pole a Leclerc. Zak Brown (che, essendo CEO della McLaren, è anche a capo del team Indycar della casa di Woking) ha sollevato la questione nel corso della riunione della F1 Commission, ed è stato stabilito che questa regola verrà discussa nel Comitato Sportivo della Federazione, l’organo che si occupa di stilare il regolamento sportivo. “Penalità di questo tipo vengono inflitte anche in altri campionati – ha detto Brown – semplicemente tolgono il tuo tempo migliore, perché finisci per rovinare il giro di qualcun altro. Credo che sia una soluzione facile che possa essere introdotta già da subito. Se un pilota esce di pista tu perdi il tuo giro, e magari non hai la possibilità di farne un altro. O magari devi usare un altro set di gomme. Credo che questa sia la soluzione migliore per risolvere questo problema“. Anche Carlos Sainz si è dimostrato favorevole all’idea, anzi, il giovedì prima di Abu Dhabi ha detto che anche gli altri piloti lo sarebbero, e dello stesso parere è stato Toto Wolff, ribadendo la stessa idea espressa lo scorso anno.
Di opinione diversa è invece il team principal dell’Aston Martin, Mike Krack, che ha detto che “bisognerebbe valutare caso per caso, discuterne nel consiglio sportivo e magari guardare quanti casi simili ci sono stati negli ultimi dieci anni. Credo sia facile dire ‘Ok sì, deve essere così’, ma poi realizzarlo effettivamente sarà più difficile” “Non ho una visione solo nera o solo bianca sulla vicenda”.
Ma il punto è: avrebbe senso introdurre questa regola? Probabilmente no. Innanzitutto, il regolamento già prevede sanzioni per i piloti che causino incidenti in maniera volontaria: la casistica non è particolarmente ricca, ma credo che tutti ricordiamo quando Schumacher parcheggiò alla Rascasse nel 2006 per mantenere la pole ai danni di Alonso. In quel caso, il tedesco venne retrocesso all’ultimo posto in griglia. Inoltre, in alcuni casi è facile stabilire un processo di causa effetto: il pilota X va a sbattere, esce la bandiera rossa e quindi la colpa è sua. Ma molto spesso la situazione è molto più complessa: pensiamo alla situazione avvenuta lo scorso anno tra Sainz e Tsunoda citata sopra, sarebbe dovuto essere penalizzato anche lo spagnolo perché è andato lungo per evitare l’Alpha Tauri? O, magari, può capitare che un pilota perda dell’olio in pista e quello dietro ci scivoli sopra finendo fuori: la colpa è di chi ha perso l’olio o di chi finisce fuori pista? O ancora, una vettura potrebbe perdere un detrito il quale centra un altro. O infine, c’è la possibilità che ci siano due incidenti distinti nello stesso momento: a Monaco, quest’anno, mentre Perez di girava coinvolgendo Sainz e Verstappen (e anche qui, la penalità va data a tutti e tre?), Alonso è finito contro le barriera al Mirabeau. In questo caso entrambi i piloti possono dire che il proprio incidente sia stato ininfluente, e che sia stato l’altro a causare la bandiera rossa.
Ma non è solo questo: a parte che nei casi in cui questa viene decisa tramite giro secco, la qualifica è anche un gioco strategico, nello specifico in merito alla scelta di quando scendere in pista nei minuti a disposizione. E ogni scelta è una coperta corta, perché se è vero che dal punto di vista della prestazione nel 99% è sempre meglio fare il tempo il più tardi possibile per sfruttare la pista più gommata, e anche vero che rimandare il momento di fare il giro comporta anche il rischio di non poterlo fare proprio perché qualcuno si è girato. Si tratta di fare una scelta valutando pro e contro, e aggiungere una regola che penalizzi chi va a sbattere vorrebbe dire mettere una sorta di rete di sicurezza per chi decide di scendere in pista a fine sessione, perché tanto, nella peggiore delle ipotesi, comunque guadagnerebbe la posizione di chi viene retrocesso.
E comunque, già così i piloti sono abbastanza penalizzati, perché spesso andare a sbattere in qualifica vuol dire sostituire pezzi, cosa che, in regime di parco chiuso, vuol dire anche (ma non sempre) partire dalla pitlane, o comunque usare un componente in più (come ad esempio un cambio), che poi comporterà una penalità più avanti nella stagione.
E, infine, i piloti non starebbero più attenti. Non in qualifica, perché rappresenta il momento di massima prestazione velocistica del weekend, e si prenderebbero comunque sempre gli stessi rischi. I piloti già sanno che in qualifica ballano sul filo dei millimetri, e che a fare la frittata ci vuole un attimo. Il vedersi rovinato il giro è una cosa che sicuramente fa male se ti capita, ma è uno dei rischi del mestiere, e a volte può andare a vantaggio di Tizio, a volte di Caio, a volte di Sempronio. Un discorso che si potrebbe riassumere, concludendo, con “Shit happens”.