All’apparenza è un ragazzo normale. Studia al Liceo scientifico e deve dare la maturità quest’anno. Si è iscritto al Politecnico di Milano per laurearsi in Ingegneria aerospaziale. Be’, in effetti, già qui c’è un indizio di anormalità. Ma se vi dicessimo che, «completamente a caso», si è ritrovato nel mondo dell’automobilismo neanche maggiorenne?
Andrea Amico vive nel milanese e, da quando è nato, ha avuto un’ossessione. «La passione per le macchine». Ma mica come gli altri bambini: «Da piccolo avevo il pallino per la 24 ore di Le Mans, le gare di durata. Sono cresciuto con film come Driven o Adrenalina blu». Solo e soltanto dopo ha iniziato a interessarsi di F1.
«I miei obiettivi sono due: diventare progettista di alettoni o appendici aerodinamiche in F1; in più adesso ho il sogno, da quando ho cominciato a lavorare, di diventare ingegnere di pista in F1 o Gp2… o IndyCar (mi piacerebbe molto). Avere un ruolo attivo in una scuderia e seguirne tutti gli spostamenti». Sì, perché da quest’anno ha cominciato a gironzolare nei paddock delle serie minori. E ci è entrato a modo suo.
«Nel 2013 avevo fatto un test con la Scuola Piloti Milano, con una Formula Monza» mi racconta. E quando su Facebook nota una F4 con gli stessi colori della sua prima macchinina da corsa, qualcosa scatta. «Vedo il post di questo tizio strano e allora gli scrivo nei commenti: “Ah, Team Viola?” E lui mi risponde: “No guarda, questo sarà il Kite Viola”». Per poi sgusciare in chat privata, con la scusa di chiedere autografi. «Ma ci sarebbe la possibilità di un lavoro estivo? Faccio qualunque cosa, anche gratis, pur di mettermi a lavorare».
E questo qualunque cosa è stato letteralmente qualunque cosa. Nel primo test di marzo 2016, Andrea ha esposto il tabellone dei tempi, pulito le gomme, lavato la macchina. «Un freddo cane… la mattina ero fuori con questo tabellone di metallo, dodici giubbotti… e lì ho conosciuto i due piloti. Una era una ragazzina che veniva a fare i test e l’altro era Hasse-Clot, con cui abbiamo corso il campionato».
Andrea però salta la prima corsa al Mugello. «Sono entrato per la seconda gara ad Adria, nella prima metà di maggio. C’erano piloti di livello ben più alto: Maldonado che era venuto a trovare il cugino, Alex Fontana che io già conoscevo e sono andato a chiacchierarci, era un’atmosfera molto, molto piacevole. Purtroppo ci è andata molto male, abbiamo avuto una foratura. Ma abbiamo fatto la nostra esperienza». Soprattutto lui, un po’ pesce fuor d’acqua in un ambiente che non conosceva per niente.
Ma sapete che c’è? Il lavoro non sempre si trova (anche se si è disposti a lavorare gratis). E così, dopo questa prima esperienza, Andrea aveva racimolato due giornate di test e un weekend di corsa. Per poi chiudere tutto a fine maggio (dopo qualche salto mortale con le assenze scolastiche). «Però così mi sono ritrovato a giugno senza avere il lavoro che avevo tanto cercato!»
Ma non c’è da disperarsi se si ha modo di contattare Kevin Ceccon. «Sapresti darmi qualche nominativo?» gli ha chiesto. Il nostro ha incontrato il pilota tricolore a una corsa di vetture più datate e ha quindi contattato un team che ha corso l’EuroFormula Open. Iniziando una trafila di telefonate.
«A fine giugno con la scuderia ho chiamato una volta e mi dicono: “Ah okay, chiamami la settimana prossima”. Richiamo: “Chiama la settimana prossima”. Nel frattempo mi ero informato sull’EuroFormula Open, che macchine utilizzavano e così via, ero un po’ ignorante sulla categoria. Alla fine mi chiamano il 20 luglio. “Tu ti sei proposto per qualsiasi cosa… noi abbiamo bisogno di un ingegnere telemetrico, uno che scarica i dati dalle vetture, deve garantire il funzionamento della parte elettronica”. Io preso dall’euforia ho accettato». Così, partendo all’avventura.
«Tra l’altro avevo pianificato le vacanze e ho dovuto disdire tutto. E mi hanno chiamato la domenica sera per il mercoledì. Ero sprovvisto di tutto! L’appuntamento era a Silverstone…». E dopo aver preso un minimo di confidenza con due ragazzi della squadra («ragazzi per modo di dire… hanno dieci anni più di me!») si è fatto avanti e si è unito al team. Cominciando dalle basi: montare e pulire camion e box. «La parte più brutta del weekend».
Ma il dubbio più interessante è un altro. La squadra aveva chiesto un ingegnere aerodinamico. Andrea era in grado di farlo? «Assolutamente no!» E dopo una risata mi spiega: «Non sapevo che sensori c’erano, come funzionava il sistema elettronico, che software venivano utilizzati per l’acquisizione dati. Non sapevo niente! Però pur di andare… ».
E dopo qualche aiuto (e un bel po’ di pasticci d’esordio), le cose cominciano a migliorare. «Alla fine il weekend è stato positivo». E ha lasciato delle ottime sensazioni: «Ti dirò che durante quel weekend la mia più grande emozione è stata trovarsi dall’altra parte: vedere la gente fuori che guardava. È stata una cosa assurda. In Spagna c’era tanto, tanto pubblico. Le gare sono trasmesse su Sky e i miei mi hanno visto in tv!»
Concretamente, il ragazzo ha imparato strada facendo. «Gara dopo gara» conferma. Ma a far cosa? «Io mi “attacco” alla macchina con il computer. Ogni macchina ha una scatoletta dove c’è un dispositivo che raccoglie tutti i dati da tutti i sensori della vettura: acceleratore, freno, motore, sterzo… tutti, li scarico sul computer e poi devo condividerli con tutta la rete del team. Poi devo scaricare i video, perché ogni macchina ha una telecamera che registra. Normalissime telecamere di ogni team con la schedina video da inserire nel computer, scaricare i video, svuotarle perché hanno capacità limitata. Nell’ultima parte di stagione ho avuto anche il compito di analizzare i dati per vedere se c’era qualcosa di anomalo, tipo qualche sensore che non funziona. E provvedere a sostituire o ordinare nuove parti sempre sul profilo elettronico». Chi di noi non ha mai fatto cose del genere? Tutti i giorni, vero?
Ma vedere due paddock diversi implica per forza un confronto. Da cui la F4 esce quasi con le ossa rotte. «L’unica cosa che salva la F4 Fia dall’essere un campionato puramente amatoriale, come per esempio lo è il F2 Trophy, è proprio l’esser FIA: ci sono team come Prema, come Mucke, che investono e hanno un livello di preparazione tecnica molto alto».
Ed è anche per questo che Andrea vorrebbe continuare la sua avventura nell’EuroFormula. Una serie più competitiva, più vicina al livello alto di cui vuol diventare parte integrante. «Nel 2017, al 99% rimarrò nell’Open. L’1% me lo riservo in caso va tutto a fuoco e chiudono il campionato».
Ce la farà a diventare ingegnere aerospaziale? Dopotutto è un corso di laurea tosto e bisogna essere davvero appassionati per passarne indenni. Ma a conti fatti le probabilità ci sono. Sentite cosa fa… «Nel frattempo però voglio diventare anche ferrato nella progettazione in 3D, cosa che sto anche già facendo. Io ho questa mania di pubblicare tutto: a volte ci sono quelli che ti fanno i complimenti, a volte ci sono quelli che ti rimproverano… come è anche giusto! Infatti ritrovare progetti di qualche anno fa, c’è da prenderli, metterli in un PC e dar fuoco al computer».
Ma esiste un bilancio di questa esperienza? «A volte ci si alza alle 6 per essere in circuito alle 7 e se ne va via alle 23, 23.30, dipende. Si torna a casa da un weekend di gara distrutti. È stressante. Ma è tutto ripagato». Anche se non propriamente in denaro contante.