E’ da poco sorto il sole sul bivacco della Dakar quando, in una tiepida mattina di inizio gennaio, molti dei protagonisti della corsa iniziano a fare capolino dalle loro tende. E’ il 1988, e l’11^ edizione di quello che sarebbe di lì a poco diventato un’icona tra i Rally Raid sta facendo tappa a Bamako, in Mali. In testa alla gara, con un vantaggio abnorme sul primo degli inseguitori, c’è Ari Vatanen: il finlandese, al volante della nuovissima Peugeot 405 T16, sta letteralmente dominando la corsa, annichilendo tutta la concorrenza.
Il velocissimo finnico, determinato a bissare lo straordinario successo ottenuto durante l’edizione precedente, pare indirizzato verso un’altra perentoria affermazione. La Dakar, tuttavia, non è esattamente una corsa come tutte le altre. Soprattutto nella sua versione originaria, disputata in quell’Africa Nera che tante storie ha visto scrivere sul proprio suolo. In un continente aspro, vivo, pulsante, l’imprevisto e l’insidia sono sempre dietro l’angolo. E lo sono tanto per motivi naturali quanto – come in questo caso – per fatti eminentemente umani.
“La tua macchina non c’è più”. A grandi linee dev’essere stata questa la frase che, chissà chi all’interno del team Peugeot, ha coraggiosamente pronunciato proprio all’indirizzo di Ari Vatanen mentre il sole faceva capolino con sempre maggiore convinzione in quel di Bamako. Perché sì, la macchina del finnico, l’auto che stava dominando in lungo e in largo quell’edizione della Dakar conservando oltre due ore di margine sul più diretto degli avversari, dalla notte al giorno pare essere clamorosamente scomparsa dal bivacco sorto nella capitale del Mali. Sparita, svanita. O meglio, rubata.
Erano altri tempi, nel mondo del Motorsport. Tempi in cui i controlli non erano così stringenti, epoche in cui la separazione tra addetti ai lavori, piloti e gente comune non era così netta e tangibile come adesso. Ed erano ere in cui, per mettere a segno un colpo del genere – tuttora quasi unico nella storia delle corse -, non bisognava poi essere la reincarnazione di Arsenio Lupin. “L’auto era nel Parco Chiuso, che però era in un grande stadio di calcio a Bamako, la capitale del Mali” – racconta proprio Ari Vatanen – “Moltissime persone stavano ancora lavorando sulle auto quella mattina, ed un mucchio di gente ha raccontato di aver visto che stavano lavorando anche sulla mia: c’erano centinaia e centinaia di persone in quello stadio, assieme a moltissime auto“. “Ad un tratto, qualcuno dice di aver sentito uno dei miei meccanici dire che era necessario fare un breve giro di prova” – prosegue il finlandese – “Un mucchio di persone entravano ed uscivano in continuazione dallo stadio, e quindi, quando la mia macchina è stata vista uscire da lì, nessuno ci ha fatto troppo caso perché erano tutti convinti che qualcuno la stesse portando fuori per un breve test“.
Non era così: la Peugeot 405 T16 di Vatanen, che avrebbe dovuto schierarsi tra i primi per la prova di giornata, dopo essere uscita dallo stadio che fungeva da Parco Chiuso scompare apparentemente senza lasciare alcuna traccia. “All’epoca le auto non erano tenute così a distanza dal pubblico, e così quando ci si dimenticava la macchina aperta per qualcuno era facile salire, accendere l’auto, premere qualche bottone e partire“ – prosegue Vatanen nel suo racconto – “Era molto semplice, ed è esattamente quello che è accaduto alla mia auto”. Nel bivacco di Bamako la voce si sparge a macchia d’olio: l’auto che fino a quel momento era parsa semplicemente imbattibile è stata rubata. A farsi largo tra i vari capannelli di persone che commentano l’incredibile accaduto è, con passi brevi e veloci, un manager dagli occhi azzurri. E’ francese, è nato a Pierrefort e risponde al nome di Jean Todt.
All’epoca a capo di Peugeot Sport durante la difficile e faticosa trasferta africana, colui che dopo pochi anni sarebbe diventato icona dell’epopea vincente della Scuderia Ferrari viene raggiunto da una telefonata. “Una persona mi ha passato un’altra persona, probabilmente un europeo dato l’accento” – dice Todt a chi lo vede salire trafelato su un elicottero di servizio – “Costui mi ha detto che l’auto ci verrà restituita se salirò su un taxi tra 20 minuti portando con me un riscatto di 25 milioni di franchi. Per il momento, tuttavia, stiamo ancora cercando di trovare la macchina per conto nostro”. Il tempo tuttavia scorre inesorabile, ed il giovane manager francese si trova di fronte ad un bivio: pagare una somma che, con qualche approssimazione, equivarrebbe attualmente a 4 milioni di € oppure rischiare di vedersi sfuggire dalle mani una Dakar praticamente già vinta?
“Jean? Certo che alla fine è andato all’incontro con i ladri“ – racconta Vatanen – “Erano dei mercenari, gente pericolosa ed armata che agisce solamente per soldi. Nonostante questo Jean decise di presentarsi comunque davanti a loro, ma nel luogo dove avrebbero dovuto incontrarsi non trovò nessuno“. Impossibilitato dunque a pagare il riscatto, in quella concitatissima mattina del 1988 l’intero team Peugeot è costretto a proseguire disperatamente le proprie ricerche: i minuti scivolano impietosamente via quando, ad un tratto, da un campo qualcuno vede spuntare un alettone posteriore. “Riuscimmo a trovare l’auto diverse ore dopo“ – prosegue il finlandese ripercorrendo con la memoria una delle vicende più assurde della sua carriera – “Era piuttosto difficile nascondere per sempre un’auto da rally nelle campagne attorno a Bamako, ma purtroppo il tempo che avevamo impiegato per ritrovarla era stato troppo“.
Secondo le regole della Dakar 1988, infatti, ciascun concorrente avrebbe dovuto presentarsi ai blocchi di partenza di ciascuna prova speciale con almeno 30′ d’anticipo sull’orario del via: Ari Vatanen, non essendo riuscito a presentarsi ai controlli con la propria Peugeot prima che questo termine spirasse, è dunque automaticamente escluso da una gara che stava letteralmente dominando. “E’ stata una vicenda fantastica, sembrava di essere in un film“ – dice il finnico – “Siamo stati tutti colti di sorpresa, e da quel momento abbiamo iniziato ad utilizzare guardie del corpo ed uomini della sicurezza. Ma in fondo è una bella storia, una di quelle che ora come ora non potrebbero più accadere ma che ai quei tempi era invece possibile”.
Ari Vatanen, dopo aver centrato il successo nel 1987, si prese la sua personale rivincita sulla Dakar nel 1989, nel 1990 e nel 1991, chiudendo la propria storia d’amore con il leggendario Rally Raid con ben 4 trionfi assoluti, 3 dei quali oltretutto consecutivi. Eppure, al finnico, quella Dakar persa in quel modo non è mai andata del tutto giù. Sembra infatti che ancora oggi, a chi gli chiede dei suoi successi ottenuti nelle viscere dell’Africa Nera, Ari Vatanen dia una ed una sola risposta: “4 Dakar vinte? No no, io ne ho vinte 4,5…”