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Andare a pesca con una LMP1 è morta, viva Andare a pesca con una LMP1





Era il 25 ottobre 2014 quando nasceva “Andare a pesca con un’Audi R18”. Bilanci e considerazioni sparse dopo dieci anni – e poco più – di appassionata attività.

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© Andare a pesca con una LMP1

Lo so, lo so. Ho completamente ciccato il giorno esatto della ricorrenza. Mi cospargo il capo di cenere, faccio ammenda dei miei peccati e vado placidamente avanti: la puntualità non è mai stata (e mai sarà) una mia dote, e ignorarla una volta di più non causerà alcun tipo di stravolgimento alla mia vita.

Di avere mancato la fatidica data, a dire la verità, mi frega ben poco. Per pensare e scrivere questo articolo è occorso del tempo, forse più di quanto mi aspettassi. Mi sono ritrovato all’improvviso di fronte alla volontà e alla necessità di riavvolgere rapidamente il nastro degli ultimi dieci anni della mia vita, e la consapevolezza del fatto che non si trattasse di un’impresa facile si è fatta strada man mano che l’idea di questo pezzo prendeva forma nella mia mente.

Ho deciso di buttare giù queste parole perché ho arbitrariamente stabilito che il primo decennio di esistenza dell’attività che porto avanti sui Social fosse un buon momento per mettere assieme una parvenza di bilancio e un’apparenza di propositi. Sentivo la necessità di fissare un punto fermo, di stabilire un momento che potesse essere utile per individuare un “prima” e un “dopo”. La scelta è ricaduta sulla prima cifra tonda disponibile e quindi eccoci qui.

Parlare ora di ciò che accadeva nel 2014 parrà forse pleonastico, ma lo scorrere del tempo e il modo in cui sono cambiate le cose – perlomeno nei contesti che ci riguardavano e ci riguardano – sono in realtà parte cruciale della mia analisi. Nel 2014 Lewis Hamilton aveva in bacheca un solo titolo iridato, Sebastian Vettel era un imbattibile quattro volte Campione del Mondo e Bernie Ecclestone timonava la Formula 1. Nel 2014 Valentino Rossi chiudeva 2° nel Mondiale di MotoGP in sella alla Yamaha, Marc Marquez condivideva con lui foto, abbracci e strette di mano mentre si involava verso il secondo titolo iridato e Nicky Hayden occupava il box di Ducati Factory assieme ad Andrea Dovizioso. Nel 2014 su Instagram non esistevano Reel, caroselli e Stories, mancavano due anni alla creazione di TikTok, su Facebook si condividevano ancora foto di aperitivi, stati e canzoni da YouTube, l’abuso del termine “ignoranza” dilagava e i meme Top Text / Bottom Text in Impact rappresentavano la frontiera della comicità. Nel 2014 l’avvento delle automobili elettriche sembrava una boutade ambientalista, chi si professava influencer godeva della stessa credibilità di una proposta elettorale e trovare il modo di accedere con i Social al mondo del Motorsport o dell’Automotive pareva una pura utopia.

La lista di differenze tra lo ieri e l’oggi potrebbe allungarsi ancora, ma proseguire con questo elenco sarebbe inutile: mi interessava più che altro focalizzare la vostra attenzione sul numero di cose che sono cambiate, tanto nel mondo motoristico di cui parliamo quanto nel modo in cui queste cose vengono raccontate. Rimettere a fuoco il punto di partenza torna sempre molto utile nel momento in cui ci si confronta con un qualsiasi punto di arrivo, intermedio o definitivo che sia. 

Guardandomi indietro, non lo nego, vedo un percorso che il me 21enne non avrebbe mai osato immaginare neppure nei suoi sogni più umidi. Ho avuto la fortuna di vivere delle esperienze improbabili, impensabili, persino irripetibili. Questi primi dieci anni di attività mi sono costati molto, ma hanno saputo restituirmi parecchio: non tutti coloro che nel 2014 avevano intrapreso un percorso simile al mio hanno avuto la stessa possibilità. Allo stesso tempo, tuttavia, mi è impossibile negare che qualcosa non abbia funzionato come avrei voluto e sperato.

Ci troviamo in un punto morto della nostra esistenza online, non lo nascondo. Sette anni fa, quando Fuori Traiettoria nasceva a sostegno di Andare a pesca con un’Audi R18 dopo che un altro sito web mi aveva silurato in contumacia proclamando così il proprio sostanziale fallimento, l’editoria online sembrava l’orizzonte felice dell’informazione. Privi di qualsiasi vincolo dovuto a fondi e foraggiamenti esterni, i blog indipendenti – così si definivano all’epoca – davano gratuitamente la possibilità di esprimersi a moltissimi ragazzi che, come me, avevano provato a bussare alla porta di blasonate testate non ottenendo alcuna risposta. Allo stesso modo, in cambio di un follow gratuito i lettori di questi blog online avevano accesso a informazioni e approfondimenti di vario tipo: non era necessario abbonarsi, acquistare o sottoscrivere alcunché per fruire di contenuti che, a chiunque ne scrivesse, costavano tempo e impegno. Abbiamo accettato per anni di offrire questi tributi nella speranza di poter vivere di ciò che ci piaceva fare. Covava, dentro ciascuno di noi, l’idea che un giorno saremmo riusciti a fare del nostro lavoro un vero lavoro. È evidente che ci sbagliavamo. È evidente che mi sbagliavo.

Piuttosto spesso capita di confrontarmi sull’argomento con Lorenzo Moro, patacca con cui anni or sono ho felicemente condiviso l’abitacolo di una Porsche Cayenne Coupé Turbo in una presentazione stampa nonché direttore e fondatore supremo di RollingSteel.it. “Mi dicono che le cose che faccio costano troppo”, mi raccontava non più tardi di qualche settimana fa. “Chiedo soldi per un’attività che mi porta via tempo e fatica e mi rispondono ‘Ah ma io pensavo lo facessi per passione’”, aggiungeva in una nota vocale che trattava di argomenti che conosco fin troppo bene. Ho perso il conto, nel corso di questi anni, di quanti veri e propri colossi ci abbiano chiesto supporto e pubblicità in cambio di visibilità, in alcuni casi persino di “gratitudine”. Il sottoscritto, Lorenzo, lo stesso Andrea Antonio Balconi che tracciò la strada con l’indimenticato InFullGear.com e chissà quanti altri abbiamo iniziato per passione, è vero. Tuttavia, è altrettanto vero che con passione, visibilità e gratitudine non si mangia, non si pagano i collaboratori, non si fa rifornimento alle auto in prova o a quelle di proprietà con cui si va in trasferta. Mi stupisce come la gente si stupisca che, per quello che è a tutti gli effetti un lavoro, si chieda (ai primi tempi anche timidamente) di essere pagati.

Dato che non abbiamo mai ricevuto soldi da Audi, nonostante la presenza del marchio nel nome originario della pagina abbia dato vita a fantasiose supposizioni da parte di qualche saltimbanco del web, abbiamo provato a ovviare a questa carenza di fondi tramite i famigerati banner che impiastricciano questo e altri siti. Annunci pubblicitari che compaiono, scompaiono, sfuggono e si nascondono alterando l’esperienza di navigazione dell’utente e pasticciando con l’impaginazione del sito, per poco più di 1 € ogni 1.000 visualizzazioni di pagina. Più volte siamo stati avvicinati da aziende che offrivano soldi in cambio di pubblicità a piattaforme di gioco d’azzardo, ma ci siamo sempre rifiutati categoricamente per via di un’etica che non abbandoneremo mai. Per un po’ avevamo creduto che sacrificare la pulizia e la user experience del nostro sito potesse darci la chance di tirare avanti la baracca un domani, ma non abbiamo neppure fatto in tempo a dare forma alla nostra speranza che il cambiamento degli algoritmi, la sempre minore propensione alla lettura delle persone e la comparsa di strumenti di informazione diversi da quello sul quale avevamo puntato per anni ci hanno riportato bruscamente alla dura realtà.

Abbiamo ridotto al lumicino la pubblicazione di approfondimenti, analisi o editoriali per i quali investivamo ore in ricerche e scrittura quando ci siamo resi conto che non solo questi articoli non generavano le views di un tempo, ma addirittura servivano da spunto per video o Reel pubblicati su canali e profili altrui. A quel punto abbiamo tentato di percorrere il battutissimo sentiero dei cosiddetti contenuti “SEO oriented” per cercare di farci strada nella giungla di risultati offerti dai motori di ricerca, ma l’unico risultato ottenuto dallo scrivere di notizie inconsistenti, fuffa motoristica e inutilità impersonali è stato il contrarre un forte disamoramento nei confronti di quegli stessi argomenti che ci appassionavano, addirittura allontanando alcuni lettori nel tentativo di attrarne di nuovi. Poi abbiamo ampliato al massimo il numero di piattaforme sulle quali essere presenti, cercando di capire come e dove poter raggiungere i nostri e dei nuovi utenti, e non più tardi di qualche mese fa abbiamo detto addio all’Audi R18 nell’illusione che questo sarebbe servito a qualcosa. Infine abbiamo visto calare anche il numero di interazioni – nostro ultimo baluardo – non sappiamo se per via dello shadow ban di cui vi diamo notizia ora, se a causa del fatto che non vi vengono più mostrati i nostri post o se perché non vi piace semplicemente più quello che pubblichiamo. A quel punto ci siamo guardati negli occhi mentre algoritmi e analytics facevano scempio delle nostre membra virtuali e abbiamo capito che le frecce al nostro arco stavano inesorabilmente diminuendo: il tempo e l’anagrafe ci remavano inesorabilmente contro, e ciascuno di noi ha dovuto cercare un vero lavoro con cui sbarcare il lunario mentre tentava di inseguire una chimera. Io sono riuscito a trovarne alcuni e a crearmi delle alternative in questo stesso ambiente, altri non ce l’hanno fatta e sono stati costretti a rimettere nel cassetto un sogno al quale avevano dedicato anni. La mancanza di ore da dedicare alla scrittura o alla ricerca, unite ai ritmi sempre più serrati dettati da calendari infittitisi all’inverosimile e da news vere o presunte che si inseguono a getto continuo, hanno reso difficilissimo produrre contenuti simili a quelli che hanno caratterizzato i primi anni della nostra attività.

Ci tengo a precisare una cosa: a differenza di altri che versano nelle nostre stesse condizioni non ho la benché minima intenzione di prendermela con gli influencer, macro o micro che siano. Per anni ho combattuto una crociata contro chi – solo ed esclusivamente in un Paese per dinosauri com’è l’Italia – sosteneva che senza un pezzetto di carta foderata non si potesse avere accesso a determinati eventi, e ora che io stesso ho quel pezzetto di carta foderata non voglio trasformarmi in ciò che mi ero promesso di non diventare mai. Non mi vedrete criticare questo o quella content creator per partito preso, solamente perché loro rappresentano un modo nuovo, un modo diverso di raccontare lo sport e il mondo che amo: il web ha dato a loro la stessa chance che ha offerto a me o ad altri, e sostenere che meritino l’ostracizzazione indiscriminata perché sono tutti superficiali vuol dire fare colpevolmente di tutta l’erba un fascio. Semmai ci sarebbe da chiedersi come sia possibile portare avanti un’attività sui Social sfruttando quasi esclusivamente materiale video protetto da copyright quando 5 anni fa mostrare in video un’unghia del piede destro di Verstappen portava inesorabilmente in dote uno strike per violazione di diritti d’autore, ma se chi dovrebbe vigilare dorme sonni tranquilli la colpa non è di certo di chi utilizza il contenuto. 

Mi dispiace, piuttosto, che si confonda quell’attività con quella del giornalista, che non si colga la differenza tra un pezzo approfondito e un post su Instagram, che basti copiare e incollare in sequenza pezzi di notizie altrui (poco importa se vere e o meno) per essere ritenuti autorevoli quando noi e tanti altri non abbiamo goduto di questa considerazione neanche quando macinavamo mezzo milione di views mensili. “Sono i Reel e i video di durata simile il futuro del giornalismo”, mi ha detto una volta una persona che lavora in un’azienda capace di fatturare miliardi. La frase, nel cuore di chi ancora oggi si sbrodola sulle letture lunghe à la Ultimo Uomo, è risuonata con la stessa gravità con cui rintocca una campana a morto: come si fa a non rendersi conto che è la stessa natura dell’approfondimento a rendere impossibile la sua compressione in trenta o sessanta secondi? Da quel dì la domanda vaga nella mia mente senza risposta. 

Credo che in tanti, tra i pochi che sono sopravvissuti a questi dieci anni, siano stati più lungimiranti di me. Alcuni hanno capito in anticipo quale fosse il Social giusto sul quale puntare adattando di conseguenza la loro narrazione, il loro modo di raccontare. Altri hanno aperto le porte al clickbait e alle notizie prive di fondamento o ufficialità, mantenendo inalterate le proprie views anche quando il vento dei Social spirava in direzione opposta a quella da dove arrivavamo. Altri ancora hanno deciso che marchette, riverenze e ossequi non fossero poi così male, e sull’altare della sopravvivenza hanno sacrificato l’indipendenza dalla quale si era partiti insieme. Mentre osservo le condizioni in cui versiamo oggi e la difficoltà con cui ogni giorno investiamo del tempo in qualcosa che non ci fa guadagnare nulla, non mi sento di biasimare nessuno di loro. Tutte le spese per Andare a pesca con una LMP1 e Fuori Traiettoria sono sostenute con soldi che provengono da lavori esterni e ulteriori, non con ciò che racimoliamo sul web.

Ogni decisione presa in questi anni è stata figlia della buona fede, ed è per questo che non vedo troppi rimpianti se riavvolgo il nastro di questo primo decennio di vita di Andare a pesca con una LMP1. A voler essere sinceri e precisi, infatti, di rimpianto ne ho solamente uno: quello di non avere mai puntato solo e soltanto sulla realtà nata il 25 ottobre di 10 anni fa, un qualcosa che alcuni – il già citato Lorenzo Moro in primis – hanno invece avuto il coraggio di fare.

Di rimpianti, quando ho messo in piedi tutto l’ambaradan, mi ero promesso però di non averne. E quindi, nonostante gli impegni in vista del 2025 rischino di moltiplicarsi ancor prima che il 2024 giunga ai titoli di coda, mi sono detto che potesse valere la pena fare un altro tentativo, un altro stint fatto di propositi, investimenti, notti insonni. Un ultimo ballo, ammettendo anche di potersene fregare degli aggiornamenti quotidiani su campionati che corrono con frequenza inquietante, fatto però al ritmo di una composizione scritta e suonata insieme a voi. Il Google Form che trovate nel pulsante qui sotto serve proprio a questo: è un sondaggio, da compilare in forma totalmente anonima e senza che a noi resti il vostro indirizzo mail, che ci permetterà di capire come intervenire e dove intervenire in un futuro molto prossimo per venire incontro alle richieste di chi ci segue, ci supporta e ci legge da ormai dieci anni a questa parte.

Ringrazio in anticipo e sinceramente chi, arrivato a questo punto dell’articolo, deciderà di dedicarci altri cinque minuti della propria giornata. Con la speranza che, semmai dovessimo arrivare a un secondo decennale da celebrare, la musica della festa possa essere più allegra di quella che risuona in sala quest’oggi.





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Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow