Credo che sia tutta questione di atteggiamento, il provare automobili. Di atteggiamento, di aspettative e di obiettività. Partire da preconcetti o, ancora peggio, da paragoni tra auto di categorie differenti per giustificare una caratteristica di un’auto a discapito dell’altra, secondo me è il primo passo per travisare totalmente quello che la vettura che stiamo provando vuole trasmetterci, vuole dirci, quello che la vettura realmente è. Guardando per la prima volta l’Alfa Romeo MiTo Quadrifoglio Verde con cui ho trascorso due settimane della mia vita da Blogger ma prima di tutto da appassionato di automobili, ho imposto a me stesso, tedescofilo dalla nascita, di dover partire da un foglio totalmente bianco per potermi fare un’idea di quello che rappresenti davvero e di come si comporti la compatta più potente della Casa del Biscione. E forse ci sono riuscito.
Era l’ormai lontano 2008 quando la gamma MiTo venne messa in produzione. L’obiettivo dell’Alfa Romeo era quello di creare una compatta dal piglio sportivo per aggredire un settore di mercato in forte crescita, cercando allo stesso tempo di mantenere il prezzo relativamente basso e di garantire una buona fruibilità nella vita quotidiana. Il tutto anche per portare nuova linfa alle casse del Marchio, che avrebbe attinto da un settore fino a quel momento rimasto inesplorato dalla gamma del Biscione. Ovviamente, per ragioni di convenienza prima di tutto economica, per Alfa Romeo non aveva molto senso non sfruttare il know-how di Casa Fiat: ecco perchè la MiTo, sostanzialmente, nasce sul pianale FGA Small della Casa Torinese. Quello, per intenderci, della Fiat Grande Punto. Pianale che è stato però migliorato tramite l’impiego di nuovi materiali (il 16% è realizzato con acciai ad alta resistenza) che hanno abbassato del 9% il suo peso complessivo, portando la MiTo a pesare 1145 kg nella sua versione Quadrifoglio Verde. Partendo quindi da questo assunto, la parentela dell’Alfa Romeo MiTo con la sua “cugina” Grande Punto è tale da rovinarne la personalità?
Guardandola a prima vista, la risposta è “Nemmeno un po’”. Ad alcuni potrà anche non piacere a livello estetico, ma la MiTo ha una linea che nel complesso è riuscita: ispirandosi soprattutto per il frontale alla 8C Competizione, i designer dell’Alfa hanno realizzato un corpo macchina di dimensioni ridotte (4,06 m di lunghezza, 1,72 di larghezza ed 1,45 di altezza) sul quale lo sguardo si sofferma piuttosto volentieri. Le linee sono tondeggianti, quasi delicate, e nell’eleganza che le forme addolcite trasmettono riesce a trasparire comunque l’indole da piccola sportiva della QV.
Ho usato il termine “trasparire” non a caso: persino la più cattiva delle MiTo non trasuda aggressività da tutti i suoi pori. Le differenze estetiche che la caratterizzano rispetto alle altre versioni sono infatti limitate, e sostanzialmente si riducono alle cornici dei fari anteriori e posteriori brunite, ai cerchi da 17″ di serie (quella provata da noi aveva i 18″, molto belli nel disegno a 14 razze) dai quali si intravedono le pinze rosse dell’impianto frenante griffato Brembo, all’estrattore sul paraurti posteriore con incastonato il doppio terminale di scarico cromato ed all’immancabile logo del Quadrifoglio Verde posizionato sopra i passaruota anteriori. Ad un occhio poco attento, la QV sembra una MiTo come le altre. Ed il considerare questo aspetto un vantaggio o uno svantaggio dipende da voi e da quanto volete che vi notino al volante della vostra automobile. Io, per esempio, avrei preferito che in Alfa azzardassero qualcosa di più: sebbene infatti il colore blu non sia tra i più comuni per questa automobile, in pochi nel corso delle due settimane di Test si sono resi conto dell’anima “pepata” di questa MiTo. E secondo me è un peccato.
Discorso leggermente diverso vale invece per quanto riguarda gli interni, che nell’allestimento QV hanno diverse particolarità. Non appena ci si siede al posto guida, si nota infatti il logo del Quadrifoglio Verde che fa capolino dal quadro strumenti, e mentre le mani scorrono sul volante in pelle (di diametro e spessore adeguato e con la parte inferiore appiattita a dare un tocco di sportività in più) ci si rende conto che quasi tutte le cuciture sono a contrasto, bianche e verdi. I sedili, non molto avvolgenti ma con supporto lombare e sufficientemente comodi per assorbire piuttosto egregiamente le asperità percepite a fondo grazie ai cerchi da 18″ (che impongono pneumatici 215/40), sono riscaldabili elettricamente ed il logo Alfa Romeo cucito sui loro schienali è d’effetto. I materiali della plancia sono buoni, nè troppo rigidi nè troppo morbidi, ma in Alfa avrebbero potuto migliorare le leve di frecce e fari, cruise control e tergicristalli, realizzate con plastiche di qualità non eccelsa e dal sapore (queste sì) un po’ low cost, così come le alette parasole, troppo inclini a staccarsi. Spicca poi, al centro della plancia, lo schermo da 5″ del sistema multimediale UConnect, inserito sulla MiTo a partire dal MY2014. Ha tutte le funzioni fondamentali, ma è un sistema che patisce lo scorrere del tempo: lo schermo è un po’ piccolo, ed il touchscreen non garantisce un feedback eccezionale. A differenza di altre vetture provate anche recentemente, l’Infotainment non è proprio uno dei punti di forza della MiTo, ma francamente non ci farete molto caso. Anche perchè il sistema di navigazione fornito da TomTom, davvero valido per grafica e per precisione di indicazioni anche se forse un po’ lento nel ricalcolo degli itinerari, e l’impianto stereo firmato BOSE sono due punti di forza che, per chi vorrà sfruttare prese AUX, USB e Bluetooth, non sono da sottovalutare. Sotto il sistema UConnect troviamo poi i comandi del clima automatico bizona, privi di gioghi ma forse un po’ dispersivi, e la leva del cambio automatico TCT a 6 rapporti con poco più avanti il classico manettino del DNA, che come sempre vi permetterà di scegliere una modalità di guida tra Dynamic (la più sportiva), Natural (adatta alla guida i tutti i giorni e pensata ad ottimizzare i consumi) ed All Weather (pensata per fondi a scarsa aderenza, con un’erogazione del motore più dolce e lineare).
La MiTo è omologata per 4, ed è assolutamente giusto così. Davanti si sta comodi, e dietro se non si è troppo alti c’è sufficiente spazio per le ginocchia. Peccato che la linea spiovente della carrozzeria lasci poco spazio sopra le teste dei passeggeri, che avranno a disposizione anche dei finestrini piuttosto piccoli: lo spazio per un eventuale quinto sarebbe stato davvero impossibile da trovare. Nonostante poi un piano di carico piuttosto alto, il bagagliaio della MiTo si difende dalla concorrenza con i suoi 270 l, che diventeranno 1020 con i sedili posteriori completamente abbattuti.
Se quindi esternamente ed internamente le differenze tra la QV e le altre versioni della MiTo non sono eclatanti, cos’è che rende speciale la Quadrifoglio Verde? Beh, ovviamente il cuore. Pardon, il motore: un 1.4 Turbo MultiAir a benzina capace di erogare 170 CV di potenza massima a 5500 rpm e 250 NM di coppia massima – in modalità Dynamic – a 2500 rpm. Cifre che, abbinate ad un’auto che pesa 1145 kg, si traducono in uno 0-100 km/h coperto in 7,3 s ed in una velocità massima dichiarata di 219 km/h. Eppure, nonostante questi numeri, durante i miei primi km percorsi a bordo della MiTo QV sono rimasto impressionato dalla silenziosità del 1.4 MultiAir e da come, in città, per muoversi servisse davvero un filo di gas, cosa che permette peraltro di mantenere un regime di rotazione molto basso per un propulsore a benzina. La MiTo, grazie anche alle dimensioni contenute, è agile nel traffico cittadino, con un motore che in modalità Natural (già, dal MY2014 la “N” del manettino sta a significare Natural e non più Normal) abbinato al cambio in Drive è abbastanza pronto in qualsiasi situazione. Il turbolag è contenuto ed il TCT a 6 rapporti, escludendo qualche incertezza a freddo, è fluido nei cambi marcia: nonostante i 170 CV, la guida si rivela piacevole, senza scossoni o strappi eccessivi. Anzi, dopo un po’ inizierete a notare come in città l’andatura della MiTo vi sembrerà quasi piatta, con il cambio che in Drive non è esattamente incline ad effettuare dei rapidi kickdown e che, per la sua tendenza a non portare il motore ad alti regimi anche al fine di ottimizzare i consumi, vi farà a volte chiedere se sotto il cofano della QV non trovi posto un 1.6 MultiJet. Anche perchè tutto mi sarei aspettato da un 1.4 a benzina da 170 CV tranne un regime di 1700 rpm quando si viaggia a 70 km/h. La visibilità è buona, anche se i montanti posteriori spioventi ed il lunotto piccolo non facilitano le manovre: vista l’assenza di telecamere anche nella lista degli optional, aiutano non poco i sensori di parcheggio (solamente posteriori).
E’ quasi per curiosità, per capire che carattere stesse nascondendo davvero questo 1.4 MultiAir, che per la prima volta ho spostato il manettino in modalità Dynamic. Ed è come se la macchina si fosse svegliata da una sorta di torpore. Mantenendo il cambio in modalità Drive, la differenze più netta che si percepisce è quella riguardante la risposta dell’acceleratore. Lo sterzo si irrigidisce e diventa più preciso, ma non in maniera così decisa e netta come mi sarei aspettato. Per quanto riguarda il motore, invece, è tutta un’altra storia: affondando il pedale del gas, superata l’incertezza dovuta al turbolag la MiTo QV schizza letteralmente via. Il TCT, sempre in Drive, tende a mantenere sempre il motore in coppia, prediligendo gli alti regimi di rotazione, e vi ritroverete a guidare un auto che al minimo tocco sul pedale dell’acceleratore balza in avanti. Credetemi, il cambiamento è netto, a tal punto che prima di provare l’accoppiata Dynamic/Drive in città è bene prendere almeno un minimo di confidenza con la risposta del gas.
Il sound del motore, piacevole all’esterno più in movimento che da ferma (a caldo in fase di rilascio si sentono dei gradevoli colpetti), nell’abitacolo diventa addirittura coinvolgente: man mano che si sale di giri il borbottio dei bassi regimi si trasforma in un ringhio che arriva fino alla soglia dei 6000 rpm quando, con l’inizio della zona rossa del contagiri, il cambio decide che è arrivato il momento di salire con le marce. Ah, questo succede anche in modalità sequenziale: il TCT della MiTo è infatti tarato per non permettere fuorigiri, nè in salita nè in scalata. Nonostante questo atteggiamento “protettivo” nei confronti della meccanica, il cambio della QV si difende anche nell’utilizzo sportivo, dove per divertirvi di più potrete optare per la modalità sequenziale del TCT che vi permetterà di sfruttare o la leva del cambio o i paddle (piuttosto piccoli) posizionati dietro le razze del volante. Le cambiate non sono fulminee, ma con un minimo di abitudine ci si abitua alle tempistiche comunque piuttosto rapide del TCT e ci si possono togliere delle belle soddisfazioni.
E comunque, anche qualora voi non foste informati, la MiTo è piuttosto chiara nel farvi capire quando state esagerando. Lo ricordo, qualora servisse a qualcuno: è un’auto che, pur avendo nella versione QV il differenziale elettronico Q2, rimane una TA nuda e cruda. Se quindi le sospensioni McPherson rendono l’avantreno piuttosto preciso anche a velocità sostenute, lo stesso non può dirsi del ponte torcente al posteriore, che non permette alla MiTo QV di copiare perfettamente la strada e che le fa patire i bruschi trasferimenti di carico sull’asse orizzontale. E’ un auto che secondo me va guidata, per divertirsi a fondo, puntando sulla percorrenza di curva. Qualora voi infatti, nella guida sportiva, prediligiate “tirare” le frenate, quest’auto ha 3 caratteristiche che potrebbero rovinare il vostro stile di guida: il retrotreno leggerissimo, il peso spostato sull’asse anteriore a causa del motore e l’impianto frenante efficientissimo. Già, perchè le pinze a 4 pistoncinidei freni Brembo mordono dischi da 305 mm all’anteriore e da 251 mm al posteriore, garantendo una frenata modulabile ma soprattutto notevole – e non facilmente replicabile dalla maggioranza delle auto in circolazione. La combinazione di questi tre elementi fa sì che, in caso di staccata violenta, entrerete in curva con l’anteriore troppo carico e tendente al sottosterzo e sarete costretti, a causa del baricentro spostatosi in avanti e del posteriore leggero, a correggere la vostra traiettoria o con dei leggeri movimenti sul volante o rimodulando una frenata che avevate impostato in maniera differente. Ecco perchè durante le due settimane di Test mi sono divertito di più frenando qualche metro prima di quanto i freni mi permettessero, per poi buttare con decisione il muso della MiTo in curva: l’anteriore della QV, che in questo modo viene caricato il “giusto”, permette infatti di tenere sotto controllo in fase di percorrenza qualsiasi movimento dovesse arrivare dal retrotreno, facendovi prediligere linee il più possibile rotonde per sfruttare al massimo l’uscita di curva.
Uscita di curva che, nonostante un sottosterzo non particolarmente accentuato, è sempre bene impostare, premendo a fondo il pedale del gas, a ruote quasi completamente dritte. La MiTo, come già scritto poco più sopra, pesa poco e ha tanta potenza: schiacciando l’acceleratore dunque, nonostante il peso sia spostato principalmente in avanti, la spinta data dai 170 CV del motore riporterà più indietro il baricentro della vettura. Ciò, fatto con ruote sterzate ed ancora in percorrenza, vi darà la sensazione di un alleggerimento dell’avantreno, che conseguentemente perderà quel poco di aderenza sufficiente però a costringervi ad allargare la traiettoria e a mollare il gas per evitare tendenze al sottosterzo più evidenti. Non esattamente il massimo per chi agogna una guida sportiva, pulita e veloce.
Il foglio bianco da cui sono partito al termine delle due settimane di Test era stracolmo di segni ed annotazioni. Dai quali si capiva però chiaramente una cosa: la MiTo Quadrifoglio Verde, nel corso della sua vita, ha raccolto tante critiche immeritate. Ha un motore fluido, brillante, dal sound coinvolgente ma mai invadente (a 130 km/h si viaggia a poco più di 3000 rpm) e nella media con i consumi (nell’arco della nostra prova abbiamo registrato un consumo medio di 10,7 km/l, ma durante un tentativo di “Economy Run” tra un rifornimento e l’altro abbiamo toccato punte di 13,7 km/l); ha un cambio adatto sia per l’uso cittadino che per quello sportiveggiante, una linea che dopo 8 anni cattura ancora più di uno sguardo, un impianto frenante strepitoso per la categoria, un’abitabilità nella norma ed un Infotainment dignitoso, il tutto ad un prezzo di partenza di 24.000 €. La sua unica colpa è quella di condividere un elemento importante come il pianale (e qualche altra componente qua e là) con un’auto non esattamente prestazionale come può esserlo la Fiat Grande Punto. Ma questa sua pecca non può nascondere tutto il buono che c’è in questa MiTo, un’auto che è ancora in grado di dire la sua in un segmento, quello delle Hot-Hatch, che si fa sempre più agguerrito. E’ una godibile, piacevole e veloce entry level al mondo delle Alfa Romeo più sportive, pensata per chi non vuole rinunciare alle comodità delle auto di tutti i giorni avendo però la possibilità di divertirsi un po’ in qualsiasi momento. Perchè in fondo è questo quello che si chiede ad una compatta sportiva: far divertire. E la MiTo Quadrifoglio Verde ci riesce benissimo.
Si ringraziano Emiliano Cucchiella, Gino De Meo e Matteo De Angelis per foto e riprese; Martuscielloper la musica.