“Com’è la 24 Ore di Le Mans?”. Una volta tornato te lo chiedono tutti. Appassionati, non appassionati: non c’è differenza. Non importa che non conoscano neppure il nome di uno dei piloti che hanno corso lì, sull’asfalto della Sarthe. Non è rilevante che non siano a conoscenza neanche delle regole basilari di una gara le cui storie sono spesso e volentieri confluite nella Storia. Una volta tornato te lo chiedono tutti. “Com’è la 24 Ore di Le Mans?”.
La domanda, semplice al punto da risultare quasi ingenua, richiede una risposta complessa. Non esiste infatti un aggettivo che, in modo sintetico, riesca a condensare ciò che davvero è e rappresenta la 24 Ore di Le Mans. Ogni parola è colpevole di lasciarsi sfuggire un dettaglio, di banalizzare un’atmosfera, di sminuire l’importanza di un momento. La sintesi mal si accompagna a un evento sportivo di una simile portata.
Il viaggio che conduce fino alla Sarthe, in questo senso, è parte integrante dell’esperienza. Qualora non abbiate urgenza, concedetevi il tempo necessario per arrivare lì, sino a quell’intreccio di stradine nel nord della Francia, viaggiando su ruote. È un pellegrinaggio che si rivela parente stretto del corteggiamento: per chi ne ha letto, ne ha scritto, ne ha sognato, l’avvicinamento lento a un luogo motoristicamente così evocativo è momento imprescindibile. L’eccitazione cresce man mano che i km che separano dalla destinazione diminuiscono, e un brivido quasi impercettibile scorre lungo la schiena quando, per la prima volta, si legge “Le Mans” sui cartelli delle indicazioni autostradali. L’aereo, non ho alcun dubbio in merito, regala sì minuti ma sottrae parecchie emozioni.
A pochi minuti di distanza dagli ingressi è la dimensione dell’evento a lasciare inebetiti. Nessun evento motoristico, neppure il più sfavillante e glitterato Gran Premio di Formula 1, assume una grandezza paragonabile a quella della 24 Ore di Le Mans. In un via vai frenetico di auto e pulmini, parcheggi sconfinati – pensati per ospitare tutti coloro che pianteranno la loro tenda vicino alla propria macchina, utilitaria o supercar che sia – si susseguono senza sosta per km e km, estendendosi a raggiera attorno al cuore pulsante dell’evento: il monumentale circuito della Sarthe. La terra stessa sembra vivere un fermento difficile da raccontare a parole. Impazienza ed eccitazione saturano l’aria addirittura cinque giorni prima dello spegnimento dei semafori. Indescrivibile.
Mai nessun circuito mi aveva fatto sentire così piccolo. È impossibile concepire i limiti non solo – ovviamente – del tracciato vero e proprio, ma anche delle varie aree che lo compongono all’interno. L’enormità dell’impianto è sconvolgente, segnalata com’è da un’apparente assenza di confini capace di dare l’illusione che il mondo intero si sia, all’improvviso e come d’incanto, trasformato in un circuito. Gli spostamenti avvengono necessariamente a bordo di auto o golf car, muoversi a piedi vuol dire spendere decine di minuti per raggiungere posti che solo l’illusione della mappa fa sembrare vicini. La grandezza del Circuito Bugatti, quello sul quale la MotoGP disputa il proprio GP di Francia, scivola irrimediabilmente nell’insignificanza. Inglobata com’è da un tracciato e da un evento enormemente più grande di lei, la pista del Motomondiale scala al rango di parcheggio per auto di servizio e di area concerti e intrattenimento. Lo sconfinato Paddock che sorge lì vicino, pur essendo articolato su due piani e mezzo, non è comunque sufficiente per contenere anche auto e mezzi delle serie di supporto: per loro ci sono apposite aree esterne, distanti letteralmente km dal nucleo del pianeta Le Mans.
È anche la moltitudine di satelliti che lo circonda a ingigantire ancora lo spazio occupato dall’universo della 24 Ore. Il Paddock è infatti letteralmente accerchiato da shop e gazebo, da musei e Fan Area, presi d’assalto da un numero indefinibile di tifosi di ogni genere ed età. Alla ricerca di memorabilia tra negozi che sembrano usciti da epoche lontane, con in mano un bicchiere di birra mentre ascoltano l’ululato dei motori rompere il silenzio del nord della Francia, centinaia di migliaia di appassionati si riversano tra le vie e le stradine di quella che è, per dimensioni e affollamento, una piccola città che vive al ritmo degli rpm. Non importa da dove si arrivi e cosa si stia facendo a Le Mans, se si faccia semplicemente parte del pubblico o se si appartenga invece alla cerchia degli addetti ai lavori: chiunque può condividere con chiunque altro un istante della poesia della 24 Ore, scambiandosi un’occhiata densa di emozione quando i fari di una Hypercar tagliano in due la notte francese o un’esclamazione piena di stupore quando il ruggito rabbioso di una GTE riduce in frantumi il silenzio della Sarthe.
A rimanere impresso in ogni atomo del corpo è poi il rumore, fedelissimo compagno di viaggio di un’intera settimana. Come una voce accompagna con variazioni di tono i momenti di un discorso, donando enfasi o inducendo calma, così il rumore rende vivo l’intero circuito. Le Mans parla, dialoga con chi ha percorso centinaia o migliaia di km per accorrere da lei. Ha un tono tutto suo, articolato sulle note del vociare festoso ed eccitato del pubblico e del ringhio rabbioso e violento che scaturisce da scarichi arroventati. Il circuito della Sarthe vive al ritmo della corsa che lo ha reso immortale: schiamazza nei momenti di festa, gorgoglia quando la tensione sale, ruggisce quando l’asfalto viene impietosamente divorato dalle auto. È grazie al rumore che queste ultime si riconoscono, soprattutto quando la notte trasforma alcuni dei prototipi più belli del mondo in semplici coppie di luci scintillanti che passano davanti agli occhi a velocità strepitose: un latrato infinito segnala l’arrivo di una 911, un ringhio rabbioso precede la comparsa di una Cadillac, un boato infernale annuncia il passaggio della sensazionale Camaro. Non esiste gara al mondo che abbia la stessa voce della 24 Ore di Le Mans, ne ho l’assoluta certezza.
Anche perché, a differenza della grande maggioranza delle corse che costellano il firmamento del Motorsport, la gara di durata più affascinante del mondo non tace praticamente mai: ha sempre, immancabilmente, qualcosa da poterti raccontare. L’ho imparato durante il tramonto più rosso della mia estate, quando accelerazioni brutali e scalate rabbiose mi parlavano di assetti da affinare e di tempi sul giro da migliorare. L’ho capito nel corso di una delle notti più lunghe della mia vita, quando neppure i fuochi d’artificio riuscivano a rischiarare a sufficienza un buio torbido, temibile avversario di quanti in quel momento in pista stavano lottando per garantirsi un posto nella Storia. Neppure nelle aree shop, deserte nelle notturne ore centrali della gara, c’è silenzio: nel vuoto della piazza risuonano le imprecazioni di un manipolo di meccanici Peugeot, precipitosamente diretti verso il proprio garage. Erano stati attratti dal fascino delle curve attorno al Ponte Dunlop, sono stati richiamati dal box quando una delle loro auto – peraltro in lotta per la vittoria fino a quel momento – è finita contro le barriere, tradita dalla notte più bella e crudele del mondo delle corse.
Mondo delle corse che lì, nella regione dei Paesi della Loira, ha una potenza dirompente, impossibile da arginare e contenere persino dagli immensi argini del circuito della Sarthe. Le Mans, sonnacchiosa cittadina francese per 355 giorni all’anno, si trasforma nel cuore del pulsante del Motorsport nei restanti 10. Una popolazione che triplica improvvisamente nell’arco di neppure una settimana va in visibilio non solo per ciò che accade in pista a una manciata di km da lei, ma anche e soprattutto per quello che la 24 Ore di Le Mans porta fin sulla soglia delle case. Il Pesage, vera e propria cerimonia, va in scena tra ali di folla che accolgono con entusiasmo incredibile le auto che, di lì a pochi giorni, si daranno battaglia; la parata, il cui percorso si snoda in un centro cittadino pronto ad accogliere gli equipaggi e a raccogliere i gadget da loro lanciati, è momento di incredibile esaltazione collettiva. Tutti, nessuno escluso, vogliono essere partecipi anche solo per un istante di un evento di una simile portata, tutti vogliono condividere la loro gioia e la loro passione. Non conta come, non conta in che ruolo, non conta in fondo neppure dove: alla 24 Ore di Le Mans conta solo e soltanto esserci.
La durata dell’evento, imparagonabile rispetto a quella di qualsiasi altra corsa mai vissuta in prima persona, trova la sua sublimazione assoluta alle 16:00 del sabato. A culmine di un’attesa che si è fatta via via sempre più spasmodica, lo sventolare della bandiera che dà il via alla gara più mistica del pianeta è un’acme liberatorio: la tensione contratta che si percepisce nitida sulla griglia di partenza e che aumenta costantemente fino all’istante prima della partenza si tramuta in concentrazione assoluta, fluida nel suo tendere incessantemente verso l’obiettivo finale. Il tempo che scorre viene scandito dal passaggio sul rettilineo delle auto, via via sempre più sgranate e distanti, mentre tra soste, duelli e incidenti le ombre iniziano ad allungarsi sull’aria afosa e sull’asfalto rovente di Le Mans. La pioggia spariglia le carte, genera caos e confusione, giustizia la gara e le speranze di molti. La notte arriva e resta a lungo, umida e densa. Gli scarichi brillano come occhi infernali nel buio della Francia, lame di luce affondano nel nero pece dell’Hunadieres, di Tertre Rouge. Un rombo costante, simile a quello di un tuono lontano, continua ad aleggiare incessante sul cielo dei Paesi della Loira. Straordinario.
La stanchezza esige il suo tributo nel cuore della notte, durante gli stint più lunghi. Meccanici si addormentano a terra tra pinze freno e pneumatici, tifosi si accampano sui prati o alle basi degli alberi, giornalisti e addetti stampa uniscono sedie a mo’ di brandine in sala stampa, il sottoscritto e le sue due compagne di viaggio trangugiano caffè in sequenza per non perdersi nulla di una gara che dietro ogni curva può nascondere un momento inaspettato.
L’alba sorge, il momento più temuto da tutti i piloti si palesa in tutta la sua pericolosa bellezza: le temperature diminuiscono, le insidie aumentano, mentre il cielo si tinge di rosa a est. Pericolosissimo abbassare la guardia ora, commettendo l’errore di pensare che il peggio sia ormai passato: alla fine della gara manca ancora molto e, per una diabolica proporzione della fredda matematica della 24 Ore di Le Mans, la gravità di uno sbaglio si ingigantisce man mano che le ore di gara ancora da disputare diminuiscono. Il sole illumina auto sporche o addirittura danneggiate, volti stanchi di equipaggi e piloti, pubblico che torna a riempire spalti, strade e prati mentre l’eccitazione torna ancora una volta a salire: la temperatura alla Sarthe aumenta, e il meteo è solo parzialmente responsabile di ciò. Due momenti mozzano il respiro del circuito, che ancora una volta dimostra di pulsare al ritmo della corsa. La Ferrari 499P #51 indugia in due occasioni, e in entrambe Le Mans trattiene il fiato mentre una moltitudine indefinita di persone si ritrovano a sperare che quelli non siano gli stessi fotogrammi di un film proiettato lì, proprio alla Sarthe, solamente una manciata di anni prima. La macchia rossa riprende la propria corsa, il circuito torna a respirare in modo regolare ritrovando il ritmo che l’ha portato a pochi minuti dallo scrivere la parola fine a un altro capitolo di una storia infinita. Sventola la bandiera a scacchi, e Le Mans erutta al cielo felicità, entusiasmo e gratitudine nei confronti di chi, ancora una volta, ha reso reale ciò che un qualsiasi appassionato di motori non avrebbe creduto possibile neppure nel più bello dei suoi sogni. È l’esplosione finale, definitiva, quella che dà sfogo a una settimana di emozioni tra le più varie e disparate, un subbuglio emotivo difficilmente descrivibile mentre si incontrano lacrime, sorrisi, volti delusi e facce estasiate.
Quando anche l’eco dell’onda d’urto si è perso in lontananza, aggiungendosi a quelli immortali delle edizioni passate, al circuito della Sarthe è la calma a regnare. Carovane infinite di tifosi e addetti ai lavori si mettono in strada, le aree shop in precedenza brulicanti di vita si svuotano di ogni cosa. Per la prima volta dopo giorni, la 24 Ore di Le Mans tace. Anche per quest’anno ha detto tutto ciò che aveva da dire, ha dato tutto quello che aveva da dare. Riprende fiato, e nel suo silenzio lancia un invito a chiunque abbia voluto ascoltarla: tra un anno, come accade da ormai un secolo, io sarò di nuovo qui ad attendervi. Pronta a stupirvi, affascinarvi e rapirvi come mai nessun’altra corsa sarà mai in grado di fare.