Un mondo di corse che vive di corsa, non c’è scampo. Così come la F1, infatti, anche la MotoGP esige da tutti coloro che vi lavorano dei ritmi altissimi, a qualsiasi livello. Soprattutto se, come accade nel corso dei venerdì, il cronometro inizia a scandire con un incedere incessante gli istanti che contano davvero,con i piloti finalmente pronti per scendere in pista per le prime due sessioni di prove libere.
Sono giornate che iniziano presto, molto presto, con l’Ufficio Stampa di Honda HRC che arriva in circuito intorno alle 8 del mattino, con circa due ore di anticipo rispetto all’orario previsto per l’inizio delle FP1. E’ giusto però il tempo sufficiente per organizzare il lavoro della giornata, iniziando a ragionare sulle tematiche importanti che, nel corso delle interviste giornaliere, i piloti dovranno affrontare una volta essere saliti in sella alle loro moto. Moto che, dopo aver attraversato un Paddock tangibilmente più vuoto, calmo e silenzioso rispetto al giovedì, vedo dal vivo per la prima volta a pochi minuti dallo scattare del semaforo verde delle FP1 della MotoGP,che arriva dopo i primi 40 minuti di Prove Libere della Moto3, un fragoroso insieme di calabroni ronzanti che saturano l’aria con i toni bassi dei loro scarichi. Rispetto alla F1, la sensazione di trovarsi di fronte ad una differenza è, ancora una volta, netta. L’anno scorso, quando per la prima volta mi sono trovato di fronte le VJM08, l’impressione era stata quella di trovarsi di fronte ad un’opera d’arte, ad una sublimazione della velocità: sinuose, dalle forme rotonde, affusolate. Con le moto, in particolare in questo caso con la RC213-V nella immancabile livrea Repsol, l’impressione è diversa.Ovviamente, e non potrebbe essere altrimenti, anche le due Honda sono un inno alla prestazione: filanti, sfinate, affilate. Ma la sensazione che trasmettono è differente, e lo si capisce non appena si osserva come, nella moto, sembri esserci una minore flessuosità delle linee: le RC213-V, lo si avverte anche stando distanti diversi metri, sono pericolose. Il pericolo, il rischio, sembra essere intrinsecamente congenito in quelle forme muscolose, in quegli spigoli netti, in quegli enormi scarichi griffati Termignoni che spiccano sulla destra e sotto il codone della moto. La MotoGP, per sua stessa natura, è più pericolosa della F1, ha un margine di rischio più ampio. E le moto, questo, sembrano gridarlo ai quattro venti.
I primi a saperlo, ovviamente, sono i piloti. Marc prima e Dani poi appaiono nel Box, un Box che a Misano è forse troppo piccolo per contenere 4 moto e che costringe tutti a rimanere “compressi” vicino ad uomini e mezzi, e si nota che, come accaduto in F1, qualcosa nel loro sguardo è cambiato. Anche loro, come Hulk e Checo nel 2015, mi danno la sensazione di aver subito una metamorfosi: occhi inespressivi, focalizzati verso qualcosa che solo loro possono vedere, chiusi in un mondo che non è accessibile a nessuno se non a loro. Come l’anno scorso, ci si rende come, per arrivare a questi livelli, sia necessario essere programmati per vincere, sia necessario avere una mentalità che fissa l’obiettivo ancora prima di vederlo, che permette di pensare ancor prima di vedere. Essere piloti, ed ogni volta che mi trovo davanti ad una scena simile me ne rendo conto sempre più, è esistere fisicamente nel presente e vivere mentalmente nel futuro, così da poter pensare più in fretta degli altri perché quello che accadrà lo si è capito in anticipo.
La visiera del casco, a specchio, cala giù su occhi e pensieri, e sia Marc che Dani si avviano, con l’andatura dinoccolata tipica delle tute da motociclista, verso le loro compagne di viaggio. E così, mentre nella Pit Lane si scatenano i cavalli delle varie M1, Desmosedici e GSX-RR, Marc e Dani salgono sulle RC213-V, che si accendono in un tuono che lacera il Box. E’ un suono inconfondibile, un grido rabbioso che sale in maniera roboante, quasi animalesca. E’ velocità tradotta a suono, è potenza tramutata in un ruggito. Un qualcosa che non si dimentica facilmente. E così, appena le termocoperte vengono tolte, i due piloti entrano in pista. Sguardo fisso sugli schermi da parte di tutti, boato della folla quando passa il proprio beniamino e il fragore dei 4 cilindri delle MotoGP ad graffiare l’aria. Ovviamente, trattandosi di FP1, gli stint sono relativamente brevi. E, non appena Marc e Dani riportano le RC213-V nei Box, emergono palesi altre due differenze rispetto alla F1: la prima, ovviamente, riguarda il cambiare moto piuttosto che cambiare gomme, anzi a volte le gomme usate vengono montate sulla seconda moto; la seconda è che, nel breve briefing che ciascun pilota svolge con i propri ingegneri, c’è una gestualità che la F1 conosce solamente in minima parte. Il #93 ed il #26 utilizzano tantissimo il corpo per cercare di far capire nella maniera più chiara possibile il modo in cui la moto si comporti su strada. Movimenti secchi e bruschi, lenti ed ondulati: ognuno di essi ha un suo significato,che viene tradotto dagli ingegneri in regolazioni sui dettagli di queste perfette creazioni da gara che sono le MotoGP, prima di scendere nuovamente in pista.
Una pista insidiosa, che nel corso delle FP1 tradisce più di un pilota. Tra i rider coinvolti in un crash c’è proprio Marc, che dopo essere scivolato riesce però a rimettere in moto la RC213-V in moto per poi riportarla ai Box. L’errore, una tipica chiusura dell’anteriore durante la percorrenza di una curva a destra, è uno di quelli che, nel corso di questo 2016, ci siamo abituati a vedere, e dunque nessuno nel garage si preoccupa più di tanto. Anche perché la moto, una volta riportata nel garage, non sembra quasi essere stata protagonista di una caduta. Così come Marc: il suo atteggiamento, una volta al centro della propria cerchia di ingegneri, è spaventosamente analitico, per un ragazzo di 23 anni. La scivolata non sembra influire minimamente sul suo equilibrio: nessun gesto di stizza, nessun comportamento diverso, un incidente futile che in alcun modo ha lasciato conseguenze su quella patina di imperturbabilità che aleggia da prima dell’inizio delle FP1 sul #93. E difatti, pochi minuti dopo, una volta che i meccanici hanno controllato lo stato della sua moto, eccolo di nuovo in sella, deciso più che mai a lasciarsi indietro l’errore il più in fretta possibile, recuperando confidenza e velocità. Dall’altro lato del Box, invece, Dani prima di inforcare la sua RC213-V scuote più volte la testa, pur andando a conquistare un buonissimo 6° posto finale. Segno tangibile, questo, di una ricerca della perfezione, di un labor limae ingegneristico che solamente ai massimi livelli è possibile trovare: nella mente di un pilota non si è posto se non quando tutti gli altri avversari sono dietro il proprio codone posteriore.
Terminate le FP1, si torna nell’Hospitality mentre frotte di fan si riversano a riempire un Paddock fattosi di nuovo affollatissimo e straripante di suoni e di colori. Il tempo di gestire i profili Social del Team e poi si va a pranzo, di modo tale da poter lavorare il più possibile prima dell’inizio delle FP2, che io ho seguito all’interno dell’Hospitality seguendo il Live Timing della Squadra sugli schermi dell’Ufficio Stampa. Ma neppure al termine della seconda ed ultima sessione di prove libere del venerdì la giornata può dirsi finita per i piloti, che dopo circa un’ora affrontano un’altra Media Session di fronte a quasi tutta la stampa riunita, ancora una volta in attesa trepidante per le dichiarazioni dei piloti, ai quali si chiede di effettuare un primo bilancio del weekend, cercando tra l’altro di carpire qualche informazione “riservata” in merito ad eventuali sviluppi successivi della moto.
Come sempre, anche il momento delle interviste scorre lentamente via, e intorno alle 18:00, c’è un po’ di relax per tutti, con i piloti che si allontanano dall’Hospitality dopo aver accontentato i tanti tifosi assiepati per loro, e con tutta la squadra che, anche se per pochi minuti, si gode il meritato riposo. Io, invece, sfrutto l’occasione per andare a vedere più da vicino la Clinica Mobile, una delle tante realtà silenti – o quasi – che pullulano il Paddock, lavorando spesso in uno di quei pochi coni d’ombra che persistono in questo ambiente illuminato a giorno dalle luci della ribalta. E così, tra una chiacchiera e l’altra con una delle responsabili della Clinica, mentre mi rendo conto che probabilmente la funzione della struttura che il dottor Costa ha lasciato in eredità meriterebbe un articolo dedicato, è arrivato il momento di tornare in Hospitality,dove l’Ufficio Stampa di HRC, assieme a Livio Suppo e Carlo Fiorani ha appena accolto la troupe della Movistar, invitata per la cena.
Ed è tra le risate e le conversazioni di una cena che si consuma in un clima fantastico,dove sembra di conoscere tutti da una vita e non da appena un giorno, che si chiude la seconda giornata tra le fila di Honda HRC. Un Team che, finora, mi sta regalando una veduta privilegiata su un mondo che appare ancora più bello ed umano di quanto non possa sembrare.