Ieri avrebbe compiuto 75 anni, Jarno Saarinen. Quella del Finlandese Volante è una figura difficile da raccontare per chi non lo ha vissuto, quasi un fantasma qui in Italia. Jarno Saarinen non è stato semplicemente pilota veloce e tecnico brillante, che si affacciò al Motomondiale a bordo di un carro funebre con la moglie Soili, ma un personaggio ricco di sfaccettature una più affascinante dell’altra.
L’aspetto più intrigante di Jarno Saarinen è che non ambiva a fare il pilota, il suo sogno era progettare moto e fare sviluppo tecnologico. Fine. Il motociclismo per lui era un hobby. Le 15 vittorie e i 32 podi in 48 GP iridati, che lo portarono a conquistare il titolo iridato nel 1972 su una Yamaha semi ufficiale da lui stesso rivista, furono quasi incidenti di percorso. L’accordo trovato con Yamaha per il ’73 era perfetto per un solo motivo: sarebbe stato il pilota di punta un paio d’anni per poi rimanere come progettista di spicco del reparto corse della Casa di Iwata. Jarno aveva praticamente raggiunto il sogno che cullava sin da bambino, che perseguì nonostante la prematura scomparsa del padre e la necessità di prenderne il posto nell’impresa funebre di famiglia.
Sin da piccolo Jarno aveva coltivato una profonda passione per la meccanica e per le due ruote, nei primi anni ’60 abbandonò le sfide di quartiere su motorini truccati per lo Speedway su ghiaccio. Lì conobbe Teuvo Länsivuori. I due erano coetanei, nati a due giorni di distanza, ma soprattutto erano i rampolli delle due imprese funebri di Turku. Amici-rivali in tutto e per tutto. Länsivuori su una Husqvarna e Saarinen su una Puch di recupero, aggiornata e migliorata da lui stesso, si rivelarono estremamente portati per la gare motociclistiche e si contesero il titolo di Campione Finlandese di Speedway, a spuntarla fu Saarinen. Iconici i mezzi con cui i due arrivavano nei paddock improvvisati attorno a quelle piste di ghiaccio, i carri funebri delle imprese di famiglia nei quali stipavano le moto e tutta l’attrezzatura necessaria per competere.
Fu in questo periodo che Jarno venne colpito dalla morte del padre, ma non lasciò anzi rilanciò. Si assunse la responsabilità dell’impresa funebre di famiglia, si iscrisse alla facoltà di Ingegneria e contemporaneamente iniziò a trasformare la propria Puch-Tunturi 250 GS da fuoristrada in una GP per il campionato nazionale del 1965. Saarinen fece tutto da solo -modificò il telaio, realizzò delle carenature in leggero lamierino ed elaborò il motore- e con quella moto Saarinen divenne campione nazionale ancora contro Länsivuori, a cui diede una mano per la stradalizzazione della Husqvarna. Sfruttando i modesti premi in denaro Jarno si regalò un paio di moto da corsa, delle Yamaha obsolete da aggiornare e sviluppare per poter gareggiare in altre Classi oltre alla 250. Da lì inizio una escalation di successi che lo portarono a debuttare nelle gare internazionali nel 1968, sempre con moto di recupero preparate da sé fino a tutto il 1970, anno in cui partecipò in pianta stabile al Motomondiale nella 250.
Una costante per tutta la carriera di Jarno, sin dalle prime giornate amatoriali, fu la compagnia della dolce Soili. Prima fidanzata, poi moglie, infine PR, infermiera e assistente meccanico in quel team improvvisato che non vedeva altre figure oltre alla coppia. I due si sposarono nel 1970, anno magico per Saarinen dato che oltre a questo si laureò in ingegneria ed iniziò a cogliere i primi podi iridati. Proprio quei podi, ed annessi premi, gli permisero di accantonare il celebre carro funebre acquistando un più comodo e meno vistoso furgoncino Volkswagen.
Arwidson, l’importatore ufficiale di Yamaha finlandese, notò Saarinen e decise di affidargli delle Yamaha semi ufficiali per la stagione 1971. Nonostante ciò Jarno non smise, e non lo farà neppure da pilota ufficiale Yamaha, di intervenire in prima persona sulle moto che poi guiderà in corsa, con la moglie sempre al proprio fianco. Ed arrivano così le prime vittorie. La primissima venne colta il 18 luglio 1971 a Brno, all’epoca un veloce circuito stradale tra boschi e muretti, nella sua prediletta Classe 350. Fu una gara tremenda corsa sotto il diluvio, di quei momenti ci è rimasta una tenerissima fotografia in cui Soili abbraccia Jarno appena dopo il traguardo.
Saarinen era molto ben voluto nel paddock. Gentile e disponibile con chiunque, era disposto a farsi in quattro prima ancora di venir interpellato come quando convinse Yamaha a prendere anche Tuevo per il 1973 oltre a lui. Era un personaggio da Libro Cuore, un esempio ne sono i fatti del GP del Belgio del ’71 a Spa Francorchamps. Il giovane Pesonen cade violentemente e perde i sensi, i soccorritori non tardano ad arrivare caricandolo prontamente in ambulanza. Mentre viene trasportato al più vicino ospedale il personale sanitario vede che un folle li sta inseguendo, con una moto da corsa sulla strada provinciale: era Saarinen, voglioso conoscere le condizioni dell’amico e pronto a donare il sangue se necessario. Pesonen nel frattempo si era ripreso e lo rassicura con un gesto della mano. Solo allora Jarno risale sulla sua Yamaha riuscendo a tornare in pista e a concludere la gara, anche se ormai ogni risultato era compromesso.
Saarinen era un pilota davvero veloce e con una tecnica di guida unica, fu il primo a sporgersi dalla sella per affrontare più velocemente le curve. E lo faceva lascaiando derapare il posteriore. Ci sono pochi filmati che riprendono lo stile di guida di Jarno ma da come lo racconta chi ha potuto viverlo, la mente vola subito a Casey Stoner. La guidavano alla stessa maniera Jarno, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, e Casey, dieci anni fa, anticipando il punto di corda per far voltare la moto in un fazzoletto solo di gas. Si tratta chiaramente di uno stile di guida frutto dei primi approcci motociclistici di entrambi, dirt track e speedway su ghiaccio sono alla fine le due facce della stessa medaglia.
Nonostante alla guida sembrasse uno spericolato, col ginocchio di fuori e la moto di traverso in uscita dalle curve, fu uno dei piloti più legati alla tematica della sicurezza. Non ebbe timore, nel 1972, a boicottare il TT sull’isola di Man a seguito della morte di Gilberto Parlotti. Finì sulle prime pagine della stampa inglese per una dichiarazione stupefacente per l’epoca, “Io non voglio morire in pista” disse. E invece proprio in pista esalò l’ultimo respiro, in quel maledetto 20 maggio del 1973.
Se ne andò a Monza, assieme a Renzo Pasolini, mentre era lanciato verso il secondo e terzo titolo iridato, e chissà quanti altri ne avrebbe vinti e quanti ne avrebbe fatti vincere a Yamaha. In quel 1973 aveva già vinto cinque delle sei gare valide per le classi 250 e 500 vincendo la gara di debutto in 500, unico a farlo prima di Max Biaggi. Come se non bastasse aveva vinto la 200 miglia di Daytona ad inizio stagione, nella gara che fu un esordio per lui con le Yamaha ufficiali. Gareggiava con una 350, contro le 500 dei rivali tra cui un già osannato Kenny Roberts. Il Finlandese Volante è stato il primo pilota non nativo del continente americano a trionfare in quella storica gara di durata.
Se n’è andato troppo presto Saarinen, e si parla sempre troppo poco di lui e del suo amore per la vita, per Soili e per le moto. Perché cinquant’anni dopo non è la sua incredibile velocità a colpire, ma la sua dirompente e trascinante vitalità.