La morte di Dupasquier ha scosso i piloti del Motomondiale, ponendo in secondo piano i risultati del GP d’Italia. Per Bagnaia e Petrucci forse non si doveva correre, entrambi credono che se fosse successo ad un pilota della MotoGP non si sarebbe corso.
“Non so dire se avrei potuto tenere testa a Quartararo, la cosa principale di oggi è che abbiamo perso un ragazzino di 19 anni. (…) Non mi frega niente di essere caduto oggi, non riesco ad accettare che abbiamo corso, non dovevamo farlo. Fosse successo ad un pilota di MotoGP probabilmente oggi non avremmo corso.”
Francesco Bagnaia
Gran Premio d’Italia nero per il Motomondiale, con la notizia della morte del povero Jason Dupasquier arrivata mentre i piloti della Moto2 stavano iniziando le operazioni di schieramento. Se per i piloti di Moto3, colleghi diretti del 19enne elvetico, e della Classe di mezzo è stata una batosta a freddo, arrivata al termine delle rispettive gare, lo stesso non si può dire per i piloti della MotoGP, costretti a correre con un nodo alla gola dopo un difficile minuto di silenzio.
“Non so dire se avrei potuto tenere testa a Quartararo, sono caduto subito” ha detto Francesco Bagnaia ai microfoni di Sky Sport in risposta alla domanda postagli da Meda & Co. Per Pecco, scosso e turbato, il risultato della gara odierna passa in secondo piano rispetto alla tragica sorte di Dupasquier: “La cosa principale di oggi è che abbiamo perso un ragazzino di 19 anni e la diffusione della notizia non è stata gestita nel modo giusto. Già era difficile accettarlo ieri, oggi non è stato bello e il minuto di silenzio mi ha scosso parecchio. Non ero per niente sereno e concentrato in gara. Non mi frega niente di essere caduto oggi, non riesco ad accettare che abbiamo corso, non dovevamo farlo.”
Spesso ci si chiede se la morte di un pilota nelle categorie meno seguite valga meno rispetto a quella di un pilota più affermato, lo stesso Bagnaia si è posto la domanda, dandosi una risposta: “Se fosse successo ad un pilota di MotoGP probabilmente oggi non avremmo corso”. A Pecco non è poi piaciuta la gestione della situazione. “Nessuno ci ha chiesto nulla, al mio team ho detto che non avrei voluto correre. Sono situazioni brutte da raccontare. Non è una bella pagina per il nostro sport oggi. Fare troppe parole su queste gare non ha senso” ha concluso il torinese.
Dello stesso avviso è stato Danilo Petrucci, nono al traguardo. “Oggi è stata una gara difficile, ma non intendo dal lato sportivo. Dal lato umano infatti mi sento sporco ad aver corso sulla stessa pista dove 24 ore prima una persona come noi è morta.” Danilo, pilota sanguigno, è forse uno dei più segnati dalla morte di Dupasquier. “Abbiamo capito che la situazione era molto difficile fin da ieri. Chiaramente nessuno voleva dirlo, ma sapevamo…” ha ammesso il #9.
“Se fosse successo ad un pilota MotoGP, che avrebbero fatto? È così diverso perché è ‘solo’ un pilota Moto3? Non penso proprio. È una vita, non è più o meno importante, da fuori non vedi le persone ma dentro la tuta e sotto il casco c’è un ragazzo ed un pilota.”
Danilo Petrucci
Come Bagnaia, anche Petrucci si è chiesto se esistano piloti di serie A e B giungendo alla stessa risposta del #63: “Pensa però se fosse successo ad un pilota MotoGP, che avrebbero fatto? È così diverso perché è ‘solo’ un pilota Moto3? Non penso proprio”. Danilo è poi andato oltre, parlando col cuore in mano: “Quando abbiamo visto le immagini, con l’elicottero che poi se n’è andato, sono passati tre minuti e siamo scesi in pista, come se non fosse successo nulla. È una vita, non è più o meno importante, da fuori non vedi le persone ma dentro la tuta e sotto il casco c’è un ragazzo ed un pilota. Nessuno ha chiesto un meeting, non si è parlato di un ragazzo che se n’è andato, se era il caso o meno di continuare. Un incontro per parlare di queste cose sarebbe stato meglio.”
Il ternano ha detto di non aver apprezzato la gestione della situazione da parte di Dorna, data la mancanza di una riunione con tutti i piloti per decidere se continuare o meno. “Quando morì Salom abbiamo fatto una riunione – ha spiegato Petrucci – ci venne detto che la famiglia voleva che noi corressimo. Non so, se io fossi uno della famiglia manco me ne fregherebbe un cavolo di far correre altra gente. Stavolta un minuto di silenzio, ed è passato tutto. Quando sapevamo da ore cos’era successo.”