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Una luce pallida, figlia dell’unione tra ora solare e i primi giorni di novembre. Un tramonto che sembra abbia fretta di arrivare, quasi a voler accompagnare fino alla sera la stagione della MotoGP che ha incorniciato. Il Ricardo Tormo è ombre lunghe sull’asfalto, grandi gioie, sogni infranti, fine che pianta rapida i semi di un nuovo inizio. Inconfondibile, da sempre. 

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© MotoGP

Valencia quest’anno è stata l’ultima pagina di un libro che attendeva un capitolo conclusivo, finale, che desse senso e significato a tutti quelli scritti prima. Penna rossa o penna blu, come alle elementari, ma niente Replay: ultima gara vuol dire nessuna possibilità di riscrittura. A riempire i pochi spazi vuoti rimasti al termine del ventesimo capitolo è stato infine Bagnaia, Francesco per l’anagrafe e Pecco per tutti, che con una gara coraggiosa ma mai incosciente si è preso la responsabilità e la gioia di concludere la storia di un anno sofferto, intenso, combattuto. Al termine del quale, com’è inevitabile, più di qualcosa resterà nell’aria. 

Nascosta tra i fumi dei suoi burnout, per esempio, rimarrà la delicata caparbietà del #63. Che era distante 91 punti, che era dato per sconfitto dopo una manciata di gare, ma che nonostante questo non ha mai smesso di credere in quella promessa fatta tanto tempo fa, in nome di una frizione a secco, a una moto rossa. Al Saschenring il punto più basso, rivelatosi poi base solida per una spinta verso l’alto che ha avuto dell’inesorabile, mossa com’era dal coraggio di chi si ostina a vedere luce anche nella notte più buia. Proclami pochi, moderato al punto da sembrare schivo. Talento, invece, tanto. Perché Pecco avrà pure avuto a disposizione la moto più veloce del lotto, ma è stato l’unico a portarla sul tetto del mondo. Di suo, in questo Mondiale, c’è molto più di quanto i suoi detrattori non vogliano ammettere.

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Resterà poi il sorriso di Quartararo, che racconta la serena ma amara rassegnazione di chi sa di avere dato tutto senza che quel tutto potesse bastare. Sfibrato da una moto che è inquietantemente uguale a se stessa da anni, solo il Diablo è sopravvissuto a un inferno di logoramento che ha ridotto in cenere tutti i compagni di marca. Evanescente Morbidelli, bruciato Dovizioso, impalpabili Crutchlow e Binder: è stato solo lo spaventoso talento del francese a tenere in vita speranze che altri non sarebbero riusciti neppure ad accendere. La domenica nera di Phillip Island ne ha minato forse in modo decisivo speranze e convinzioni, ma è rimasta intatta la sua voglia di esserci, di provarci, di andare oltre i limiti congeniti di un mezzo inferiore. Il duello con Bagnaia, uno dei pochi in un campionato che li ha visti alternarsi nel cielo della MotoGP come il sole e la luna, è stato dimostrazione lampante di ciò. 

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Fluttuerà invece per chissà quanto altro tempo la sofferenza di Marc Marquez, ferito nel fisico e fiaccato nell’animo prima che un’ultima operazione ne raddrizzasse braccio e destino. Sceso in pista contro se stesso prima ancora che contro gli altri, per dimostrare che occhio e omero avessero vinto solamente battaglie ma non di certo la guerra. Ha ritrovato fiducia dopo avere galleggiato su pioggia e scie altrui per non andare a fondo con una Honda irriconoscibile, scovando chissà dove il coraggio necessario per rischiare nonostante la sua carriera – e la qualità della sua vita – siano appese a un filo assottigliatosi nel corso degli anni. Il #93 ha dimostrato a Tokyo di esserci, trasferendo su di loro, sulla Honda, responsabilità future. È vero, probabilmente non tornerà più quello del 2019. Ma è per dominare un Mondiale che a Marquez occorre il Marquez pre infortunio: per lottare per un Mondiale, probabilmente, a Marquez basta una moto competitiva. 

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Quest’ultima, per esempio, l’ha avuta Enea Bastianini. Sophomore di altissima qualità, sarà osservato speciale in un 2023 che lo vedrà dividere il box con Bagnaia, per una convivenza da scoprire e capire. Del riminese resterà una cattiveria quasi spregiudicata per la MotoGP attuale, mostrata in pista e fuori. Chi l’ha ascoltato, sa: Bastianini non teme di usare la psicologia come arma, nel rispetto di una cifra che sembra legarsi a doppio filo a chi nasce lì, in quella Romagna velocissima che li fa sorridenti ma spietati. Gli occhi della Bestia si sono già posati sul Mondiale 2023: Ducati farà bene a rendersene conto in fretta.

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Non basterà poi la nera domenica di Valencia a spazzare via quanto fatto da Aprilia. Una stagione romantica la loro, vissuta vestendo i panni di Davide in mezzo a tanti Golia. Di Noale rimarrà l’umanità, apparsa tra errori di gioventù, inciampi dovuti all’entusiasmo. Con due piloti di cuore: caschi che raccontano battaglie vinte lontano dalla pista, una carriera da assestare tenendo a bada fantasmi di un passato fatto di promesse che non si è riuscito a mantenere. A un Vinales in difficoltà al via hanno fatto da contraltare i rimbrotti di Espargaro in dirittura, quando un sogno enorme ha iniziato a scontrarsi con la realtà. In mezzo, tra le svolte del viaggio che ha portato fino a Valencia, c’è un racconto denso, fatto di cuore e coraggio. E a diluirlo non basta e non basteranno di certo le incertezze nate da un’esperienza da maturare, da coltivare, da far crescere nelle stagioni che verranno.

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Azioni, queste ultime, negate a chi è già andato via. Vincendo oltretutto, nella contraddizione di una scelta affrettata e assurda che ancora oggi non mette d’accordo nessuno. Del 2022, purtroppo, rimarrà anche la tristezza degli uomini Suzuki, passati nell’arco di pochi giorni dal pianificare un futuro che pareva solido a temere un domani diventato incerto. Una fuga immotivata viste le qualità del progetto di Hamamatsu, resa affrettata da scelte prese in palazzi lontani dai circuiti che profumano di benzina, motori, passione. In sale anestetizzate di palazzi asettici è stato deciso che no, che il veloce azzurro Suzuki non meritasse di brillare sotto altri cieli. Andarsene, in fretta per di più, a costo di pagare in modo insensato delle penali da far tremare i polsi. Nessuno dei componenti del team si è risparmiato, nessuno ha abbandonato la barca o posato i remi: in loro ha prevalso lo spirito, la determinazione, la volontà. Avrebbero tutti meritato di vivere una gioia meno amara di quella che Alex Rins ha regalato loro a Valencia. 

Si spera, infine, che non rimanga nulla di certe critiche. Delle cose scritte da chi critica Bagnaia solo per il suo legame con Valentino Rossi, delle frasi dette cercando di negare che sì, anche Quartararo avrebbe meritato il Mondiale pur non essendo italiano, dei commenti lasciati per offendere un pilota che lotta contro la sua stessa paura. È una speranza che contiene un invito, un suggerimento. Ad apprezzare e a rispettare ragazzi e uomini coraggiosi e di talento, in prima battuta. E a riflettere sull’inutilità di certi pensieri vuoti e freddi. Destinati a non restare, leggeri come sono. Destinati a essere spazzati via dal vento caldo della passione, pronto a portarli via, pronto a portarli lontano. 





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Stefano Nicoli

The author Stefano Nicoli

Giornalista pubblicista, innamorato dal 1993 di tutto quello che è veloce e che fa rumore. Admin e fondatore di "Andare a pesca con una LMP1", sono EXT Channel Coordinator e Motorsport Chief Editor di Red Bull Italia, voce nel podcast "Terruzzi racconta", EXT Social Media Manager dell'Autodromo Nazionale Monza e Digital Manager di VT8 Agency. Sono accreditato FIA per F1, WRC, WEC e Formula E e ho collaborato con team e piloti del Porsche Carrera Cup Italia e del Lamborghini SuperTrofeo, con Honda HRC e con il Sahara Force India F1 Team. Ho fondato Fuori Traiettoria mentre ero impegnato a laurearmi in giurisprudenza e su Instagram sono @natalishow