C’è stato un tempo in cui le aquile di Mandello del Lario volavo altissime, in tutti i sensi: volavano con la fantasia, volavano nelle competizioni, volavano nei cuori di tutti. Poi iniziarono gli anni 70, e si misero in un triste letargo, ingabbiate dalle direttive industriali.
Per la maggior parte di noi le Guzzi hanno un motore V90 longitudinale a cilindri trasverali e la trasmissione cardanica CARC. Motone lunghe e basse molto vintage. Ai più dotti magari viene in mente lo Stornello o il Falcone 500, monocilindrico orizzontale con il volano che ricorda le affettatrici di un tempo, a manovella. O l’iconica Moto Guzzi 8 Cilindri e la storica e beneamata V7, l’ultima Moto Guzzi che ha rappresentato appieno la filosofia della casa cioè volare alto con la fantasia, guardare al di là dell’oggi ed innovare: essere all’avanguardia. Fu con lei che infatti apparì per la prima volta il V90 longitudinale a cilindri trasverali. Per i motociclisti e gli appassionati di vecchia data, le Moto Guzzi sono semplicemente Le Moto.
Non esiste architettura motoristica che la Moto Guzzi non abbia studiato e prototipato: monocilindrico 2 e 4 valvole, bicilindrico fronte marcia e trasversale e V trasversale, 3 e 4 cilindri in linea longitudinali e traversali tutti a 4 tempi. Nel ’37 c’erano già un bicilindrico raffreddato ad acqua e un 250 sovralimentato, nel ’38 un 250 ad iniezione. Nel 1940 la 3 Cilindri sovralimentata tramite compressore. Quant’era in alto quell’aquila.
E risale alla fine del 1954 l’inizio di un’idea che andava al di là di tutto quello già conosciuto. Nel motomondiale le moto di Mandello iniziavano a soccombere contro i potentissimi (per l’epoca) 4 cilindri di Gilera ed MV Agusta. L’Ing. Giulio Carcano decise allora di creare qualcosa di sublime, che non si era ancora visto, con una potenza inaudita. Nacque un inedito motore 500cc super frazionato ad 8 cilindri, bolide di vera e propria arte motociclistica.
Nacque così la Moto Guzzi 8 Cilindri, il massimo esempio di cos’è lo spirito guzzista. Quest’opera d’arte era un 8 cilindri a V di 90º trasversale, con distribuzione a due alberi a camme in testa per bancata e due valvole per cilindro, con cilindrata unitaria di 62,3 cm³ per un totale di 498,5 cm³ (alesaggio 44 mm, corsa 41 mm), alimentato da 8 carburatori da 20mm, divenuti poi da 21. Era raffreddato ad acqua e lubrificazione a carter secco. Si dice che per realizzare la distribuzione si affidarono ad una ditta orologiaia, e che con con i soldi spesi per realizzare un singolo albero motore ci si potessero comprare 20 ciclomotori dell’epoca.
Le primissime versioni iniziarono a girare nel ’55 e la potenza era di circa 68 cv a 12’000 giri, presto il motore della 8 Cilindri arrivò a superare gli 80 cavalli a 12’500 giri, un’enormità per l’epoca. Oltre alla potenza pura, punti di forza di questo octocilindrico erano l’erogazione e l’elasticità di marcia infatti in certi circuiti si usava un cambio dotato di soli 4 rapporti. Nonostante la moto fosse nata con un cambio a 6 marce. Nei piani della Guzzi la 8 Cilindri doveva sopperire ai limiti della 500 GP Quattro Cilindri, poco stabili causa la posizione longitudinale dell’albero motore nonostante un becco deportante, e delle monocilindriche, oramai poco potenti rispetto alle plurifrazionate della concorrenza.
Le grandi soluzioni tecniche e la notevole riserva di potenza non erano supportate dai materiali dell’epoca, nel ‘56 la 8C registrava spesso il giro record in gara ma era costretta al ritiro. Anche dal punto di vista dinamico il telaio e soprattutto gli pneumatici si rivelarono inadeguati. Con il tempo ed il lavoro i problemi vennero risolti e nella stagione 1957 iniziarono ad arrivare i primi risultati grazie a Giuseppe Colnago, che vince il tricolore a Siracusa, e Dickie Dale, che vince a Imola.
Sfortunatamente alla fine del 1957 vi fu una delle scelte più scellerate da parte di noi italiani: il patto di astensione, accordo siglato dalle maggiori Case motociclistiche italiane, nonché più vittoriose Case mondiali, il quale decretò il ritiro congiunto dalle competizioni velocistiche di Moto Guzzi, Gilera e Mondial. Una scelta che stroncò sul nascere le possibilità della 8 Cilindri.
Nel secondo dopoguerra l’industria motociclistica italiana fu tra i settori maggiormente attivi, spronata dalle impellenti esigenze di autonoma locomozione, dettate dall’enorme opera di ricostruzione nazionale. Dopo un decennio di crescita esponenziale, la produzione motociclistica iniziò ad avere delle battute d’arresto: la Fiat aveva dato inizio alla motorizzazione di massa con la 600.
Si trattava solo dell’inizio di una trasformazione che avrebbe portato l’Italia e tutta l’Europa alla generale adozione dell’automobile come mezzo di trasporto, mutando la motocicletta in oggetto ludico. Le case italiane non colsero questo cambiamento e decisero di non investire più nelle competizioni, proprio quando sono le stesse competizioni ad essere la massima sublimazione della motocicletta come oggetto ludico e di svago. Tutte tranne MV Agusta, che da lì inizio 15 anni di dominio assoluto.
Il reparto corse Guzzi non venne però smembrato, ma solo rinominato e dotato di nuove mansioni. Divenne il Reparto Esperienze, quello che oggi chiameremmo reparto R&D. Giulio Cesare Carcano nel ’59 volle provare ad inserirsi nel settore automobilistico. Realizzò infatti un prototipo di motore a V da proporre a FIAT, per motorizzare una versione sportiva della Nuova 500. Una 500 D dotata di questo bicilindrico a V di 600 cc, erogante 34 cavalli in luogo dei 18 del bicilindrico Fiat, iniziò a girare ma le due Case italiane non giunsero ad un accordo di collaborazione. E da questi studi motoristici questo reparto sfornò la V7 e la leggendaria Serie Le Mans.