Penso a Marco Simoncelli più spesso di quanto il calendario non imponga. È una questione di comprimibilità, credo. Penso che alcune figure – e i ricordi a loro connessi – possano essere compressi, per certi versi ridotti, all’interno di lassi temporali ben precisi. Altre, per loro natura, non sono fatte per resistere entro limiti ristretti, per nascondersi solamente tra le pieghe di ricordi programmati: sono troppo grandi.
Pensate bene a Marco, la cui enormità sportiva abbiamo solo sfiorato. Imponente nel fisico, ingombrante nella capigliatura, esuberante nel carattere: Simoncelli era fatto per strabordare, per rompere barriere e confini. Nulla di ciò che è stato il Sic avrebbe potuto essere imbrigliato in vita, nulla di ciò che sarebbe potuto diventare il Sic può essere condensato in un paio di ricorrenze. Certo, il ricordo si fa più vivido e doloroso in quel mese di ottobre che tanto gli ha dato e che tutto gli ha tolto, ma la presente assenza di Simoncelli non è mai stata ridotta a ciò.
Per Marco non si è semplicemente fatto il tifo: a Marco si è voluto bene. Con affetto puro, infantile per il suo volerci legare a una persona a noi distante, spontaneo per il suo farci ritrovare nel Sic una leggerezza che forse, in maniera non del tutto consapevole, stavamo anche noi inseguendo nel nostro piccolo. Simoncelli non ha mai avuto la capacità di bucare lo schermo, come da più parti si è detto e scritto. Chi buca lo schermo, per definizione, rompe il confino della TV e ti affianca: è lui a compiere il movimento, è lui che arriva dove non è. Simoncelli, con una capacità di attrazione senza eguali, conduceva in direzione uguale e contraria: era chi lo viveva, lo ascoltava e lo vedeva correre che saliva in moto con lui, coinvolto in maniera inspiegabile da un pilota con il quale sentiva di condividere molto pur senza avere vissuto insieme nulla.
A più riprese, per le ragioni più disparate, ci siamo sentiti tutti Marco. Abbiamo immaginato tutti, almeno una volta, di essere lui. Vicini a quei sogni nascosti tra i ricci, partecipi dell’entusiasmo smisurato di chi vive l’oggi per immaginare un domani, Marco Simoncelli ha permesso di ritrovarci in una vita non nostra. Ci ha presi per mano e ci ha portati in un mondo che non avremmo mai creduto di poter visitare. Si è fatto piccolo, lui così imponente, per fare spazio in sella a ciascuno di noi, passeggeri silenziosi in un viaggio che avrebbe potuto condurci chissà dove.
Credo che sia questo il motivo per cui, a 13 anni esatti da quella ingiusta domenica malese, non riusciamo ancora ad accettare che il Sic non ci sia più: perché fino a quel momento ci aveva sempre portati con sé, mentre inseguiva un sogno cavalcando la libertà. Noi, dal maledetto 23 ottobre 2011, siamo invece rimasti fermi con lui sul triste asfalto di Sepang. Alla ricerca, disperata e vana, di qualcuno che ci facesse di nuovo salire in moto con lui. Così come solo Marco Simoncelli, solo il Sic, era fino a quel momento riuscito a fare.